Nei paesi dell’est nella transizione verso l’economia di mercato com’è stata affrontata la privatizzazione dell’agricoltura?
Innanzitutto direi che più che di privatizzazione vera e propria sia più appropriato parlare di de-collettivizzazione dell’agricoltura. Il processo attualmente in corso è in una fase intermedia: fine della collettivizzazione ed inizio della privatizzazione.
Però, è meglio procedere con ordine. Nel passaggio al nuovo modello di economia di mercato, i paesi a pianificazione centralizzata hanno perduto ciò che caratterizzava la loro specificità sistemica e sono diventati dei nuovi paesi in via di sviluppo.Così, infatti, li definisce il Fondo Monetario Internazionale. In questo senso possiamo dire che la transizione appartenga già alla storia, anche se è giusto rimarcare che sul presente continuerà a pesare l’eredità storica del socialismo reale.
Quest’ultima considerazione, così ovvia, è importante perché, in realtà, il rischio più grave nell’affrontare questo passaggio è che si affermi una tendenza a dimenticare il patrimonio di conoscenze accumulato dagli studiosi dei sistemi economici pianificati e a credere, nello stesso tempo, che il trapianto del modello occidentale possa avere automaticamente successo.
Si trascurano due fatti importanti: il primo, è che nessun paese ha un modello perfetto, la maggior parte delle democrazie capitalistiche ha fatto degli errori in materia di politica economica ed agraria. In altre parole i paesi sviluppati non sembrano avere dei modelli meritevoli di essere clonati altrove.
Il secondo motivo è che le politiche e le istituzioni subiscono un’evoluzione che le adattano a un preciso ambiente economico e agricolo. Se trapiantate, può accadere che vengano rigettate dall’organismo che le accoglie, semplicemente perché incompatibili con il substrato costituito dalla società civile. Quindi, non sorprende che dopo una veloce partenza il processo di decollettivizzazione agricola, pur se in tempi e modi diversi a seconda del paese, abbia subìto un certo rallentamento. Le ragioni di questa generalizzata decelerazione risiedono oltre che nel progressivo esaurirsi della spinta propulsiva dei movimenti nazionalistici, nei numerosi ostacoli di diversa natura che la riforma agraria ha via via incontrato.
Ostacoli di natura istituzionale, giuridica, amministrativa, economica, politica e sociale, dovuti al fatto che, nella fase di transizione, istituzioni e comportamenti economici e sociali tipici dei sistemi agricoli socialisti sono ancora vivi.
Anche se è difficile stabilire un ordine di importanza, essendo i vari aspetti intimamente collegati fra loro, i problemi comuni a tutti i paesi dell’ex blocco sovietico sono riconducibili alla mancata definizione dei diritti di proprietà, all’atteggiamento sostanzialmente negativo nei confronti dell’attività individuale o privata da parte di diverse categorie sociali della popolazione, alla generalizzata carenza quantitativa e qualitativa dei mezzi tecnici di produzione agricola, alla mancanza di infrastrutture e servizi atti a supportare le neonate aziende individuali o private, alla stretta dipendenza, non solo di natura economica, delle aziende individuali rispetto alle ex aziende collettive e statali.
Sembra che questi paesi debbano subire per forza un modello che viene dall’esterno. La democratizzazione potrà permettere a questi popoli di esprimere un proprio modello di sviluppo?
Non lo credo. Avendo profonde radici nel periodo antecedente il 1917 la formalizzazione del modello sovietico in agricoltura riflette in effetti un lungo processo evolutivo caratterizzato dall’adozione di molteplici soluzioni.
Il loro fallimento ha però una matrice comune: la volontà di trasporre, senza alcun riguardo per le condizioni del tutto peculiari del paese e per di più imponendoli dall’alto, modelli economici e sociali presi a prestito da ideologie o esperienze esogene, prevalentemente dal mon ...[continua]
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