In un articolo comparso sull’Informatore zootecnico, periodico degli allevatori italiani, lei viene definito un "animalista convinto" per le posizioni assunte all’interno del gruppo di lavoro da lei presieduto a proposito delle modalità di allevamento dei vitelli. Cosa pensa di questa definizione?
Penso che tutti coloro che si occupano di allevare animali, o che interagiscono con gli animali in generale, dovrebbero pensare al loro benessere. Il mio ruolo principale è fare ricerche scientifiche per studiare lo stress and welfare degli animali domestici e rendere noti i risultati delle ricerche che facciamo qui a Cambridge e che vengono fatte in molti laboratori di ricerca nel mondo. Sulla base di tali risultati si possono poi prendere delle decisioni sul comportamento da tenere nei confronti degli animali.
In Italia è quasi inconcepibile che uno scienziato richiami l’attenzione sull’importanza dei cambiamenti sociali nel rapporto uomini-animali e sui problemi etici posti dalla questione dell’animal welfare, come lei ha fatto in Stress and animal welfare. Come è arrivato a mettere in relazione la sua ricerca scientifica sugli animali con i problemi morali e sociali?
Il mio background è decisamente quello di uno scienziato. Credo che chiunque sia uno scienziato debba essere conscio delle implicazioni che interessano la comunità, debba riflettere sulle conseguenze delle proprie ricerche. Questo è valido per qualsiasi tipo di scienza. Detto ciò, penso che, in particolare nel nostro campo, dove stiamo effettuando delle misurazioni sugli effetti dei diversi tipi di trattamento sugli animali, dobbiamo separare completamente la valutazione scientifica da qualsiasi cosa abbia a che fare con decisioni morali o etiche. Devo fare lo scienziato in modo completamente oggettivo e ottenere risultati scientifici; una volta che questo è stato fatto, è necessario che qualcuno decida cosa è giusto e cosa non lo è. Se è accettabile fare una certa cosa all’animale oppure no, è una decisione morale ed etica che dovrebbe essere presa dopo che gli scienziati hanno fatto le ricerche e che può essere presa da chiunque sia in grado di capire i risultati, se i risultati sono presentati in maniera chiara. Le decisioni etiche vanno prese sulla base di conoscenze scientifiche. Quello che faccio è presentare le informazioni, ma, naturalmente, ogni scienziato ha le proprie opinioni e se qualcuno gli dice: "Ok, ci hai comunicato la scienza, adesso dicci qual è la tua opinione", penso che lo scienziato possa dire la sua opinione, sempre mettendo in chiaro, però, la distinzione fra il suo giudizio morale ed etico e il suo parere scientifico.
Cosa comporta questo per il suo lavoro di scienziato coinvolto in scelte come quella delle norme Cee sul benessere dei vitelli?
Per quanto concerne l’informazione relativa agli incontri scientifici nella Comunità, e che hanno effetti sulla Comunità, mi è stato chiesto di presentare informazioni sull’animal welfare nel Regno Unito e nella Comunità Europea ai politici, alle autorità pubbliche, ai ministri dell’agricoltura, della sanità, ecc. Insomma, quando me le chiedono presento le informazioni. Effettivamente, alcuni scienziati evitano di farlo perché richiede tempo, ma io credo che qualcuno lo debba fare e penso che sia meglio che lo faccia qualcuno che capisce la scienza: ecco perché dedico parte del mio tempo a questa attività.
Voi scienziati siete direttamente coinvolti nel prendere le decisioni, quando siete all’interno della Commissione Cee?
Beh, a dire il vero non sono ancora coinvolto direttamente nel prendere le decisioni, ma a produrre relazioni scientifiche. Ci chiedono qual è il riassunto delle conclusioni tratte dalla scienza, ma le decisioni sono prese dai politici con l’aiuto dei ministri e, alla fine, penso che sia il pubblico che decide, perché è il pubblico che elegge i politici. Nel campo dell’animal welfare i membri del Parlamento europeo stanno ricevendo più lettere di quante ne stiano ricevendo su qualsiasi altro argomento. Questo succede in Gran Bretagna, ma anche in Olanda, in Germania, in Svezia ed in altri Paesi. In Italia lettere di questo tipo sono meno numerose, ma è evidente che sono molte più di dieci anni fa, quando non erano molte le persone che si preoccupavano dell’animal welfare o di protegg ...[continua]
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