Vogliamo partire da questo nuovo governo, diciamo, inusitato?
Per quanto riguarda il governo partiamo col dire che abbiamo il primo esempio storico di cooperazione araba ed ebraica in una coalizione di governo israeliana, che sicuramente è un passo importante, dal significato positivo, ma che è stato raggiunto a patto di non affrontare quelli che sono i problemi dei territori palestinesi che stanno alla radice del conflitto in Israele. Si è scelto di metterli da parte. E Mansur Abbas, il leader arabo-israeliano che ha deciso di stare al gioco (la minoranza rappresenta circa il 21-22% della popolazione, NdR.), sconosciuto ai più fino a qualche mese fa, incarna proprio una corrente pragmatica, per cui la cosa più importante è farsi valere sul piano politico in modo da non essere lasciati indietro, in modo da non essere esclusi dalle trattative sulla distribuzione regionale dei fondi alle municipalità, e su tutta una serie di piani, compresi i diritti e il discorso dell’uguaglianza. Questa corrente pragmatica è pronta, per affrontare con successo queste battaglie, a mettere da parte il riconoscimento della storia palestinese, della memoria della Naqba, il termine con cui loro ricordano la cacciata di settecentomila palestinesi nel ’48. Trovare un compromesso anche dal punto di vista nazionale, che potrebbe essere basato su un riconoscimento reciproco dei percorsi storici dolorosi, che lasci uno spazio, se pur minoritario, anche a quella che è l’identità palestinese, dentro Israele, piuttosto che reprimerla, non è all’ordine del giorno di questo governo. Potremmo dire che questo è un modo per spazzare i problemi sotto il tappeto, eppure credo che la formazione dell’esecutivo rimanga un passo positivo, dettato, come sappiamo, in primo luogo, dalla volontà di liberarsi di un leader così abile, così unico per molti versi nella storia di Israele, e che però, negli anni, si era ubriacato di potere al punto da considerare lo Stato, e addirittura, forse, il popolo ebraico, come una sua competenza quasi esclusiva. Alludo ovviamente a Benjamin Netanyahu. E l’ultima riprova di tale atteggiamento si è manifestata in maniera quasi ridicola nella sua riluttanza ad allontanarsi da quella che è la residenza del primo ministro israeliano a Balfour Street a Gerusalemme, durata settimane, quando invece si doveva trattare di una transizione automatica e naturale come in qualsiasi paese democratico.
Ecco, fatte tutte queste premesse, esplicitate tutte queste limitazioni, sì, lo ripeto, rimane comunque l’aspetto positivo di una cooperazione che aveva avuto un precedente parziale soltanto all’epoca di Oslo, quando un governo Rabin aveva fatto affidamento sull’appoggio esterno alla Knesset di alcuni deputati arabi israeliani, ma senza coinvolgerli direttamente nel governo.
Ma quanto sono diventati gravi, nel tempo, i problemi? Qual è lo stato della colonizzazione? Si sperava, anni fa, che quello fosse un modo, per Israele, per avere più carte da giocare in una trattativa inevitabile, in realtà era il contrario, una determinazione a rendere impossibile un eventuale stato palestinese. Nel contempo, i più escludono nel modo più categorico la possibilità dello stato binazionale. Quindi?
Io direi che uno stato binazionale esiste già, lo stato di Israele è di fatto binazionale. Ha al suo interno una componente importante palestinese, il che però si è accompagnato all’illusione, coltivata e promossa da settant’anni di storia israeliana, che i palestinesi che abitano in regioni, diciamo così, limitrofe, come possono essere quelle della Cisgiordania, della Galilea, del Negev o quelle della Striscia di Gaza, possano essere popolazioni diverse. L’idea, cioè, che ci sia l’arabo-israeliano, il palestinese della Cisgiordania, il palestinese di Gerusalemme Est residente ma non cittadino, e quello di Gaza. Questa è ovviamente una narrazione costruita e funzionale a sostenere sia la possibilità di uno stato binazionale sia, al contempo, l’esclusione delle altre compagini di palestinesi, per poter preservare l’elemento cruciale che sta alla base del progetto sionista sin da quando fu lanciato a fine Ottocento da Theodor Herzl, che è quello di una terra a maggioranza demografica ebraica. Io mi immagino che se questa maggioranza fosse stata solida sin dal ’6 ...[continua]
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