Secondo la sua analisi, all’origine della crisi politico-istituzionale italiana ci sarebbe una deriva populista...
Quello che mi preme sottolineare è che quella italiana è in qualche misura una crisi fittizia. Da sempre le democrazie si confrontano con sfide più o meno grandi. Nel nostro paese, però, se le sfide erano gravi, ciò che soprattutto ha fatto danno è il modo in cui le si è affrontate e il discorso politico che si è costruito intorno ad esse.
E all’origine c’è, in effetti, proprio l’uscita dal discorso politico ordinario. C’è stata una sorta di rottura rispetto ai codici linguistico-politici prevalenti, e l’imposizione di un nuovo codice utilizzando un linguaggio che io chiamo appunto “antipolitico”, e che potremmo forse più semplicemente definire “populista”.
Cos’è un discorso di tipo populista? E’ un discorso in cui il tema fondamentale è la centralità del popolo, il primato del popolo, la sua sovranità. In qualche modo il discorso populista è un rischio intrinseco ai regimi democratici. Poiché la democrazia è “il governo del popolo”, è molto facile appellarsi al popolo e alla sua volontà... E’ la cosa più semplice e più ovvia che si possa fare. Il problema è che la democrazia ha una certa concezione di popolo, il populismo ne ha un’altra.
Secondo il discorso democratico, il popolo è una somma di individui, i quali scelgono attraverso un patto democratico, costituzionale, di vivere assieme, ma di restare degli individui e di essere considerati tali. Quindi il popolo in democrazia è anche una somma di minoranze, a cui le istituzioni democratico-rappresentative e i partiti danno voce e i cui interessi e valori ricompongono, riordinano, ricombinano.
Il popolo del populismo è invece un popolo romanticamente inteso, è un’entità mitica, vaga, organica, che è superiore agli individui che ne fanno parte, che ha sempre ragione e la cui volontà s’incarna in un leader che ha il dono di saperlo interpretare. Quindi quello populista è un discorso che, come dire, azzera o riduce il ruolo degli individui e delle minoranze. Il paradosso è che il populismo pretende di essere più democratico della democrazia, la quale affida il filtraggio della volontà dei cittadini a dei rappresentanti, ai partiti, ai politici di professione. Quando si dice, come si è detto tante volte in Italia, “aboliamo questo filtro, ridiamo voce ai cittadini”, c’è subito da preoccuparsi. Lì si annida un discorso populista.
Ora, naturalmente, non bisogna confondere movimenti e discorsi populisti. Ci sono dei partiti democratici che spesso fanno discorsi populisti, e non per questo diventano populisti.
Tuttavia, quando si abusa della retorica populista, il populismo che sta nel codice genetico dei regimi democratici esplode e dà luogo a insidiose derive populiste.
In genere si evoca lo spettro del popolo, quando non si hanno cose più sostanziose da proporre. Ma l’evocazione del popolo è sempre molto ambigua, perché necessariamente un qualche filtro dev’esserci: così da una parte si evoca il popolo; dall’altra, si rafforzano dinamiche elitiste non controllate. E questo nel discorso politico italiano è molto chiaro: dalla fine degli anni ‘70 c’è stata una incessante evocazione del popolo. Solo che, mentre a parole si diceva diamo più potere al popolo, dall’altra si intendeva dire: aggiriamo i partiti, aggiriamo i sindacati, aggiriamo i gruppi di interesse e rafforziamo chi decide, dandogli spazio d’interpretare la volontà del popolo. Il che ovviamente avviene a danno del cittadino comune, dei lavoratori, non dei poteri forti, che hanno mille altri modi per farsi valere.
Così, intanto, si è cominciato a delegittimare la costituzione...
Esattamente. Si è cominciato a dire che questa costituzione non consentiva al popolo e ai cittadini di esprimersi, che c’erano troppi meccanismi di filtraggio e di torsione della volontà popolare e che quindi occorreva “ripristinare la volontà popolare”. E questo ha scatenato un processo a palla di neve.
Ma proviamo a ripercorrere le varie fasi che hanno caratterizzato questo processo. Il tentativo di utilizzare questo discorso nasceva dall’esigenza di forzare certe strettoie di un sistema che era bloccato. Mi spiego: molto democraticamente, la Dc e i suoi alleati avevano la maggioranza dei consensi in questo paese, e non c’era verso di estrome ...[continua]
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