Nel numero scorso abbiamo raccontato l’impresa di Ostia, dove i braccianti ravennati, riuniti in cooperativa, riuscirono in un’impresa fino ad allora sempre fallita: la bonifica di un territorio paludoso e infestato dalla malaria. Abbiamo raccontato che poi molti di loro si insediarono lì, diventando agricoltori. Ora torniamo a Ravenna. Malgrado il dissesto economico della cooperativa, le cui cause le hai spiegate nel numero scorso, tu sostieni che l’impresa di Ostia fu fondamentale per lo sviluppo del movimento cooperativo. Ci vuoi spiegare?
Sì, è vero. La vicenda di Ostia, pur nella sua difficile gestione, aveva dimostrato le grandi capacità lavorative e la professionalità dei braccianti dell’Associazione. Come ho già detto, la bonifica, dal punto di vista tecnico, era stata portata a termine con successo e, dopo le iniziali difficoltà, dovute alla criticità della situazione economica e alle polemiche suscitate dal rapporto con la Corona e con il Governo, diventerà un "caso nazionale” contribuendo a valorizzare le capacità tecniche e imprenditoriali dell’Associazione. Quell’esperienza fu messa a frutto anche a Ravenna allorché nel 1903, a un anno dalla sua costituzione, la Federazione delle Cooperative ottenne il grande appalto per la costruzione del canale Destra Reno, che realizzò attraverso la costituzione di un apposito consorzio che coinvolse le principali cooperative di braccianti del territorio ravennate e dei territori limitrofi.
Questa importante impresa segnerà l’avvio di una nuova grande esperienza tecnico-imprenditoriale che consentirà alla Federazione stessa di divenire quel grande consorzio di Cooperative di riconosciuto prestigio a livello nazionale, tanto da ottenere lavori anche fuori dall’area ravennate, come nel trevigiano, nel Metaponto, fino a spingersi anche oltre i confini nazionali, portando i suoi braccianti a lavorare in Jugoslavia e in Grecia. Nel ricco archivio fotografico della Federazione delle Cooperative, largamente documentato dal volume "Scatti di memoria; la fotografia come fonte per la storia” edito dall’editore Longo nel 2002 a mia cura, sono conservate decine di immagini in bianco e nero che raccontano la storia del lavoro di bonifica; sono particolarmente efficaci quelle che rappresentano lunghe file di scarriolanti che si arrampicano lungo gli argini in costruzione del canale Destra Reno, le quali ormai fanno parte dell’iconografia della cooperazione ravennate.
Ma perché il movimento cooperativo prende un tale impulso proprio a Ravenna?
In parte la motivazione la puoi ricavare dalla storia che ti ho raccontato circa la costituzione dell’Associazione degli Operai Braccianti del Comune di Ravenna, legata alla grande intuizione di Nullo Baldini, e sull’avventura di Ostia. Tutto questo fu la conseguenza del grande bisogno di lavoro che si determinò nel ravennate e che si accentuò fortemente alla fine degli anni settanta dell’Ottocento a causa dell’acuirsi della crisi dell’Agricoltura.
Credo però sia utile ripercorrere l’effetto di una serie di avvenimenti che si sono determinati fin dalla prima metà dell’Ottocento nel ravennate e che hanno avuto gravi impatti nel territorio. Occorre partire dal primo, ovvero dalla rotta del fiume Lamone, avvenuta nel 1839, in prossimità dell’abitato di Ammonite, vicino alla frazione di Mezzano allorché, in seguito a forti piogge durate per molti giorni, l’argine del fiume collassò e le sue acque invasero centinaia di ettari di terreno produttivo che vennero così sottratti alla loro vocazione agricola trasformando molti coloni e mezzadri in prestatori d’opera in continua ricerca di lavoro.
A questo si sommò poi gradualmente un effetto del progresso tecnologico che determinò la possibilità di rendere più veloci i trasporti marittimi applicando i motori a vapore nella trazione dei bastimenti. Ciò provocò l’accelerazione dell’importazione di grandi quantitativi di cereali a basso costo dall’America, con l’effetto di accentuare la crisi dell’agricoltura ravennate che aveva subìto anche gli effetti della "tassa sul macinato”.
A causa della crisi dei prezzi agricoli le famiglie mezzadrili, che rappresentavano uno degli assi portanti del tessuto sociale agricolo, furono costrette a espellere molte braccia dal fondo rurale. Spesso erano i figli che si vedevano costretti a lasciare i lavori nel podere ai genitori per andare a ingrossare le file dei braccianti.
La somma degli effetti dovuti a questi avvenimenti fece sì ...[continua]

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