Ernesto Galli della Loggia, storico ed editorialista del “Corriere della Sera”, è autore di numerosi volumi, tra cui: La morte della patria (1996), L’identità italiana (nuova edizione 2010), Credere, tradire, vivere (2016) e Speranze d’Italia (2018). Il libro di cui si parla nell’intervista è L’aula vuota, Marsilio 2019.

Uno dei fili che guida la sua riflessione è questo cruccio per una scuola che sembra aver abdicato alla missione dell’istruzione a favore della cosiddetta “formazione” o educazione. Può spiegare?
Io penso, sulla base della mia esperienza, di alcune idee generali che mi sono fatto nella vita e, anche, leggendo qualche libro, (non sono un pedagogista) che l’istruzione sia in sé formativa: conoscere la letteratura italiana, la storia, la chimica, la matematica in sé costruisce la personalità. Non c’è una divisione tra l’istruzione e poi, appunto, la formazione. Altrimenti l’istruzione a che cosa si riduce? A una serie di nozioni e basta? Ma non è così. Il conoscere, il sapere che la scuola dovrebbe somministrare non può essere inteso come una serie di nozioni sterili e quindi inutili. A chi interessa che ci siano alcuni milioni di italiani che sanno che la Repubblica è stata fatta il 2 giugno del ’46? Che valore ha una semplice conoscenza così astratta?
Questa distinzione tra istruzione e formazione è frutto della polemica -secondo me idiotissima- contro il nozionismo. Per sapere è ovviamente necessario avere delle nozioni, sfido chiunque a dire il contrario. Se non conosco alcune date non posso capire nulla della storia; se non so che Napoleone viene prima della Prima guerra mondiale, non ci capirò niente. Quindi delle nozioni sono indispensabili, però il nozionismo è un’altra cosa e pensare che appunto l’insegnamento si riduca a delle nozioni...
Certo ci sono sicuramente professori ignavi, senza passione per il loro lavoro, che pensano probabilmente che il loro unico compito sia di far ricordare delle date… ma parliamo di pessimi insegnanti. Non si può polemizzare contro il nozionismo, contro le nozioni, perché ci sono insegnanti che riducono il proprio insegnamento a questo.
Invece, l’idea che appunto l’istruzione in quanto tale equivalga al nozionismo, quindi a qualcosa di sterile, inerte che non produce umanamente nulla, ci ha portato a dire: “No, l’istruzione no. Bisogna fare la formazione”. E allora, per esempio, ci si mette a insegnare la Costituzione, materia peraltro che rischia anch’essa di essere tradotta in una serie di nozioni.
Tutto può essere ridotto a nozioni. Quindi si è aggiunto: la formazione implica anche la creazione di una certa atmosfera, un certo tipo di relazionalità tra i professori e gli studenti, ecc. Ed eccoci arrivati all’altro grande imperativo, quello che la scuola deve essere democratica. Sinceramente penso siano cose che non hanno alcun senso…
Non è importante prestare attenzione anche a questi aspetti?
Che dire? Io non ho fatto la scuola democratica. Mi sono formato in anni in cui non si pensava neanche possibile che ci fosse una scuola democratica. Ma io, se avevo qualcosa da chiedere, l’ho sempre potuta chiedere, così come i miei compagni; il professore non ci frustava. Certo, non eleggevamo i nostri rappresentanti nel consiglio di classe, ma chiunque ha esperienza di scuola ti dirà che questi “ludi cartacei” scolastici si riducono poi a delle vuotaggini, a cose puramente formali. Ma perché la democrazia può essere fatta soltanto tra eguali. Se abbiamo uguali diritti e uguali doveri.
A scuola non ci può essere democrazia perché non ci può essere l’uguaglianza dei diritti, innanzitutto perché la dimensione del diritto è qualcosa di estraneo alla scuola: quali diritti possono avere gli studenti? Berlinguer ha provato a redigere una specie di carta costituzionale… Io la trovo a tratti ridicola: “Lo studente ha diritto a un buon insegnamento...”. E se non ce l’ha, che cosa fa? I diritti veri sono quelli che, se vengono violati, tu puoi muovere un’azione in qualche modo. Questi diritti “delle studentesse e degli studenti”, cosa significano? Nulla. Sono vuotaggini propagandistiche di demagoghi… Ecco, mi accaloro.
Lei vede all’origine della crisi della scuola anche un’ipertrofia dello spazio occupato dalla pedagogia...
La pedagogia ha riempito il vuoto della politica. La scuola pubblica nasce da una decisione politica a metà dell’Ottocento. Le élite liberali, soprattutto in paesi come l’Italia e la Francia, davanti a un mare di contadini ca ...[continua]

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