Sono vent’anni che fate le "mamme sociali”.
Maria. Col tempo le cose sembra che cambino, invece sono sempre le stesse! È sempre un’avventura. Certo, ogni giorno è diverso, ogni ragazzino è una situazione a sé, ma con gli anni capita che un ragazzo te ne ricordi uno del passato, perché l’ambiente in cui vivono è sempre lo stesso.
Fortuna. Abbiamo iniziato con i piccoli, dai quattro anni in su. Poi, con "Chance”, avevamo quelli che dovevano prendere la licenza media. Loro ora sono adulti: quando capita di incontrarli, ripensi a tutto il lavoro fatto per fargli capire che ci sono altri percorsi di vita, che c’è del bene, nonostante il disagio che vivono. E scopri che qualcuno sei riuscito a portarlo fuori.
Patrizia. Recentemente abbiamo incontrato uno dei ragazzini del progetto "Chance” vicino alla stazione. Ci ha chiamato lui, noi non lo avevamo visto… Sta cercando lavoro e ha detto: "Forse andrò fuori Napoli”. Alla fine ha aggiunto: "Ah, quanto mi serve l’inglese, e pensare che voi me lo dicevate sempre!”.
Fortuna. Allora aveva 12 anni, oggi è un uomo, ne ha quasi 23. Da ragazzo non parlava, non si affidava... Ma parlava con gli occhi. Quanto c’è voluto per fargli mettere la penna su un foglio! Insomma, gli abbiamo chiesto cosa sta facendo: fa lo steward allo stadio San Paolo. È una vittoria grande, un passo enorme; poterlo reincontrare, scoprire che fa un lavoro del genere, che non è accessibile a tutti, e che comunque non s’accontenta ma si sta informando per andare fuori, che vorrebbe imparare un po’ di inglese... Come lui ce ne sono tanti.
Li riconoscete, dopo tanti anni?
Fortuna. Quasi sempre. Ora sono grandi, alcuni sono papà e ci presentano i figli, è bellissimo! D’altra parte quando uno di questi ragazzotti ti viene vicino e ti abbraccia, può essere solo uno di loro! L’altro giorno, che ero per strada, ho visto avvicinarsi uno col motorino. Mi sono detta: "Questo è pazzo, cosa vuole?”. Era uno di loro...
Patrizia. A volte li vedo e li saluto, anche se sul momento non mi viene in mente chi siano. Mi torna in mente dopo. Loro mi baciano, mi chiamano "mamma Patrizia”.
Dopo il progetto "Chance” come sono cambiate le cose?
Maria. Prima eravamo in un’isola protetta all’interno della scuola, in un padiglione a sé, con un gruppo di ragazzi mandati dagli assistenti sociali. Ora lavoriamo nelle scuole medie e superiori con la collaborazione degli insegnanti. Ma non seguiamo solo i "nostri”! Chiunque riteniamo abbia bisogno di una parola buona, cerchiamo di aiutarlo.
Com’è il rapporto con gli insegnanti?
Fortuna. Mi rendo conto che oggi è veramente difficile fare il docente. C’è il docente motivato e che cerca il tuo aiuto per le situazioni in cui non ce la può fare, un po’ perché non glielo consente il lavoro e un po’ perché il ragazzo lo vede come l’istituzione.
Poi ci sono i docenti che non riescono, non per mancanza di voglia, ma perché sono demotivati, e che ti dicono: "Non si può fare, non mi interessa...”; "Io in queste ore devo fare tot, poi va bene così”.
Con noi invece i ragazzi sono più liberi. Una volta credevo che la colpa fosse tutta degli insegnanti, ma lavorandoci insieme ho capito che hanno proprio le mani legate. Pensiamo, per esempio, a quanto è difficile far uscire i ragazzi da scuola. Le famose "visite” all’esterno non si fanno perché i docenti hanno paura a uscire con questa tipologia di ragazzi, e a questo si aggiungono gli impedimenti burocratici. Capita spesso. All’inizio dell’anno ci accordiamo con la scuola per portarli fuori, con tutte le autorizzazioni possibili e immaginabili anche da parte dei genitori, e poi arrivi al giorno prima che ancora non si sa quale docente ci accompagnerà.
Patrizia. Ad altri manca proprio la voglia. Fanno i professori solo per guadagnare lo stipendio. A volte lo rinfacciano anche a te: "Perché, tu non lo fai per questo?”. Alcuni ti complicano la vita, e spesso mi trovo a pensare che in quel ...[continua]
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