Davide Emmanuello è da vent’anni in carcere, quindici dei quali passati  al 41bis, che gli è stato attribuito per quattro volte dopo che, per tre volte, tre diversi tribunali avevano revocato questa misura. L’avvocato che ne aveva assunto la difesa, Giuliano Dominici, lo scorso anno ha rinunciato a quello che definisce ‘inutile mandato difensivo’, così motivando: "[…] il regime speciale, e la sua ostinata, reiterata riapplicazione all’Emmanuello [...] trova evidentemente la sua ragion d’essere nella categoria della più esasperante -e in pari misura vessatoria- arbitrarietà. Sicché la difesa, vincolata invece alle ragioni del diritto, ritiene di aver adempiuto ma anche esaurito, con queste note, il proprio compito”.
 
Vorrei scrivere utilizzando il passato remoto, invece devo parlare e dare voce al presente mai passato di torture e persecuzioni. Sono rientrato sotto il regime del 41bis perché si ritiene che alla morte di mio fratello il clan si sia indebolito, rafforzandosi al suo interno il mio ruolo di comando.  Si ritiene che tramite familiari pregiudicati in libertà potrei inviare ordini… Non tenendo in nessuna considerazione che non ho familiari pregiudicati e gli stessi familiari, nel senso stretto del termine, non hanno la disponibilità di raggiungermi nei luoghi della mia reclusione. Mia madre è un’ottantenne sulla sedia a rotelle… Scriveva ventitré secoli fa Aristotele nei suoi studi di retorica che tra la verità e l’errore c’è uno spazio intermedio dominato dal verosimile, dall’incerto, dall’opinabile…
Eppure non incontrare nessuno significa non parlare con nessuno. Non parlare con nessuno significa che nessuno riceve le mie parole. Non parlare per vent’anni con nessuno porta solo a uno stato d’isolamento che non può conciliarsi con la logica di un capo al comando. Questi sono i dilemmi che popolano i miei pensieri, mentre la mente giace dove il mio corpo riposa, perché, cari miei, niente evade dal buio della cella, niente a parte l’immaginazione vola oltre il perimetro delle mura di cinta del carcere. E in questo riflettersi della memoria, gli orrori subìti assumono quelle fisionomie mostruose come lo sono quelle esperienze oniriche che si vivono negli incubi. Quando nel 1993, ancora incensurato, fui sottoposto ai rigori del regime di 41bis, vennero sospese nei miei confronti tutte le regole trattamentali previste dall’ordinamento penitenziario a garanzia dei diritti fondamentali. Concretamente significò che il primo graduato che incontrai pretendeva che quando entravo nel suo ufficio avrei dovuto rivolgermi a lui solo dopo essermi messo con la faccia girata verso il muro. Le stesse modalità dovevano essere rispettate all’interno della cella durante le operazioni d’ispezione, la conta. Operazioni che venivano effettuate giorno e notte, con la pretesa notturna che avrei dovuto farmi trovare alzato, con il letto in ordine, quando al richiamo urlato "conta” sarebbero da lì a pochi minuti iniziate le operazioni ispettive. La luce rimaneva rigorosamente accesa giorno e notte. La cella era stata privata della finestra originaria e sostituita da un pannello-gelosia opacizzato, saldato ermeticamente, che assicurava che l’estraneo sole e l’intruso vento non accedessero. La cella veniva chiusa da un cancello interno e sigillata da un portoncino blindato. Potevo uscire solo per un’ora allo scadere delle 24 ore. Il passeggio non conosceva il cielo, non sapeva cosa significasse il sole; era all’ombra, umido. C’era un freddo che penetrava le ossa. Si contavano cinque passi a nord e cinque a sud. Quest’unica ora d’aria comprendeva due perquisizioni corporali, delle quali taccio le modalità, e un’ispezione, anche della bocca, prima di uscire dalla cella, e un’altra al rientro. Non si parlava; l’obbligo era di stare in silenzio…  Essere sottoposto per vent’anni alla censura significa subire una perquisizione interiore che profana lo spazio dell’anima che dovrebbe rimanere un angolo segreto nel quale potersi rifugiare. Anche la scelta culturale è organizzata dall’Area educativa che decide quali testi e autori mettere all’indice. All’interno di queste sezioni è inibito l’acquisto dei quotidiani locali, pur essendo intervenuta la Corte Suprema a censurare tale comportamento. Così come è vietato ricevere libri dall’esterno, mentre quelli che scelgono e ti permettono di acquistare devono poi essere lasciati al patrimonio del carcere. Cosa che nemmeno il pessimo Mussolini ha immaginato contro Gramsci. L’ ...[continua]

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