La nostra "rete" non si basa su un generico "vogliamoci tutti bene", su un’ideologia della solidarietà, ma su un incontro da cui può nascere anche un’amicizia e da un confronto su intenti comuni, sul fatto che si analizzano le cose insieme. In questi anni abbiamo incontrato tante persone e non solo gente che aveva fatto grandi studi ma anche persone umilissime e semplicissime che, però, raccontandoci delle loro realtà, delle loro esperienze concrete, ci hanno cambiato un po’ la testa. Dall’indio dell’Equador, di 50 anni, che ci ha raccontato semplicemente la storia degli sforzi suoi e dei suoi figli per tirare avanti una cooperativa per la coltivazione delle patate, che era, diceva, "il loro modo di liberarsi", a una catechista del Salvador, un’aria da contadina, madre di un popolo di figli, foulard in testa, quella che noi potremmo definire una donnetta e della quale, però, ci avevano chiesto di tacere il nome perché poteva essere pericoloso per lei al ritorno in patria... Là i catechisti vengono fatti fuori se vanno oltre un certo limite.
Forse potrà sembrare banale, ma io non dimenticherò facilmente quelle persone. Dai loro racconti, poi, non trasparivano solo le realtà tremende in cui vivono, ma, in positivo, i progetti su cui si organizzano, le cose piccole che possono sembrare sproporzionate rispetto all’enormità dei problemi, e forse lo sono, ma che innescano prospettive reali, concrete, radicate, di un futuro diverso. E’ questo forse che ha dato anche a noi una certa carica: vedere persone schiacciate da problemi pazzeschi ma nello stesso tempo così vitali, piene di speranza, con un’energia incredibile e anche una capacità di lettura della realtà molto profonda. Sono incontri molto belli, dopo le disccussione, le sera, c’è una festa, si balla. Mi vengono in mente tante facce, tante persone. Ricordo Rigoberta Menchù che abbiamo incontrato più volte prima che ricevesse il Nobel, e anche dopo un paio di volte, che ci ha sempre detto: "è inutile che diciate i problemi del terzo mondo, c’è un unico mondo". Questo lo stiamo osservando sempre di più.
Il nostro non è un gruppo politico ma neanche vuol fare solo buone azioni: crediamo anche di fare politica, nel senso di un’azione che possa avere un senso anche qui. Partiamo dal piccolo, ma questo, secondo me, ti dà la possibilità di leggere anche il grande, di spingerti anche a scelte di campo molto precise e sempre più approfondite, ma non ideologizzata.
Si partecipa alla realizzazione di progetti anche minuscoli ma che vengono proposti da loro e nel tempo ci siamo accorti che questi progetti, per quan,to piccoli, sono forse una delle strade principali da percorrere per cambiare. Comunque questa è stata la caratteristica particolare del gruppo, dai tempi della sua fondazione, nei lontani anni ’60: appoggiare iniziative che non venivano né progettate né pensate qui, ma là, da persone che solo poi richiedevano il nostro intervento. Era un capovolgimento completo della logica tipica già allora della cooperazione, della solidarietà o degli stessi gruppi missionari: una cooperazione senza cooperanti.
Tant’è che una cosa che abbiamo sempre riscontrato è la felicità dei nostri amici quando potevano annunciarci che di lì a poco sarebbero divenuti indipendenti dal nostro aiuto. Era quello l’obiettivo fondamentale e anche l’ispirazione originaria: fornire l’aiuto iniziale, il capitale iniziale detto altrimenti, ad attività progettate e organizzate da loro che potessero in breve tempo diventare del tutto autonome.
Sì, noi diamo una decima, che dovrebbe essere una decima parte del tuo reddito. Poi anche lì c’è un’estrema libertà, ognuno manda quello che si sente di mandare. Si sa però che quel tot di denaro serve per delle cose molto precise: noi abbiamo continuamente rapporti con coloro che aiutiamo, paghiamo loro il viaggio perché vengano a raccontarci e chi di noi può va e viene accolto nelle varie realtà. Ripeto, le realtà sono tantissime e diversissime e le cosiddette operazioni, è un brutto nome, sono tante. In questo momento sosteniamo una radio di alfabetizzazione popolare in Guatemala: è gente che spende pochissimo, ci hanno chiesto 5 milioni in tre anni. ...[continua]
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