Ora la situazione in Croazia è migliorata. Tu però vedi come problema decisivo quello del “ritorno” dei profughi. Come stanno ora le cose?
E’ un campo molto delicato, su cui c’è da fare un lavoro enorme. Il governo ha previsto il ritorno di 60.000 rifugiati serbo-croati, ma uno dei nodi principali sulla questione del ritorno riguarda il fatto che ci dev’essere reciprocità tra il ritorno dei profughi serbi e il ritorno di quelli croati. Ci sono infatti anche i profughi croati della Bosnia Erzegovina.
Il governo ora sta concentrando tutte le energie sui cambiamenti politici. Non hanno avviato alcun programma per la ricostruzione di una situazione di convivenza pacifica. Agiscono come la situazione potesse ora “naturalmente” svilupparsi in direzione della costruzione di una relazione pacifica tra serbi, croati e bosniaci in Croazia. Purtroppo, la mia esperienza mi dice che queste cose non accadono da sole. Noi tutti abbiamo visto cos’ha significato non aver risolto la questione, anzi non aver nemmeno discusso, di ciò che è accaduto nella ex Jugoslavia durante la seconda guerra mondiale.
Ecco, temo che qualcosa di simile stia accadendo adesso.
Tutte le questioni che non verranno discusse e analizzate di questa guerra -e ce ne sono molte che finora sono state trascurate- rischiano di restar lì, irrisolte. In particolare, rispetto al conflitto tra serbi e croati, ancora niente è stato discusso.
Il tragico è che circa un 10% della popolazione croata, perlopiù di nazionalità serba, oggi vive fuori dalla Croazia; è stata loro negata anche la cittadinanza, che loro avrebbero di diritto essendo nati e vissuti in Croazia fino a qualche anno fa; insomma sono a tutti gli effetti cittadini croati. Oggi queste persone vivono in Bosnia Erzegovina, in Serbia, ma privi di ogni documento, in attesa che la Serbia dia loro la cittadinanza, ma questo sarebbe assurdo, non è questo che dovrebbe accadere. Loro stanno subendo la grave violazione di un diritto civile elementare, da parte dello Stato tra l’altro; loro hanno questo diritto e tuttavia le istituzioni lo negano. E così non possono andare da nessuna parte, perché casomai alla fine riescono a ottenere una sorta di passaporto provvisorio, ma è il massimo cui possono aspirare nella situazione attuale…
Insomma il ritorno è il vero nodo, ed è una questione molto complicata. Riuscire a ottenere il ritorno di pochi rifugiati, senza però affrontare il nodo centrale e mettere in crisi ciò che è stato fatto, rischia di aumentare le tensioni. C’è tutta una gamma di passaggi che devono essere affrontati, e tutto questo dovrebbe avvenire di pari passo con una lunga e approfondita discussione parlamentare.
E invece questo non sta succedendo...
Oggi ciò che viene discusso in parlamento su questo piano è solo la collaborazione con il Tribunale dell’Aja, perché in Croazia la cooperazione con il Tribunale resta una questione ancora piena di contraddizioni.
Dato che la scoperta e la portata alla luce di fosse comuni dove si sospetta ci siano civili uccisi nel 1991 nell’area di Gospic è cominciata e sta continuando, anche i cittadini di quella zona hanno iniziato a raccogliere firme per una petizione contro questa operazione, e in prima fila in questa battaglia ci sono i veterani di guerra. E c’è un grande sostegno dall’esterno contro questi scavi e contro il proseguimento delle indagini e l’incriminazione dei criminali da parte del Tribunale dell’Aja.
Questa è la polarizzazione che si è creata: ci sono quelli che sostengono l’assoluta necessità di individuare i responsabili di crimini di guerra, incriminarli e portarli davanti alla corte dell’Aja; ma poi c’è un altro gruppo, piuttosto consistente, che ritiene che dato che la Croazia è stata attaccata non può aver commesso crimini di guerra. La situazione quindi è controversa e il parlamento sta appunto dibattendo su come gestire la questione dei criminali, su come gestire le punizioni.
Questo, comunque, è già un segnale molto positivo…
Sicuramente, perché sta passando il fatto che siano i tribunali locali a occuparsi dei criminali, anche se non credo siano ancora in grado di farlo. Probabilmente dovranno delegare questa parte a tribunali più preparati.
Resta senz’altro un segnale importante che Sakic, uno dei comandanti del campo di concentramento di Jasenovac, sia stato arrestato in Croazia; Sakic è stato condannato a dieci anni di carc ...[continua]
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