Cari amici,
marzo è il mese dedicato alle donne. Il Regno Unito culla fra le braccia sia la Festa della donna che la Festa della mamma, offrendoci l’occasione di riflettere e di celebrare quelle creature nel cui corpo abbiamo vissuto. Negli anni la Festa della donna ha mutato carattere, vestendo stili diversi al variare delle culture. In Italia, voi donate un mazzo di mimose gialle, mentre l’ex Unione Sovietica la considerava festa nazionale. Tuttavia in alcuni paesi non ha assunto la stessa importanza; è il caso, direi, della Gran Bretagna. Gli inglesi hanno sempre preferito la Festa della mamma. Oggi le vendite di fiori e cioccolatini salgono alle stelle, e la gente si fa gli auguri scambiandosi intere foreste di bigliettini fatti a mano che brulicano di baci. È diventata una grossa opportunità per inserzionisti e piccoli commercianti, pur preservando il suo spirito casereccio. Invece la Festa della donna, benché celebrata da più di un secolo, si fa notare meno. Le sue origini sono da ricercarsi nel movimento socialista dell’America dei primi del Novecento. La festa, che in alcuni paesi veniva chiamata Giornata Internazionale delle Lavoratrici, è stata privata di una parte del suo spessore originario per permettere agli uomini di esprimere il loro amore per le donne. Io preferisco considerarla una giornata dedicata alla creatività, alla grazia e alla forza del gentil sesso, ma anche un pretesto per parlare di certe disuguaglianze che persistono tutt’oggi. È una concezione strana, quella della donna e della parità.
Trovare sponsor per la Festa della donna può risultare complicato proprio a causa di una certa idea di discriminazione di cui sembrano essere intrisi i discorsi sui pari diritti. Sembra infatti che oggi le cose vadano meglio e che le donne abbiano raggiunto la parità, tanto che per qualcuno tutto ciò che è destinato alle sole donne e a promuoverne l’indipendenza in questo o quel campo finisce piuttosto per discriminare gli uomini.
Una mia amica ha fatto visita a un negoziante, uno di sinistra che vende prodotti biologici del commercio equo e solidale e la cui attenta clientela è composta da aficionados della sostenibilità. Cercava uno sponsor per un evento finalizzato a promuovere la Festa della Donna. Non si trattava di una manifestazione interdetta al sesso maschile; nel pubblico ci sarebbero stati anche uomini e ragazzini, e gli uomini avrebbero aiutato ad allestire l’evento. Esclusivamente femminili sarebbero state solo le esibizioni -letture, musica, teatro- almeno durante questa giornata. Le è stato risposto che le donne, avendo raggiunto la parità, non hanno alcun tipo di problema ad avvicinarsi all’arte e che quindi, per principio, non ci sarebbero stati finanziamenti se non per eventi concepiti per entrambi i sessi. Non si tratta di una reazione isolata; sempre più spesso si dibatte sulla legittimità degli eventi solo femminili e in particolar modo dei premi letterari per sole donne.
Il concorso più insigne per la narrativa femminile era conosciuto come Premio Orange. Oggi attraversa una fase di transizione, poiché la compagnia telefonica Orange ha deciso di dedicarsi alla sponsorizzazione di eventi cinematografici. Quest’anno il festival, rinominato Women’s Prize for Fiction, ha ricevuto numerosi aiuti privati nell’attesa che venga trovato un nuovo sponsor ufficiale. Si tratta di un concorso internazionale di ampia portata, visto che le vincitrici ottengono visibilità in tutto il mondo, dall’Himalaya all’Alaska. L’altro premio britannico di grande rilievo, l’Asham Award, è dedicato al genere del racconto breve. Si tratta di due occasioni per incoraggiare e supportare le donne scrittrici.
Questi concorsi vennero concepiti in reazione ai canoni letterari del passato; ma nell’anno in cui la scrittrice Hilary Mantel ha vinto il premio Booker -in origine per soli uomini- per la seconda volta, sono in molti a pensare che le cose siano ormai cambiate. In parte è così. Ma solo in parte. Infatti sono moltissime le donne che scrivono opere letterarie meravigliose che però difficilmente arrivano a essere rappresentate al cinema o in teatro. I dati di una ricerca della Sphinx Theatre Company evidenziano come solo il 17% degli spettacoli teatrali siano scritti da donne. Al cinema le percentuali calano ulteriormente, con le sceneggiature scritte da donne che occupano appena il 15% di tutta la produzione britannica. Perché? Le ragioni vanno cercate, almeno in parte, negli occhi della gente.
Kate Mosse, presidente del Women’s Prize for Fiction, ha detto: "La verità è che nei diversi settori dell’arte -che si tratti delle donne che dirigono i teatri, di quelle cui vengono commissionate importanti produzioni teatrali, delle donne che lavorano nel cinema o nella musica classica- la rappresentanza femminile resta bassa. In alcuni casi è ancora più bassa che in passato. La storia ci insegna che non esiste nessuna macchinazione diabolica per tagliare fuori le donne. Ma se fosse proprio la gente -vien da chiedermi- a prediligere ciò che conferma le proprie abitudini e credenze? Forse è così, non saprei. Quello che so è che questo concorso mantiene vivo il dibattito”.
Nel 2011 l’organizzazione americana Vida, che sostiene le donne che fanno arte, ha condotto un’indagine sulla visibilità pubblica delle scrittrici. I risultati indicano che è ancora presente un forte squilibrio. Il problema non riguarda soltanto chi scrive libri, ma anche chi li recensisce.
L’indagine ha rivelato che nel corso del 2011 sul periodico inglese "London Review of Books” le autrici recensite occupavano il 26% del totale (58 su 221) e che le recensioni scritte da donne costituivano appena il 16% (29 su 184). Sul periodico americano "New York Review of Books”, 17 dei 92 autori recensiti erano di sesso femminile, il 21% delle 254 recensioni erano state scritte da donne e così il 13% dei 152 articoli proposti. I dati relativi alla rivista inglese "Times Literary Supplement” parlano di 1.314 autori recensiti di cui il 25% era costituito da donne e di 1.163 recensioni di cui le donne hanno scritto appena il 30%. L’unica pubblicazione a presentare una maggioranza di firme femminili è stata "Granta”, con i contributi delle donne che si attestano al 53%, anche se la cosa è in gran parte dovuta al taglio femminista della rivista britannica.
Non si tratta soltanto di fare arrivare al pubblico dei bei libri: è in gioco la consapevolezza dell’esistenza stessa di questi fiumi di parole. È vero che per le donne sono stati fatti passi avanti in tutte le direzioni; nessuno può negarlo. Tuttavia, che si parli di questo o quel settore, la parità è ancora lontana. In attesa che arrivi, dovremmo sforzarci di trovare un po’ di spazio per festeggiare le opere delle donne, almeno una volta all’anno, senza che nessuno dica che è una cosa iniqua.
©Belona Greenwood
(traduzione di Antonio Fedele)
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