L’opera di Primo Levi è conosciuta in Francia?
Adesso sì. Si tratta però di un riconoscimento molto tardivo, avvenuto dopo la sua morte. Mi chiedo se in Francia non ci siamo resi conto della sua importanza solo dopo il suo suicidio. Dopo aver assunto “le vesti del suicida”, ha cominciato a diventare un mito. Un mito però del tutto autonomo ed estraneo a quanto lui aveva scritto durante tutta la sua vita. E’ giusto chiedersi, quindi, se la sua diffusione in Francia non sia tragicamente legata al fatto di essere un “suicida della storia”. Il suicidio lo ha innalzato al ruolo di eroe. Io non mi chiedo perché si sia suicidato. Tuttavia è terribile constatare che solo il suicidio ha provocato questo interesse per l’opera di Primo Levi, perché non valorizza le sue parole e impedisce che le si capiscano a fondo. In generale la diffusione in Francia dell’opera di Primo Levi è il prodotto di un’interazione tra critica giornalistica, letteraria, universitaria ed editoriale. Esiste una tradizione intellettuale francese molto forte, che attribuisce una notevole importanza a chi si suicida. E’ una tradizione che risale ai poeti maledetti, a coloro che non avendo avuto un destino da vivi, lo hanno avuto da morti. La critica intellettuale francese, che condiziona il pubblico, sacralizza i destini tragici, a scapito però della comprensione dell’opera. Ciò avviene ed è avvenuto con numerosi scrittori. E’ come se le grandi figure della testimonianza dovessero a tutti i costi passare attraverso un destino funesto. In Francia, questa tradizione, da una parte ha una sua importanza, ma dall’altra contribuisce anche a falsificare la comprensione e il messaggio contenuto nelle opere.
Oggi l’opera di Primo Levi è stata tradotta ed è inserita nei programmi scolastici, ma in quale materia?
Nella maggior parte dei casi nei corsi e nelle lezioni di storia. Anche dal punto di vista letterario, la sua opera viene studiata ed analizzata per il suo valore storico. Si tratta, ancora una volta, di un’operazione per ridurre e semplificare il suo contenuto al mero aspetto testimoniale. Primo Levi è considerato soltanto -o quasi- un testimone dei lager. Invece io credo che abbia percorso un doppio binario: la scrittura della testimonianza e quella letteraria. Se consideriamo l’insieme dei suoi scritti, la dimensione letteraria prevale su quella testimoniale, anche se ovviamente contiene sempre l’eco e il fardello della sua esperienza concentrazionaria. Tuttavia l’esistenza e l’esperienza concentrazionaria non avrebbero mai potuto essere enunciate e pronunciate senza la scrittura e la dimensione letteraria. Il più grande omaggio che gli si può rendere è riconoscergli questa dimensione letteraria. Purtroppo non è quello che sta avvenendo e l’approccio all’opera di Primo Levi, solo da un punto di vista testimoniale, condiziona la sua comprensione. Egli resta solo il testimone dei campi e poco importa che la letteratura sia stata la conditio sine qua non del suo essere testimone. Questo aspetto è del tutto trascurato, non interessa.
Il fatto di essere testimone costituisce quindi un limite e un ostacolo alla sua comprensione.
Sì, si tratta di un freno che condiziona e impedisce la valorizzazione letteraria della sua opera. Allo stesso tempo condiziona anche la comprensione e l’originalità della sua testimonianza. Durante tutto il corso della sua vita, si è sviluppato un discorso critico e autocritico sul valore stesso della sua testimonianza che, proprio perché condizionato dall’immagine che ci si è abituati ad avere del suo ruolo, non viene valorizzato.
Primo Levi fu sempre estremamente autocritico.
Primo Levi ha saputo, in ogni tappa della sua vita, rimettersi rigorosamente in discussione, o meglio, rimettere in discussione il valore e le modalità della propria testimonianza. Questa capacità critica viene molto spesso trascurata, se non addirittur ...[continua]
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