Il comitato di garanzia della Fondazione Langer ha attribuito il premio di quest’anno a due docenti universitari, uno israeliano e uno palestinese. Insegnano rispettivamente a Be’er Sheva nel deserto del Negev e a Betlemme. Insieme hanno fondato un Istituto per la ricerca per la pace che lavora su progetti educativi ed ambientali. Insieme a Nicola Marchesoni, collaboratore della Fondazione, siamo andati a conoscerli e a raccogliere materiali sulla loro attività. Ecco il diario del nostro viaggio.

Sabato, 19 maggio 2001, pomeriggio
A Gerusalemme, arrivati dall’aeroporto di Tel Aviv con un pullmino che porta i pochissimi visitatori stranieri (soprattutto giornalisti) che si recano in Israele in questo periodo, i militari sono il punto fermo di un paesaggio umano così esplicitamente variegato da far perdere la testa: è un turbinìo di lunghi riccioli a cavatappi, colbacchi di pelo nonostante il grande caldo, lunghe palandrane nere, bambini in costume da ebreo ortodosso, abbondanti abiti delle donne arabe velate, mentre altre sono del tutto “occidentali”, turbanti e le lunghe tuniche tradizionali; e ancora ragazzini che escono dalle scuole cristiane con gli zainetti e le divise delle diverse confessioni.
C’è un’aria tesa: la festa nazionale, che di solito dura un giorno, quest’anno durerà due giorni e avrà come conclusione una grande manifestazione. Sono venuti a migliaia dagli Usa e dai contestati “insediamenti” israeliani nei territori palestinesi, per fare una dimostrazione di forza, di fronte al perdurare degli attentati. La strage di Tel Aviv al supermercato ha lasciato il segno. I giovani e giovanissimi abitanti degli insediamenti portano mitra a tracolla.

Sera
Il console Gianni Ghiso ci riceve insieme ad alcuni esponenti della “comunità italiana”: giornalisti, cooperanti e volontari della cooperazione internazionale. Due arrivano in ritardo, perché bloccati a lungo al check point di Ramallah: i territori palestinesi sono chiusi e controllati dai militari israeliani e né si può uscire facilmente né i cittadini israeliani possono entrarvi.
Gli italiani di Gerusalemme sembrano essere maggiormente sensibili ai problemi dei palestinesi.
Ne vedono la miseria e la sofferenza. Le quali tuttavia dipendono anche dallo squallore della loro rappresentanza politica. E i loro avversari, in questo conflitto, che in questo momento sembra senza speranza, provano tutte le antiche paure del popolo circondato.
Fra gli ospiti c’è Carla, volontaria della cooperazione (la differenza con i cooperanti “ufficiali” è che i volontari guadagnano pochissimo) che ha conosciuto Alexander Langer a Rio de Janeiro nel giugno del 1992 e l’ha rivisto in Israele nel corso di una visita del parlamento europeo. Ci parla del progetto che segue a Gerico e ci mettiamo d’accordo di andarci insieme, nonostante l’estrema difficoltà degli spostamenti.
Impariamo che Israele non ha la Costituzione, per la difficoltà di trovare una visione comune fra religiosi e laici. Oggi la situazione si è aggravata, poiché gran parte dei russi immigrati di recente, un milione e ottocentomila, costituiscono una comunità a sé, che parla russo e non si riesce ad integrare. Gli ultimi arrivati e i più ortodossi sono gli unici che accettano di andare a vivere negli insediamenti, che di solito occupano zone che dovrebbero diventare palestinesi, spesso isolate ed impervie, benché scelte perché situate sulle risorse, specialmente di acqua.
Sentiamo parlare per la prima volta della negazione dei diritti scritti sulla carta, in tutti gli ultimi sette anni dopo l’accordo di Camp David, delle umiliazioni inflitte ai check point.
Arafat ha rifiutato le offerte di Barak. Un errore imperdonabile e pieno di gravi conseguenze.

Domenica mattina
I nostri due premiati dovrebbero incontrarsi nel nostro albergo a Gerusalemme. Ma Sami Adwan ci telefona che non riesce ad uscire da Betlemme. A Beit Jala, la collina di Betlemme dove lui abita, hanno bombardato tutta la notte.
Primo incontro con Dan Bar-On. Scopriamo che il nostro albergo, di proprietà del Vaticano, costituisce una specie di terreno neutrale ed accogliente per i loro “incontri proibiti”. Il professor Bar-On è una persona colta, schiva e molto coraggiosa. Ci racconta dei lavori fatti insieme al professor Adwan sia qui che in Germania. Dice che la sede dell’Istituto per la ricerca per la pace (Prime) di cui i due sono co-direttori è stata posta a Beit Jala, per compensare la difficoltà di mov ...[continua]

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