Come si fa quando ci si trova di fronte a questi problemi, la fecondazione artificiale, l’accanimento terapeutico, l’eutanasia, ad arrivare, fermi nella propria idea, di fronte alla scelta concreta? Per esempio un’amica ti chiede un consiglio se fare o no la fecondazione in vitro.
Lida. Ritorno al discorso di prima. Le chiederei: “cosa vuol dire per te avere un figlio?”. Senza fare discorsi filosofici o teologici. Se è il frutto di un rapporto d’amore, e si accetta che il figlio è anche un “dato”, un dono, io non gliela consiglio. La risposta sta tutta nel cosa vuol dire avere un figlio.
Maria. Io credo che in quello che hai chiesto ci sia una grossa domanda. La domanda dell’uomo di fronte all’impotenza. Di fronte alla singola domanda dell’uomo, quel bisogno che hai davanti ti manda in crisi, la tua idea crolla, quando le categorie che avevi nella testa rischiano di essere schematiche. A me accade, ed è accaduto tante volte, nella misura in cui stavo vivendo uno schema, questa cosa si fa così, io credo in questo, questo e questo, e dovevo continuamente riempire dei quadretti. Quando invece, e per quanto mi riguarda dico grazie a Dio, lo “schema” diventava un’esperienza che stavo vivendo nel rapporto con i figli, con il marito, con gli amici, un’esperienza reale che andava ad intaccare la mia umanità, mi veniva spontaneo dare la risposta che diventa una domanda, come diceva Lida. Con l’amica che ti chiede quel consiglio, se rispondi in base a uno schema, non ti impatti con quell’umano lì. Quando stai vivendo un’esperienza ti viene spontanea una domanda: ma tu perché stai cercando un figlio? A cosa deve rispondere? Ed è nella risposta a quella domanda che ci sta il giudizio sulla procreazione in vitro. Se tu stai vivendo un rapporto d’amore di un certo tipo con un uomo, anche in una convivenza, spogliato dalla pretesa, la risposta viene naturale. Vai proprio al cuore della persona. E poi l’aiuti come puoi. Ma già l’aiuti facendogli quella domanda.
Ma pensate che lei sbagli ad insistere?
Lida. Io dico: non farlo. Io non lo farei. E se ci dovessero essere delle leggi... Poi sarà la sua libertà quella che si gioca.
Maria. Tu, per lasciare all’altro la libertà di scegliere, di essere libero, devi sentirti libero di dire fino in fondo ciò che sei. Io non posso fare a meno di dire ciò che sono, ciò in cui credo, per quale motivo secondo me quella cosa umanamente non è giusta. La mia esperienza è che la vita è un “dato”. Io ci sono perché nessuno mi ha manipolato.
Lida. E questi “no” non sono un di meno per l’uomo, sono un di più. Il no all’aborto, per es. non è un di meno, è un di più, solo che l’uomo non lo capisce.
Come si fa a stabilire il confine tra genetica al servizio dell’uomo e manipolazione?
Maria. Rispondo come l’uomo della strada. Non so cosa sta succedendo nei laboratori, però so una cosa: o la ricerca è per l’uomo, per l’uomo intero, o se nasce dal desiderio dell’uomo di possesso della vita, allora è manipolazione. L’uomo desidera essere sano, star bene, curare la malattia, c’è stata data l’intelligenza per questo. Rimango invece molto scettica, molto preoccupata, quando leggo la notizia ad es. di quella donna che si è beccata l’AIDS con la fecondazione artificiale. Mi ha sconvolto, perché secondo me c’era un male ancor prima dell’AIDS che quella donna si è beccata, che è quello di andare a manipolare comunque la creazione della vita. Non ce la siamo inventata noi, l’uomo si è ritrovato con questa cosa.
Ho l’impressione che la tecnologia sia andata tanto in là che le categorie etiche tradizionali siano inadeguate.
Lida. Certi punti sono fondamentali e sono sempre validi. Il confine tra la ricerca vera e il possesso bisogna imparare a riconoscerlo. Io ho l’esigenza di avere de ...[continua]
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