Ci puoi spiegare cosa sta succedendo in Yemen, chi sono i belligeranti e per che cosa combattono?
Gli attori coinvolti nel conflitto sono moltissimi, ma in termini molto grossolani li si può ridurre a due principali schieramenti, gli Huthi da una parte e il governo yemenita di Abd Rabbuh Mansur Hadi dall’altra. Gli Huthi sono un gruppo di stampo religioso proveniente dallo Yemen settentrionale e il 21 settembre 2014 hanno preso il controllo della capitale, Sana’a, sostenendo di voler combattere la corruzione e rimettere in sesto l’economia. Di lì a poco il presidente Hadi è fuggito ad Aden e quando gli Huthi hanno cercato di conquistare anche quella città, sono scoppiati degli scontri violentissimi: mentre a San’a essi godevano del sostegno di almeno una parte della popolazione, non era così ad Aden e la loro marcia ha provocato un bagno di sangue che è continuato fino a quando non sono stati costretti a ritirarsi. Nel frattempo il presidente Hadi aveva raggiunto Riyad e il 26 marzo 2015 la coalizione militare guidata dall’Arabia Saudita è entrata in guerra a sostegno delle forze governative, con un attacco notturno privo di preavviso. È stato l’inizio della catastrofe umanitaria cui ci troviamo di fronte. Già prima di allora la popolazione civile aveva sofferto molto, ma con l’inizio dei bombardamenti aerei tutto a un tratto la vita modesta e le piccole attività delle persone sono state spazzate via. A questo si è poi aggiunto il blocco dei porti e degli aeroporti imposto allo Yemen dalla coalizione saudita. Così gli yemeniti si sono ritrovati bloccati in un’enorme prigione. L’economia è collassata e le condizioni sanitarie sono peggiorate drasticamente. La gente ha smesso di ricevere lo stipendio e sono scoppiate diverse epidemie tra cui una di colera. Va sottolineato che gli attacchi aerei non si limitano a prendere di mira obbiettivi militari, ma colpiscono indiscriminatamente abitazioni civili e anche scuole e ospedali.
Qual è il ruolo dell’ostilità tra sunniti e sciiti e quale quello delle potenze regionali e internazionali?
L’idea che si possa ricondurre il conflitto a uno scontro tra sciiti e sunniti è frutto di una semplificazione mediatica. Io credo che le sue vere radici si trovino piuttosto in una lotta spietata per il potere e soprattutto per il denaro. In ballo ci sono miliardi di dollari e di euro di investimenti in commercio d’armi; in questa guerra si fanno degli affari colossali e tutte le parti coinvolte ne stanno traendo un consistente profitto. Fatta eccezione, ovviamente, per la popolazione civile.
L’intervento della coalizione guidata dall’Arabia Saudita ha l’obiettivo di annientare gli Huthi e di rimettere Hadi al potere, ma stiamo parlando di uno schieramento di natura ideologica che ha un grandissimo seguito. A Sana’a ci sono Huthi in ogni casa. Al di là di ogni valutazione etica o umanitaria, questo significa che non è pensabile sterminare queste persone o risolvere la questione militarmente.
Sono passati tre anni dall’inizio dell’intervento e possiamo vedere i risultati: gli Huthi sono molto più forti di quanto non fossero all’inizio della guerra e sono stati addirittura in grado di lanciare dei missili contro Riyad, cosa che in passato ci sarebbe sembrata impossibile. Io credo che senza l’intervento dell’Arabia Saudita le parti in conflitto avrebbero finito per trovare un accordo, attraverso il dialogo o la mediazione a livello tribale. In ogni caso l’intervento di altri paesi non fa altro che alimentare le violenze.
La tua organizzazione viene finanziata dai paesi europei, gli stessi che traggono profitto dal commercio d’armi che voi denunciate.
Sì, Mwatana viene finanziata anche dall’Unione europea e dalla Friedrich Ebert Stiftung, oltre che dall’Unicef, dalla Fondazione Open Society e da tanti altri. In Yemen i paesi europei venivano considerati come un esempio luminoso di rispetto dei diritti umani, ma ora gli yemeniti trovano i nomi di queste nazioni sui resti delle bombe che hanno distrutto le loro case: Gran Bretagna, Germania, Italia, come nel caso che abbiamo denunciato con l’Ecchr e Rete disarmo. E sappiamo anche che questi paesi stanno guadagnando miliardi di euro attraverso la vendita di queste armi all’Arabia Saudita, agli Emirati Arabi Uniti o ad altri membri della coalizione.
La vostra organizzaz ...[continua]
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