Boris Porena, 87 anni, è compositore, saggista e filosofo della cultura; Paola Bucan è violoncellista e insegnante di quartetto d’archi. Vivono a Cantalupo di Sabina.

Vorrei che mi raccontaste del Centro che avete fondato e di questa ipotesi Metaculturale, cosa significa?
Paola. Nel 1975 abbiamo fondato il Centro che si chiamava Centro Musica in Sabina, ma dopo qualche anno è diventato Centro di Ricerca e Sperimentazione Metaculturale perché ci siamo resi conto che restringere il discorso solo sulla musica era molto limitativo. La nostra ricerca, la nostra sperimentazione è partita certo dalla musica, in quanto Boris, e anch’io, siamo musicisti, ma poi si è sviluppata anche su altri campi.
Boris. A un certo punto mi sono reso conto che il nucleo centrale della mia attività produttiva, ma forse è meglio dire della mia vita, non era e non tanto solo la musica, quanto, appunto, l’ipotesi metaculturale e tutto ciò che ne derivava. Così per trent’anni ho frequentato le scuole elementari di mezza Sabina. Andavo in giro con la R4, bussavo alle classi delle scuole elementari e chiedevo: "Vi serve aiuto?”.
Qualche volta mi dicevano di sì, qualche volta mi cacciavano via, però in questo modo ho potuto fare veramente esperienze straordinarie per circa una ventina di anni. Dal 1967 al 1987 ho completamente interrotto l’attività di compositore e mi sono dedicato esclusivamente a un’attività di base con i ragazzini, ma anche con gli adulti, e alla formazione di questi operatori, che attualmente sono ancora attivi sul territorio. Nell’87, quasi per caso, anche grazie al fatto che il Centro si era ingrandito e contava ormai su questi altri operatori, ho ricominciato debolmente a comporre, finché, alcuni anni dopo, è diventata anche quella una produzione, forse... anzi direi sicuramente, eccessiva, sovrabbondante. Ma non ho mai interrotto l’attività teorico-pratica né sul territorio né nel chiuso delle mie stanze. Posso dire che sono abbastanza contento, perché ho avuto un’attività molto piena, una vita molto ricca, e anche l’incredibile fortuna di incontrare Paola...
Com’era questa attività di base con i ragazzini? Partivate da un’alfabetizzazione musicale classica?
Boris. Nooo!
Paola. No, questa è una giusta domanda e la risposta è un disdegnato no... L’approccio era di invitarli a fare musica in una situazione informale. Per esempio, battendo le mani o producendo suoni sempre scelti e diretti da loro. Noi, in verità, siamo intervenuti pochissimo. Potevamo proporre un progetto di massima, dopodiché i successivi arrivavano direttamente da loro, con scambio di ruoli fra tutti, per cui non emergeva mai nessuno, ma erano tutti ugualmente presenti.
Una sorta di "improvvisazione guidata”.
Paola. Sì, si poteva partire dalla emissione di una lettera A prolungata, seguita dal silenzio. Poi si chiedeva: "Con quante cose abbiamo lavorato?”, rispondevano: "Beh, con una A”. "Allora la facciamo ancora?”. E lì qualcuno poi si accorgeva che non avevamo usato solo la lettera A, che c’era anche il silenzio, il niente. "Allora -chiedevo io- con quanti elementi abbiamo lavorato?”. Ci pensavano e rispondevano: "Due”. Quindi per fare una composizione il minimo è avere due elementi. Il sì e il no. Poi occorreva subito memorizzare il tutto, codificarlo per poterlo eventualmente ripetere. Di solito, succedeva che i suoni erano diversificati e memorizzati attraverso l’analisi.
Per cui le fasi erano: progetto, verifica e analisi. Sempre! Ogni intervento comprendeva l’analisi. E, rispetto all’analisi, si faceva il seguente ragionamento: allora, abbiamo variato l’elemento che si sente, ma quello che non si sente no. Così poteva venire un ragazzino e proporre: "Adesso io cambio solo quello che non si sente”.
Ma il successivo problema con cui si confrontava era come essere sicuro di rifare esattamente il silenzio. Come lo posso misurare, come faccio perché sia uguale? Come si misura il tempo? In metri? In centimetri? È venuto fuori che conveniva contare delle unità.
Boris. Il nostro lavoro si basava essenzialmente sulla composizione musicale, non sull’esecuzione o sull’ascolto. Sì, c’era anche quello, ma in una fase molto più avanzata. All’inizio, tutto il nostro lavoro, dapprima il mio, ma poi anche quello di Paola e degli altri componenti del Centro, era basato sulla composizione dei suoni, cioè come metterli assieme. I suoni erano rappresentati dalle palline sul foglio e quindi, all’inizio, molti di questi ragazzini ...[continua]

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