Libera, Amico, Chiara ed En sono figli di Danilo Dolci e vivono a Palermo.

La vostra era una famiglia numerosa già prima che nasceste...
Amico. La mamma ha incontrato papà che già era vedova con cinque figli. Era andata con la sorella a lavorare su al "Borgo” come volontaria. Lei finiva di stirare le cose per i bambini molto tardi e papà invece si alzava prestissimo per scrivere, leggere, eccetera, così finiva che a volte si incontravano. Si sono conosciuti, stimati, innamorati e sposati. Libera è stata la prima bambina dopo i cinque figli di Vincenzina, ed è stata una festa per tutto il paese. Beh, non proprio per tutti... il prete non li voleva neanche sposare!
Perché? Ma perché i rapporti con una certa Chiesa erano molto difficili: era un mondo poco evangelico e molto colluso con la mafia; queste cose si sapevano e sono ormai appurate.
Tra i primi ricordi della mia infanzia c’è quest’orticello che avevamo e che si annaffiava di sera. Ecco, a parte le conversazioni, la luna che ci teneva compagnia, c’era in sottofondo la musica di Bach. In casa c’erano questi vecchi grammofoni con i dischi che duravano non più di sei, sette minuti per lato, per cui o Turi, o Luciano, insomma un bambino doveva stare di turno e dare la molla al giradischi. Questo contrasto tra la miseria e la poesia, la musica, l’ho sempre trovato affascinante. Per me è sempre stata un’immagine bellissima. Ci si faceva forza anche grazie a queste cose.
Poi ricordo che la gente era sempre lieta, contenta di partecipare alle manifestazioni, anche se all’origine c’erano problemi gravi: il bisogno di scuole nuove, l’ospedale, la fognatura; ogni volta, in quelle occasioni, rivedevamo gente fantastica: Lucio Lombardo Radice, Carlo Levi, Ernesto Treccani, assieme a gente semplicissima e noi bambini che magari, assieme a Franco Alasio, avevamo aiutato a dipingere i cartelloni con le rivendicazioni, eravamo contenti di stare assieme a gente solidale e al contempo gioviale.
Mi ricordo l’atmosfera quasi di festa e che dopo chiedevamo conto sia a Franco che a papà: "Allora, è servito?”. Al tempo della diga centinaia e centinaia di persone avevano bloccato il cantiere per evitare ci fossero infiltrazioni, collusioni con la mafia, e il sindacato, con dietro il centro studi, interrompeva i lavori; per noi anche questo era una festa: andare assieme agli operai la sera tardi, dormire un po’ come si poteva, in qualche brandina. Anche fare i digiuni. Forse chiamarli digiuni è un po’ presuntuoso, ma per bambini di sette, otto anni non mangiare a pranzo per solidarietà era impegnativo. Ricordo tantissimi operai, tantissimi anziani che resistevano, loro digiunavano per quattro, cinque giorni; e questo ha consentito di portare avanti i lavori della diga in maniera assolutamente pulita.
Ricordo che papà ci chiedeva se immaginavamo già il lago in quella parte di campagna dove talvolta andavamo a passeggiare e io dentro di me pensavo: "Ce ne vuole di fantasia per vedere un lago qua!”, era emozionante veder crescere la diga con questi camioncini che in lontananza sembravano giocattoli a movimentare la terra. Facevamo anche delle gite in macchina per vedere quando si cominciavano a chiudere le saracinesche e il rigagnolo diventava un fiumicello, e poi si alzava il livello di questa grande pozzanghera che via via diventava un lago e sommergeva le abitazioni. Quel risultato, così desiderato, ha contribuito a creare in tutti noi la convinzione che ciascuno può, da solo o insieme ad altri, pensare, inventare, organizzare, e poi vedere realizzate certe cose. Per me è quasi una garanzia: se si vuole, se si cercano le giuste strade e le giuste modalità, il successo è assicurato.
Libera, tu sei la primogenita.
Libera. Sono la prima del secondo round, diciamo così. Devo anche subito dire che questo essere la prima di cinque (e poi di sette) figli, se da un lato mi ha responsabilizzato, dall’altro mi ha molto gratificato, perché soprattutto papà -la mamma era un pochino più riservata- non perdeva occasione per farmi sentire importante. Ecco, questa sua attenzione, questo prendersi cura dei più piccoli, di chi è più fragile mi è rimasto nella vita; non a caso ho scelto di fare l’insegnante della scuola d’infanzia.
Comunque è vero: siamo nati in una famiglia numerosa e io sinceramente mi sono sentita accolta da un’affettività incredibile che ancora oggi mi porto dentro. Io ero la prima femminuccia. Maschi erano i figli della mamma, e maschi erano i ragazz ...[continua]

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