I personaggi in scena sono lo scrittore Carlo Levi e Nicola Chiaromonte: un saggista liberaldemocratico assai severo verso il conformismo «progressivo» degli intellettuali e che è morto vent'annì fa, il 18 gennaio 1972. Insieme a loro c'è Gustav Herling. Si deve a questo illustre autore polacco, che vive a Napoli da molti decenni, l'introduzione a un libro che sta per essere pubblicato dal Mulino. S'intitola II tarlo della coscienza. È una raccolta di saggi di Nicola Chiaromonte, alcuni finora inediti in Italia, che esce in occasione dell'anniversario della sua scomparsa. Non solo. Il libro rientra -dopo le recenti iniziative riguardanti Arthur Koestler e l'imminente pubblicazione delle memorie di Stephen Spender- in un significativo programma della casa editrice di Bologna. Quello di rilanciare alcuni intellettuali «eretici», a lungo snobbati dalla cultura di sinistra.
Il volume ripropone molti testi politici, saggi d'arte e di filosofia, recensioni, cronache autobiografiche di questo scrittore meridionale nato a Rapolla (Potenza) nel 1905 e che ha lavorato, tra l'altro, al «Mondo» di Mario Pannunzio e poi all'«Espresso» come critico teatrale.
Anche per Chiaromonte l'opposizione al regime mussoliniano e la guerra di Spagna del 1936 furono alla base di tutta la meditazione culturale e l'esperienza civile di una vita. Risale agli anni Trenta, soprattutto, l'insofferenza per le ideologie globali, per quel culto novecentesco delle «finalità superiori» che Chiaromonte poté riscontrare in pari misura fra gli ideologi del fascismo e fra i comunisti impegnati nella lotta contro Francisco Franco. Ce lo conferma Herling, che insieme a Ignazio Silone e agli scrittori Andre Malraux, Albert Camus, Mary McCarty, Andrea Caffi, Paolo Milano, Ennio Flaiano, è stato uno degli amici più stretti dell'autore del Tarlo della coscienza e di Credere e non credere (1971). A ognuna di queste personalità corrisponde una tappa diversa della vita di Chiaromonte.
Ecco infatti nel libro del Mulino una cronaca dell'esperienza in Spagna, nella squadriglia di aviatori repubblicani comandata da Malraux (che lo raffigurò in un personaggio del romanzo L'espoir), e poi un affresco degli ambienti dei fuorusciti antifascisti a Tolosa. Qui Chiaromonte giunge da Parigi nel 1940, mentre le truppe di Hitler invadono la Francia. Lo ritroveremo ad Algeri con Albert Camus e nei 1941 a Casablanca, in compagnia di Leo Valìani, Aldo Garosci, Emilio Lussu. E proprio sui Quaderni di Giustizia e Libertà, nel 1932, era apparso il saggio con cui si apre II tarlo della coscienza. È un'analisi impietosa del fascismo, dal titolo Lettera di un giovane dall'Italia.
«Già in questo scritto -spiega Herling- c'è un motivo ricorrente nel pensiero polìtico di Chiaromonte: la consapevolezza dei pericoli del XX secolo. Uno su tutti, lo Stato-Mito». È la comune concezione dello Stato come «persona», divinità, «idolo», che farà avvertire all'intellettuale lucano, in molti saggi successivi, le somiglianze «morfologiche» fra la dittatura di Mussolini, la satrapia di Stalin e il «terzo impero» di Hitler. Per definire tali sistemi, Chiaromonte si servirà di una massima del filosofo Pierre-Joseph Proudhon: «Non c'è esempio di una comunità che, fondata sull'entusiasmo, non sia finita nell'imbecillità».
Anche l'accostamento al gruppo di Emilio Lussu e di Carlo Rosselli non dura a lungo. «Inutile stupirsi», osserva Herling. «Il celebre fuoruscito, infatti, fu una personalità votata all'indipendenza di spirito. Per questo, negli anni in cui visse a New York, dalla fine del 1941 al 1948, trovò con Gaetano Salvemini una profonda affinità morale, oltre che un rapporto di collaborazione politica sui giornali radical d'Oltreoceano».
Anche con Mary McCarthy si conoscono negli Stati Uniti, nel 1945. L'autrice del Gruppo rimane affascinata. Per me -cosi ricorderà alcuni decenni più tardi- «Nicola è stato l'immaginario Fondatore di una società libera, giu ...[continua]
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