Filippo Bucarelli è un dirigente della Funzione Pubblica a Roma.

Tu sei il direttore dell’iniziativa “100 Progetti al servizio dei cittadini”. Di cosa si tratta?
E’ una iniziativa del Dipartimento della Funzione Pubblica, che raccoglie, premia, riconosce e valorizza, iniziative realizzate da strutture pubbliche a contatto con i cittadini, per migliorare i servizi. Sono iniziative non promosse dal centro, che rientrano nell’ambito di autonomia locale e che hanno il chiaro obbiettivo di migliorare il servizio con il pubblico. Hanno partecipato reparti di ospedali, uffici Iva, ripartizioni comunali, musei, scuole, sedi Inps. L’idea è nata nel periodo in cui il Ministro della Funzione Pubblica era Sabino Cassese, poi è continuata e si è sviluppata fino ad oggi. C’era una necessità e, forse per la prima volta in Italia, anche un impegno di riforma della Funzione Pubblica, agendo sulle leve della normativa, della macro-organizzazione. Inoltre era stata avviata dal Dipartimento della Funzione Pubblica una politica interessante di apertura di cantieri di sperimentazione, i cosiddetti “progetti pilota”, quindi l’idea era di costruire laboratori in situazioni locali, che sperimentassero dei modi nuovi di gestire, di servire, eccetera. Però questi erano progetti della dimensione di qualche miliardo, con risultati a lungo termine e molto localizzati, per cui alla fine sono stati poche decine. E rimane scoperta tutta l’area, importantissima, dei comportamenti organizzativi. Perché in Italia non si fanno le riforme? Si scrivono nelle leggi o nei dibattiti e poi non accadono, perché in realtà poi non chiudono sulla organizzazione reale, sulle persone, c’è questo vuoto, vuoto di comportamenti e vuoto di consenso. Una riforma, per essere attuata, deve marciare con la testa e con i fatti delle persone. Come intervenire a livello dei comportamenti organizzativi? Avevamo comunque una convinzione: che all’interno della Pubblica Amministrazione esista un patrimonio di risorse nascoste, che in tutti questi anni hanno tenuto in piedi la baracca e sono persone che per predisposizione, per convinzione etica, per senso dello Stato, si danno da fare, malgrado tutto. Io vengo dal mondo dell’organizzazione privata e sono convinto che questo tipo di persone, che esiste in qualsiasi organizzazione, nel pubblico è forse più presente, perché il pubblico ha questo senso etico, morale, di servizio. Magari però è successo che, proprio per l’assenza di organizzazione, tutto si è retto sulle spalle di queste persone, magari nemmeno nel ruolo e nel posto giusti. Altro elemento era: come attuare le riforme, i cambiamenti, in tempi rapidi. Infatti uno dei problemi attuali del settore pubblico è che, per la prima volta nella storia e non solo in Italia, rischia molto; si trova in una situazione in cui o riesce a fare il salto o va in crisi di legittimazione. Non è più vero che è un monopolio al sicuro: la pressione delle imprese, dei cittadini, del sistema-paese sulla pubblica amministrazione è diventata fortissima. Quindi il problema è fare in tempi rapidi queste riforme grossissime, che, ai tempi di Cassese, erano previste in cinque anni, ma cinque anni sono un tempo troppo lungo, adesso. Cosa consente di agire sugli strumenti organizzativi in tempi più rapidi possibile e fare da acceleratore del cambiamento?
La risposta che può venirmi dall’esperienza nelle grandi organizzazioni, soprattutto private, è: l’utilizzazione di casi esemplari, la valorizzazione degli esempi positivi che possono essere emulati, copiati, arricchiti. Ragionando sulla base di questi elementi abbiamo cominciato a mettere in piedi questa iniziativa, finanziata come uno dei progetti pilota cui accennavo e che è stata realizzata in tempi rapidissimi: in circa tre mesi abbiamo pubblicato un opuscolo, distribuito in 26.000 copie a 19.000 strutture pubbliche, che lavorano a contatto con i cittadini. Pure se fatta artigianalmente è stata comunque una operazione di comunicazione. Per la prima volta il centro riconosceva alle strutture periferiche la capacità di dare un contributo. La potenzialità di un lavoro di questo genere è molto grande: si apre un canale di comunicazione alto/basso e trasversale, amplissimo. Adesso abbiamo un file con oltre 2.000 progetti, di cui 500 molto buoni, 1500 validi e altri 500 un po’ fuori target. Abbiamo selezionato tecnicamente i 100 migliori, poi dovrà esserci l’approvazione da parte del Dipartimento. I progetti che ci aspettavamo ...[continua]

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