Valerio Marchetti, storico dei movimenti religiosi in età moderna e storico dell’ebraismo dell’Europa orientale, insegna all’Università di Bologna. Nei suoi recenti interventi, si è occupato particolarmente della legislazione razziale nazifascista e dell’uso della storia negli studi antropologici e sociologici.

Siamo di fronte alla rinascita del razzismo nelle società europee? E siamo preparati ad affrontarla?
Per cominciare, direi che se oggi le quotidiane manifestazioni di razzismo intorno a noi ci trovano impreparati, è perché non sappiamo dire attraverso quali canali, in quali nicchie si è riformato il discorso razzista. Sempre, in età moderna, dalla promulgazione dell’editto di espulsione degli ebrei dalla Spagna, nel 1492, con cui prende corpo la politica della “limpieza de sangre”, all’avvio in Germania della “soluzione finale”, i protagonisti fondamentali del razzismo sono stati la “nazione”, la “classe”, lo “stato”. La storia del razzismo cioè si è legata all’evoluzione del nazionalismo. Il passaggio del razzismo dalle mani della “nazione”, e dalla “classe”, alla gestione dello “stato”, si è definito nell’Ottocento con la mediazione delle scienze umane e s’è compiutamente realizzato nel corso degli anni Trenta del nostro secolo con lo sterminio del popolo ebraico.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale in Europa abbiamo vissuto in una situazione molto diversa. Con la dissoluzione giuridica della segregazione sudafricana, non c’è più uno stato che iscriva il razzismo nella sua costituzione politica, come avveniva per la Germania del Novecento, l’Italia fascista o la Francia di Vichy. Le scienze umane e le scienze della vita hanno assunto una posizione di critica aperta del razzismo, del concetto stesso di razza, che imputano a un’imprecisata eredità del positivismo. Quello che dobbiamo chiederci è in che modo, dal momento che il controllo della razza non è più una questione dello stato, il razzismo è ritornato a essere una questione della società. Dobbiamo pensare che le società comincino a regolare i propri istinti aggressivi nei confronti dell’altro praticando di nuovo un razzismo di base, arcaico e popolare, ed avendo lo Stato stesso, lo Stato che per molti versi l’aveva promosso, come nemico? Da quando lo Stato ha cessato di essere protagonista della discriminazione razziale, le ideologie razziste e nazionaliste si sono inabissate, ma ciò non significa che siano scomparse. Non sappiamo nulla del lavoro svolto dalla “razza” e dalla “nazione” nelle nicchie ecologiche delle popolazioni, intese nel significato biologico. Paghiamo la nostra disattenzione e un’eccessiva sicurezza dell’egemonia del discorso antirazzista. C’è come una refrattarietà della “ragione” all’idea di arrivare fino alla nicchia dove i “corpi” si ripiegano su se stessi per ricostituire le condizioni originarie.
In Francia da tempo il dibattito sui modelli di cittadinanza è molto forte; in Italia c’è forse un ritardo proprio di ordine culturale rispetto al tema della cittadinanza?
Infatti. Quando noi ci troviamo di fronte a problematiche come quelle di cittadinanza o nazione, diritti della cittadinanza e diritti delle nazioni, ricostituire le nazioni come comunità nazionali, oppure considerare le religioni come appartenenti alla sfera del privato, ad un’identità secondaria che non entra in connessione con la nozione di cittadinanza; tutte queste cose sono estranee alla vicenda culturale italiana, non sono mai state affrontate con lo spessore che hanno avuto in Francia, oppure negli Stati Uniti, dove il problema del rapporto tra cittadinanza e nazionalità fa parte della stessa costituzione.
Se dovessi guardare alla vita italiana in questo momento, comincerei a studiare i rapporti tra lo stato e la chiesa, perché qui c’è uno stato concordatario, di tipo napoleonico, che ha interpretato la religione cattolica come religione dello stato. Questo è un paese, cioè, nel quale il rapporto tra stato e chiesa non si configura nei termini di una normalità come negli altri stati democratici. Qui c’è una chiesa con delle pretese di intervento politico continuo e costante, con l’idea di fare una pedagogia non spirituale; la chiesa non ha una direzione delle anime, si occupa di tutto, è un’istituzione che prende la parola su ogni questione posta all’ordine del giorno.
Ciò significa che se questo paese si trova di fronte alla questione dell’immigrazione, la chiesa adopera tutte e due le armi di cui si è sempre avvalsa: da ...[continua]

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