Come ti trovi a vivere nella nuova Berlino?
Sono stata al Parlamento Europeo dall’89 al 94. Al rientro dopo soli cinque anni sono rimasta scioccata dal cambiamento avvenuto. In città sono arrivati nuovi immigrati, polacchi, russi, ucraini, rumeni. Per loro Berlino è sempre stato un punto di passaggio nei trasferimenti verso l’Ovest. C’è, ora, una nuova comunità di circa 10 mila russi di origine ebraica. Per chi arriva a Berlino, la vita non è facile. Ha una storia di città dura; già dagli anni ’20 attirava la povera gente e anche oggi il 60% del popolo berlinese è un popolo povero.
Berlino ha una storia diversa dalle altre città germaniche. Il settore Ovest è stato un luogo extraterritoriale della Germania: i soldi venivano da fuori o dalle istituzioni internazionali. La Freie Universitat -l’università libera- era un’istituzione americana. Ora è difficile per la città trovare un modo di vita normale. C’è un livello culturale ed intellettuale molto ricco, ma l’economia della regione è povera, con una struttura industriale poco moderna.
Ora anche quella poca industria se ne va e c’è una disoccupazione molto forte. Ci sono molti cantieri edili ma con operai inglesi, irlandesi, anche italiani, che costano meno. Così perfino tra i lavoratori edili tedeschi c’è molta disoccupazione. Bisogna riconoscere che Berlino è sull’orlo della bancarotta. Gli amministratori avevano un ruolo importante nella distribuzione dei fondi assistenziali, nei mille progetti in campo sociale e culturale. Tutto ora deve essere cambiato perché non ci sono più soldi.
Ma Berlino è contemporaneamente il luogo privilegiato in cui l’unificazione può essere vissuta giorno per giorno. Se vai a Dresda o a Francoforte ognuno è ancora immerso nella propria cultura, nella propria storia. Mentre qui bisogna mettersi insieme. Ci sono ancora forti differenze culturali, ma il mondo del lavoro è già ben intrecciato con una buona cooperazione. C’è integrazione ma anche separazione. C’è bisogno sia di integrazione che di ambiti di separazione. Un processo interessante che però richiede tempo. Se vuoi mettere tutto insieme frettolosamente non funziona. C’è bisogno di avvicinarsi e anche un po’di allontanarsi. Nella vecchia Berlino Est il Pds ha raccolto più del 30% di consenso. C’era una tradizione che affidava allo Stato l’occuparsi delle cose sociali. Invece con l’unificazione hanno dovuto capire che c’è bisogno di un sistema sociale ma che è anche necessario uscire dalla passività, dalla rassegnazione e assumersi qualche responsabilità e rischio personali.
Dall’insicurezza che abbiamo vissuto ad Ovest nei decenni del muro è venuta anche un’energia.
Da questa insicurezza ci veniva la convinzione che dovevamo fare qualche cosa.
E chi ha vissuto ad est ora ha provato per 6 anni il sistema dell’ovest ed è in grado di fare i conti.
Pensi che il saldo tra più e meno sia considerato negativo dai lavoratori dell’est?
Bisogna intanto pensare che la disoccupazione alI’Ovest è molto più alta che a Est (14 % contro 11 %). Lo Stato ancora fa di tutto per creare delle possibilità a chi vive nell’Est. Che non è solo Berlino. Ci sono paesi dell’Est, zone di campagna, dove la disoccupazione raggiunge il 50%, dove c’è molta insicurezza. Così lo Stato cerca di rallentare la crisi con sussidi o corsi di formazione. C’è anche una quota non piccola di lavoro nero, tra i molti che non hanno la cittadinanza ufficiale, i clandestini, quelli che vivono dei 500 marchi circa di assistenza sociale, che sono molto pochi per la Germania. Tutte queste persone vivono in stato di ansia perché i controlli sono molto più accurati che in altri paesi. Rischi l’espulsione o la perdita dell’assistenza. C’è un forte stato sociale ma anche un forte controllo dello Stato. C’è una legislazione molto reazionaria per i rifugiati che ottengono facilmente l’asilo politico e un sussidio umanitario, ma non possono avere cittadinanza e lavoro legale.
A Berlino Est hanno creato negli ultimi cinque anni 300 mila nuovi posti di lavoro perché lì ci sono molti che hanno una qualificazione professionale più alta della popolazione tradizionale dell’Ovest e perché i giovani sono disponibili anche ad accettare condizioni di lavoro peggiori. Chi ha più difficoltà sono gli operai dell’industria tradizionale dell ...[continua]
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