Recentemente si è tornati a parlare della pensione ai repubblichini, così equiparandoli ai combattenti della guerra e della Resistenza. Non c’è il rischio che una certa idea delle “due storie” sfoci in quella di “due verità”?
In questi ultimi mesi il dibattito sul revisionismo storico è tornato all’attenzione generale non solo in Italia, dove ha avuto una particolare declinazione, ma anche in Europa. In Francia si è incentrato sulla possibilità (che il governo proponeva e che poi ha ritirato) di portare nelle scuole un di-scorso che valorizzasse gli aspetti positivi del colonialismo. Questo provvedimento era il frutto di tensioni ideologiche, sociali e culturali presenti nel tessuto francese odierno, in cui una parte intendeva superare il complesso di colpa coloniale rivendicandone gli aspetti positivi. In Cecoslovacchia c’è stata la legge sui crimini del comunismo e la revisione del giudizio storico sul comunismo. In Germania, nel centenario del genocidio degli Herero, il governo tedesco è stato accusato di non aver avuto il coraggio di andare fino in fondo nell’assumersi delle responsabilità in quanto Nazione, in quanto Stato, su quello che era successo. Fuori dall’Europa, in Cina, ci sono state le grandi manifestazioni contro il Giappone e il suo richiamo nazionalistico agli “eroi” di guerra -alcuni dei quali condannati come criminali di guerra. Per non parlare di altre tensioni continue, per esempio in India tra musulmani e indu che hanno sempre dei riferimenti storici molto precisi. O ancora il dibattito revisionista in Israele sulle origini dello Stato e sulla concomitante cacciata dei palestinesi dal loro territorio.
Nell’ambito di una tendenza diffusa a rivedere il passato, in Italia questo tipo di polemiche si sono focalizzate su fascismo, guerra e Resistenza, periodo post-bellico.
In quest’ottica si sono fatti dei tentativi, probabilmente spinti da buone intenzioni (a suo tempo Violante parlò “dei ragazzi di Salò” auspicando una memoria comune), ma sbagliati proprio come impostazione. Memorie comuni infatti non solo non possono essercene, ma è giusto che non ce ne siano. E’ come chiedere agli individui di abdicare alla propria memoria per appropriarsi di quelle di altri, o di trovare un compromesso con quelle del proprio vicino.
La vera sfida era e resta invece quella di arrivare alla rivendicazione di valori comuni, che per il nostro Paese sono quelli presenti nella costituzione, che potevano essere accompagnati da un abbandono oppure da uno smussamento delle contrapposizioni ideologiche.
La spinta a una pacificazione delle memorie ha invece finito per mettere sullo stesso piano storico componenti diverse: responsabili e vittime, chi ha iniziato la guerra e chi invece l’ha subita, chi ha vinto e chi ha perso, come se sulla base di soli criteri morali -chi è morto e chi è sopravvissuto, chi ha sofferto e chi no- si potesse applicare una nuova visione del passato.
Nel caso poi dei fascisti repubblichini c’è stato il tentativo di parificarli -addirittura sul piano giuridico, provvedimento aberrante e assolutamente anticostituzionale- ai combattenti della guerra e della Resistenza per ottenere dei risultati materiali, tangibili, oltre che una sorta di restituzione del loro onore di combattenti.
Ecco, il problema, a me pare, è questa continua sovrapposizione di piani diversi, per cui a volte si parla di storia e si intende la memoria o viceversa e così tutto diventa utilizzabile strumentalmente per l’obiettivo polemico immediato.
Memoria e storia sono delle materie assolutamente complesse, difficili, contraddittorie a volte, che vanno maneggiate con cura. Il che non significa che devono essere maneggiate solo dagli addetti ai lavori, per carità. Anche perché gli storici sono stati in prima fila in queste polemiche, spesso aizzandole o parteggiando per l’una o per l’altra. Sarebbe auspicabile una maggiore riflessione e pacatezza proprio nel discernere i piani differenti che non possono essere confusi tra loro.
Però è anche vero che in una situazi ...[continua]
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