Shadrac. Il fatto di non sapere autorizza spesso a fare delle semplificazioni, liquidando la situazione con la spiegazione che fatti spaventosi come quelli del Rwanda succedono perché ci sono due etnie che si scannano, per cui, quando avranno finito, si penserà ad aiutare chi avrà preso il sopravvento. Ci si chiede cosa è successo, come mai sia avvenuta una cosa del genere, ma quel che succede non è troppo sorprendente: quando un insieme di fattori che possono determinare una situazione esplosiva si trovano tutti assieme una situazione del genere può scoppiare dovunque, la Jugoslavia è qui vicino, basta semplicemente che qualcuno che vuole pescare nel torbido accenda la miccia: è quello che è accaduto da noi.
Il problema ruandese non è nato il 6 aprile, quando è stato ucciso, in un attentato, il presidente in carica: il grosso problema di quasi due milioni di fuoriusciti, per esempio, c’era già: erano cittadini ruandesi cui si impediva di accedere al proprio territorio perché una fazione si era appropriata del paese. E’ una cosa inaccettabile, inconcepibile, eppure è accaduta per trent’anni.
Françoise. Il presidente, adagio adagio, aveva messo tutto il paese sotto il controllo della sua famiglia, della sua gente, e chiunque poteva vedere questa ingiustizia. Nella scuola, poi, uno non riusciva a studiare perché era intelligente, ma perché veniva dalla famiglia o dalla regione del presidente. All’interno e all’esterno, quindi, c’era una situazione esplosiva, che spingeva a reagire. La reazione è stata che i ruandesi di fuori si sono organizzati e hanno chiesto, passando dall’Onu, di rientrare, ma il presidente ha rifiutato, mentre all’interno ammazzava o metteva in galera chi si rivoltava. Allora quelli fuori dal Rwanda si sono organizzati e quelli dell’interno sono riusciti a scappare per raggiungerli: i “ribelli” sono solo persone che vogliono giustizia. E’ così che la guerra, nel 90, è scoppiata e per reagire a questa guerra il presidente ha cominciato una politica molto dura, finendo per confondere il paese con il suo bene, col potere che non voleva dividere.
S. Capisci che quando, dall’alto della sua potenza, un individuo si comporta in questo modo e trova udienza ovunque -andava in giro a fare discorsi del genere: “Il paese è piccolo, non c’è posto per tutti, voi che siete fuori cercate di trovarvi una sistemazione così risolviamo il problema” e nessuno gli diceva nulla, anzi, gli è stato dato un aiuto consistente pensando che ormai il paese fosse di sua proprietà- è difficile non reagire. Il disastro che è stato fatto è una responsabilità ruandese, nessuno lo mette in dubbio, ma ci sono stati degli aiuti, delle agevolazioni, degli atteggiamenti che non sono certo meno condannabili. E’ certo un aspetto del razzismo che si pensi che certi atteggiamenti “da quelle parti”, in quei paesi incivili, si possano tollerare, che non succeda nulla.
F. Sulla carta d’identità ruandese c’era scritto il nome dell’etnia -hutu, tutsi o twa- e sono stati questi nomi quelli che hanno permesso alla gente di ammazzare subito. Il fatto che ci fosse scritta l’etnia sulla carta d’identità -anche se nel passato ci sono stati matrimoni misti e talvolta non potevi nemmeno distinguere uno dall’altro- in Sud Africa sottolineava l’apartheid, mentre in Rwanda succedeva la stessa cosa e nessuno diceva niente.
S. La pazienza ha un limite, la gente si è organizzata e, dopo aver tentato un ribaltamento politico della situazione, è stata costretta a ricorrere alla forza. E’ così che l’opposizione, da politica, è diventata una opposizione armata che ha invaso il paese e, come nella maggior parte dei casi quando una guerriglia armata è ben preparata e motivata, ha preso il sopravvento. Il governo, infatti, è stato costretto a venire a patti e ad intavolare delle trattative serie per risolvere il problema.
F. Volevo sottolineare una cosa: quando è cominciata questa guerra il presidente ha cominciato a dire che i guerriglieri erano ugandesi, ma alla fine ha dovuto accettare il fatto che chi lo attaccava era ruandese. Ha dovuto rendersi conto che in Rwanda aveva creato una situazione invivibile, in cui i giovani non avevano un avvenire. Mio fratello, per esempio, ha 17 anni e doveva studiare, ma la scuola non gli permetteva di studiare ed è dovuto andare nella guerriglia. Dicono che i guerriglieri sono tutti tutsi: no, non sono solo ...[continua]
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