al seggio elettorale il mio cane è una star. È un’adorabile matassa nera arruffata; lo lego alla rastrelliera per le biciclette. Attira un sacco di attenzioni mentre sono in fila per votare. Queste elezioni decideranno la natura dell'amministrazione comunale. Eppure, stando ai giornali, il loro unico scopo è permettere a noi, gli elettori, di esprimere una preferenza per Jeremy Corbyn dei laburisti o per Theresa May, il "Maybot”, come è stata soprannominata dagli scrittori satirici della stampa nazionale. Vorrei poter credere che vi sia dell'altro, ma probabilmente andrà proprio così. C’era un tempo in cui la politica locale funzionava. Poi è finita in miseria. Il personale dei seggi è spossato e cupo. Osservo un uomo, davanti a me, che si è registrato per votare ma è stato rifiutato, perché il suo nome non compare sulla lista. La ri-registrazione obbligatoria voluta dai Tory ha tenuto fuori molta gente. È un processo pesante e tedioso.
Una madre dà una lezione di democrazia alla figlia. La bambina stringe in mano un peluche e ascolta concentratissima. È la sua prima volta in uno stanzone con liste, cabine e scatole di cartone. Avrà forse nove anni. Una generazione che trasmette alla successiva il concetto della sacralità della democrazia, della responsabilità del voto. Stiamo tutti a guardare la madre che spiega attentamente il processo che noi abbiamo dato per scontato così a lungo. Surreale.
Almeno qui l’espressione "un uomo, un voto” e la fede in essa sembrano all’improvviso tanto preziose quanto fragili. Non riesco a scrollarmi di dosso il senso di perdita, e mi prende la nostalgia per la politica di una volta, quella per la gente, quando ancora i politici avevano una bussola morale. A livello locale sapevi chi avrebbe lavorato per te. Caspita, potevi anche crederci: a volte potevi credere che il governo avesse a cuore la felicità dei suoi cittadini.
Fragilità. Questa settimana sono stata contattata da un’amica che stava facendo delle riprese a Londra. Non la conoscevo benissimo, ma avevo lavorato per lei e mi aveva fatto un'ottima impressione. Ora, però, mi confessava di essere in una situazione disperata: aveva bisogno di una donna, era un’emergenza. Il sistema dei servizi socio-sanitari per adulti non aveva funzionato. Potevo raggiungerla? Per tutelare la dignità di questa donna, la chiamerò Juliet. La Juliet che conoscevo era una donna fiera e indipendente che per anni, dalla sua sedie a rotelle, aveva contribuito enormemente alla comunità. È affetta da un raro disturbo genetico che porta le sue articolazioni a slogarsi regolarmente, facendola cadere e procurandole forti dolori; inoltre soffre di artrosi e di encefalomielite mialgica. Con la sua ultima caduta si è fratturata il femore. Ha 39 anni. È straordinariamente coraggiosa nel riuscire a svolgere il suo lavoro nonostante la malattia.
Al mio arrivo, la porta era aperta. Juliet era sul divano, sotto un piumino. C'era un coinquilino che stava uscendo per andare al lavoro; era a pezzi dopo aver passato la notte ad aiutare Juliet, ora doveva andare. Juliet singhiozzava. Aveva chiamato il pronto intervento perché non riusciva a muoversi e si era fatta la pipì addosso. I due operatori le avevano detto che, essendo immobilizzata a causa di una ferita, non potevano toccarla. Le avevano dato un asciugamano ma si erano rifiutati di andarle a prendere una maglietta asciutta. Juliet mi ha raccontato tutto questo fra singhiozzi profondi e tormentati.
Ha un assistente domiciliare per 22 ore alla settimana, ma quando quelle ore si esauriscono non c'è nessun altro. Le ore a sua disposizione sono state dimezzate. La figlia sedicenne -che è affetta dal suo stesso disturbo- si è così ritrovata inevitabilmente ad avere più responsabilità nei confronti della madre, e la madre nei confronti della figlia. Quest’ultima è diventata sempre più ansiosa e ha iniziato a praticare autolesionismo. Invece di aumentare il supporto alla famiglia, l’assistente sociale ha deciso di affidare la figlia a un centro assistenziale, in modo che potesse concentrarsi sugli esami scolastici.
Parte dell’ansia di quella ragazzina è stata probabilmente causata dalla disperazione che deve aver provato vedendo la sofferenza della madre e sapendo di essere affetta dallo stesso male. Isolata ai margini della città, sola e indifesa, Juliet si sta affliggendo per la perdita della figlia.
Se non fossi andata a casa sua io -praticamente un’estranea-, non av ...[continua]
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