Tu hai partecipato a Gerusalemme alla conferenza delle donne palestinesi che si è tenuta a settembre. Puoi parlarcene?
La conferenza era intitolata Woman, justice and law ed era organizzata da uno dei tanti comitati di donne che ci sono nei Territori, che si chiama Il diritto, la giustizia, ed aveva come scopo quello di fare il punto su quali sono i diritti delle donne palestinesi oggi e su quali strategie adottare, a breve e a lungo termine, per cambiare la situazione. A questa conferenza hanno partecipato praticamente tutti i comitati delle donne. I principali in Palestina sono quattro divisi un po’ per affiliazione politica, però ultimamente le differenze politiche si sono via via attenuate e le donne si sono molto più unificate come donne, lasciando a parte le diverse posizioni politiche e questo è un fatto molto positivo. Erano presenti più di 400 donne. Il risultato più importante della conferenza è stato quello di creare un comitato femminile trasversale, che comprenda donne appartenenti a vari ambiti, donne dell’ambiente accademico, donne dei comitati, donne attive in qualsiasi modo, per far pressione sui comitati che stanno scrivendo le leggi palestinesi, affinché ci sia la possibilità di eliminare tutte le discriminazioni esistenti. Agire, cioè, come lobby per creare una situazione favorevole alle donne nel futuro.
I problemi sono tantissimi, perché la situazione legislativa attuale è frutto di un miscuglio di leggi diversissime. Esiste ancora la regolazione della reggenza del mandato britannico, perché Israele, utilizzando la legge internazionale che vieta a un paese occupante di cambiare le leggi preesistenti, ha conservato quelle che gli venivano buone eliminandone altre. Poi dal ’48 fino al ’67 ed oltre, nella Cisgiordania, occupata dalla Giordania, le leggi in vigore sono state quelle giordane e a Gaza quelle egiziane. Poi, addirittura, all’interno esistono ancora leggi ottomane. Inoltre, dal ’67 in poi, nei territori occupati sono stati emessi più di 1000 decreti militari. In Cisgiordania poi, dove gli israeliani avevano messo in piedi le corti militari che sono state praticamente boicottate dai palestinesi, sono sorti nuovi tribunali mussulmani, appoggiati dalla Giordania e tollerati da Israele perché si occupavano di statuto personale, le leggi, cioè, che riguardano il codice della famiglia, il matrimonio, il divorzio, la tutela dei figli, ambiti politicamente poco importanti per Israele.
Quindi ci troviamo in una situazione assurda in cui ci sono diversissime legislazioni in vigore che si intrecciano e si sovrappongono. I palestinesi, che per la prima volta possono decidere di quello che sarà il futuro in questo campo, devono tener conto della complessità della situazione.
Ma qual è il problema principale per le donne?
Il problema è quello della legge islamica, la shari’a, che è vigente in molti paesi arabi ma che in ogni paese è applicata secondo un’interpretazione diversa -le più importanti sono quattro- che danno luogo a diverse leggi, più o meno aperte, progressiste o conservatrici. Quella vigente in Cisgiordania è l’interpretazione Hanafi che è abbastanza conservatrice e che però oggi è consolidata e condiziona culturalmente la società. I problemi sono tantissimi. Per esempio quello della poligamia, che esiste tuttora ed è permessa dalla legge islamica con interpretazione Hanafi. Poi, chiaramente, il divieto di abortire, la mancanza di tutela della donna dal punto di vista del lavoro. A parità di lavoro la donna riceve un salario molto inferiore, non ha possibilità di avere ferie per il periodo della gravidanza, eccetera. Ora, questo problema dell’interpretazione è veramente decisivo.
La Tunisia che è uno dei modelli di riferimento per le donne palestinesi di oggi, pur non ponendosi fuori dal contesto della legge islamica, ha adottato una legislazione molto progressista, perché molto estensiva e ha riconosciuto moltissimi diritti alle donne. Per esempio ha concesso il diritto d’aborto, ha proibito nei fatti la poligamia. Anche nel mondo arabo c’è tutta una corrente di pensiero di donne femministe, egiziane, marocchine, tunisine, che sostiene che la ...[continua]
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