Una Città285 / 2022
luglio-agosto


Mi sono molto meravigliato di come alcune delle persone che sono andate a Sarajevo [...] siano tornate da quella esperienza estrema e singolare, di grandissimo significato umano, con lo stesso discorso aprioristico che facevano prima, e con lo stesso atteggiamento solo declamatorio sul valore universale della pace e dei diritti umani. A differenza delle testimonianze assai veraci e problematiche di alcuni partecipanti [...], altri reduci da Sarajevo non apparivano intaccati più di tanto dal fatto che i bosniaci assediati chiedano disperatamente un aiuto contro gli aggressori assedianti (e armi per difendersi da sé se l’aiuto esterno non viene). Una sanguinosa epurazione etnica a suon di massacri, stupri, deportazioni e devastazioni va avanti a tappeto, la popolazione di per sé largamente inter-etnica viene costretta a schierarsi con una parte contro l’altra, un baratro profondo rischia di riaprirsi tra est e ovest, tra cristiani e musulmani, tra europei da difendere ed europei che possono essere macellati tranquillamente. Tutto questo non può trovare come unica risposta l’invocazione astratta della non-violenza.
 Alexander Langer, “Aam Terra Nuova”, 6 aprile 1993

luglio-agosto 2022

Sono loro
Sull’Italia e via d’Amelio
intervista a Enrico Deaglio

Chi ha guardato e chi non ha guardato
L’America e le audizioni sul 6 gennaio
di Michael Walzer

Quel vuoto di senso
Sulla fatica di essere madre
intervista a Sarah Viola

La catena delle nonne

La storia di lavoro di un’operaia
intervista a Elisa Guidi

La Russia, l’Ucraina, la Nato e la sinistra
di David Ost

Quello che è accaduto a Mariupol
si avvicina a un genocidio

La città che non c’è più
intervista a Hanna Tryfonova

Il prezzo della pace
Ai confini con l’Ucraina
intervista a Krzysztof Czyzewski

Sem Terra, eredi di schiavi ribelli
Le lotte dei contadini brasiliani
intervista ad Aldo Marchetti

La città, all’inizio
La lettura delle situle
intervista a Luca Zaghetto

Georges Sorel, scioperi e rivoluzione
Alfonso Berardinelli

Carte e cartine
Andrea Pase

30 giugno 1960, Genova
Matteo Lo Presti

Dove sono finite tutte le donne?
Vicky Franzinetti

Aborti nel mondo
Patrizia Farina, Neodemos

Una bomba a orologeria
Belona Greenwood

Noi no!
Wlodek Goldkorn

Ricordiamo Srebrenica

La visita è alla tomba di Emilio Lussu
 


Dalla cronaca notizie atroci, dalla vita pubblica una notizia che a molti pare drammatica e non dovrebbe, perché votare per l’uno o per l’altro è la normalità di una democrazia. Ma siamo normali? Una notizia passata quasi inosservata può aiutarci a dare una risposta: l’assoluzione dei poliziotti accusati di essere implicati nel depistaggio delle indagini sulla strage di via d’Amelio. A questo dedichiamo l’apertura e a Borsellino una copertina sbiadita e sgranata. L’intervista, sconvolgente per noi che stiamo dimenticando tutto, è a Enrico Deaglio, fatta prima della conclusione del processo. Qui, dalla sua pagina fb, aggiungiamo il commento alla sentenza: Ieri il tribunale di Caltanissetta ha piantato l’ultimo chiodo nella bara del giudice Paolo Borsellino, ucciso, insieme al suo amico Giovanni Falcone, trent’anni fa. Le loro facce le potete vedere in molti luoghi della nostra Italia: piazze, strade, scuole e addirittura sulla moneta da due euro messa recentemente in circolazione, dove i due, con aria complice, si guardano sorridenti e sembrano consci di quello che gli sarebbe successo. Non era un gran processo, peraltro. Erano accusati tre poliziotti, all’epoca giovani, della squadra speciale del capo della mobile di Palermo Arnaldo La Barbera, cui il governo di Roma diede pieni poteri per le indagini sulle stragi del 1992. Quelle indagini furono da subito inquinate e depistate, per assicurare all’opinione pubblica un colpevole e per proteggere i veri colpevoli, in uno dei più grandi scandali della Repubblica italiana. Quindici anni dopo i fatti, venne alla luce l’impostura commessa, ma nessuno pagò mai per quello che aveva fatto. Trent’anni dopo, al termine di un faticoso processo durato quattro anni, questi poliziotti, davvero le ultime ruote del carro, sono stati prescritti dall’accusa di aver volontariamente depistato il delitto del secolo. Prescritti, come una medicina. Quel processo, dimenticato, solitario, era però l’ultima speranza di poter tenere aperto un uscio di verità su quanto era successo. A Borsellino, e a noi tutti. Credo di essere l’unico giornalista che si è occupato del caso, scrivendone da vent’anni sui giornali e addirittura con due libri: in completa solitudine. Ho sperimentato quanto lo scandalo del delitto Borsellino fosse protetto, dai magistrati per primi, dal potere politico poi e quanto sia lentamente scivolato nel tempo, fino a non interessare più nessuno, e tantomeno l’opinione pubblica. Peccato, avremmo potuto essere un paese civile e coraggioso. E invece le morti di Borsellino, e quella di Falcone, ci insegnano alcune amare verità. Il delitto perfetto esiste; occultare la verità è possibile; gli assassini sono tra noi. Sottoscriviamo.

Dalla pagina 17 alla 28 parliamo di Ucraina con David Ost, della sinistra americana, con Hanna Tryfonova di Mariupol e con Krzysztof Czyzewski, polacco, impegnato al confine coi profughi ucraini. Laggiù i crimini di guerra da parte dei soldati russi si succedono quotidianamente. Lo si è visto fin dall’inizio che sarebbe stata una guerra contro i civili e tuttavia noi italiani ci dobbiamo vergognare di essere uno dei paesi, ivi compresa la sua sinistra, più comprensivi verso la Russia di tutto il mondo libero. Riportiamo dal nostro sito: ci rivolgiamo a chi ha in orrore le armi, anche se in mano a chi si difende; a chi riserva all’America tutto l’odio di cui è capace; a chi ha nostalgia di Lenin e di Stalin; a chi ragiona solo di interessi e vuol pensare che così facciano tutti: se fosse vero che stanno deportando i bambini, se fosse vero che a Bucha hanno ucciso tutti gli uomini abili, come a Srebrenica, se fosse vero che gli stupri sono di fatto autorizzati, come in Bosnia, se fosse vero che l’obiettivo è un genocidio analogo a quello armeno, cosa direste? Cosa proporreste? E se tutto questo, e non sia mai, si rivelerà vero, come ci sentiremo?

In questo numero Michael Walzer riflette sulle audizioni sul tentato colpo di Stato che stanno dividendo l’ America. Poi si parla di sindrome di Medea, di “nonne” alla catena di montaggio, di contadini brasiliani eredi degli schiavi ribelli dei secoli passati, finanche di “situle”, cioè di secchi antichi che ci raccontano di come nacquero le città. Poi Alfonso Berardinelli di Sorel, Vicky Franzinetti e Patrizia Farina di femminismo e di aborto, Matteo Lo Presti del 30 giugno 1960 a Genova, Belona Grenwood di trasfusioni e Hiv, Wlodek Goldkorn di elezioni e “paria”. Nelle ultime ricordiamo Srebrenica e facciamo visita alla tomba di Emilio Lussu. Infine una buona notizia: Khalida è a casa!