Vogliamo partire dal momento in cui lasciaste Santa Sofia per rifugiarvi a Malacappa, nella residenza di Leandro Arpinati?
Sì, a Santa Sofia venne ucciso un fascista e immediatamente i repubblichini vennero a casa nostra, cercavano mio padre e mio fratello, che per caso non c’erano, erano andati via da due, tre giorni. C’eravamo mia mamma, io, mia sorella e mia cognata. Misero a soqquadro la casa. Dopo qualche ora partimmo anche noi e saremmo tornati a Santa Sofia solo a guerra ultimata. Andammo a Malacappa, ma non direttamente. Sostammo prima in casa dei Mambelli, la famiglia di un’amica di mia sorella che si trovava appena fuori Forlì, a Bagnolo. Restammo lì una settimana. Prima di partire, quella settimana mio padre tornò a trovarci, doveva anche andare in prefettura ad avvisare che si stava allontanando, ma nessuno gli chiese dove stesse andando. Dopo due giorni che era passato nostro padre arrivò Tonino Spazzoli. Ci caricò in macchina con quel po’ di roba che avevamo e partimmo per Malacappa.
Durante il viaggio notammo una macchina che ci seguiva; a un certo punto ci superò, ci tagliò la strada e ne scesero giù tutti col mitra puntato, biascicando delle spiegazioni: "Ah, cercavamo... Certe cose corrispondono, certe altre no...”. Sembrava ci fossero problemi, poi infine ci dissero: "Andate pure”. Probabilmente avevano avuto la segnalazione su Tonino Spazzoli... Che poi ci disse che aveva dei foglietti nascosti dentro al cappello.
Insomma, arrivammo infine a Malacappa, dove rimanemmo dal marzo del ’44 fino al maggio del ’45. Oltre un anno.
Stavamo nei capannoni, dove una volta mettevano le mele. Ce n’erano due, di questi capannoni, dove stava tanta gente sfollata da Bologna. All’inizio le cose non andavano male, è dopo che è stato pesante. Il giardino della villa era sempre occupato da un comando tedesco. I repubblichini fecero qualche incursione, ma essendoci i tedeschi non si spingevano troppo. Sicuramente siamo stati meglio coi tedeschi che con i repubblichini. Però è stato un anno duro, bisognava star sempre molto allerta.
Venivano a trovarci poche persone, perché bisognava stare attenti, passavano molto in fretta e un po’ guardinghi per via della presenza del commando nella villa. Sì, a un certo momento la vita a Malacappa divenne proprio dura. Veniva Tina Gori, ma soprattutto Tonino Spazzoli.
Ci può parlare di Arpinati? Come lo ricorda?
Mio padre era un grande amico di Arpinati. Io l’avevo sempre visto per casa, ma ero molto piccola. L’ho rivisto dopo, che avevo 15-16 anni, e beh, indubbiamente era un uomo di grande carisma. Ne avevo un bel ricordo. Arpinati, questo gigante, conosciuto da tutti. Anche lui aveva fatto tanto tempo al confino, a Lipari.
Anche suo padre andò al confino…
Mi ricordo quando lo vennero ad arrestare, avrò avuto cinque, sei anni, e mi misi seduta sulle scale che portavano di sotto alle camere da letto. Vedevo ’sta gente che entrava e usciva, la casa si era riempita di poliziotti, e non capivo... Lo arrestarono e lo portarono a Forlì; noi lo andammo a salutare lì perché poi doveva partire per la Sardegna, per il confino.
Mio padre fu mandato in Sardegna per un anno. In quell’anno ricordo che mia madre andò dieci volte da Santa Sofia a Civitavecchia per prendere la nave e andarlo a trovare. Quello fu un anno tristissimo anche della mia vita. Io ero piccola, avevo sei o sette anni e non mi hanno mai portata in Sardegna. Però ci sono andati tutti i miei familiari, non l’abbiamo mai lasciato solo. C’era sempre qualcuno di noi. Sì, ero piccola, ma l’ho sentito molto, quel periodo. Brutto. Sentivo la nostalgia in un modo incredibile. Ero da una mia zia, avevo dei cugini con me, per carità, non ero sola, però... L’ho sentita molto.
Dopo un anno poteva rientrare, ma siccome allo scadere dell’anno non era giunto alla questura di Lanusei l’avviso del rientro, andò a Nuoro per fare un telegramma a Mussolini e dirgli, appunto, che era scaduto l’anno, che doveva tornare. Dopo pochi giorni ebbe il permesso di rientrare in continente, ma non gli fu consentito ancora di rientrare in Romagna, così andammo tutta l’estate a Partina, al castello di don Luigi, un prete che era stato tanto tempo in Brasile. Abbiamo una fotografia, quella dove c’è quell’albero e noi siamo tutti lì.
Mussolini e Torquato si conoscevano bene?
Beh, erano stati ...[continua]
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