C’è un’altra enclave in Medio Oriente, in questi giorni forse più fortunata di quella di Gaza. Si chiama Siria del Nordest, o Kurdistan siriano, Rojava per la maggioritaria comunità curda, ed è quella provincia che si infila dove la Siria finisce tra la Turchia e l’Iraq. Controllata da un’“Amministrazione autogestita” (questa è la traduzione del termine utilizzato in arabo e in curdo dalle autorità locali, e il cui acronimo è Aanes), è difficile da raggiungere, ma non è strategicamente irrilevante. Popolata da tre milioni di persone, di cui almeno seicentomila sono sfollati provenienti da altre parti della Siria, era sempre stata il granaio della Siria e la regione dove si concentravano le poche riserve di petrolio del Paese. È un territorio il cui significato simbolico è venuto alla ribalta in questi ultimi anni perché è dove la rivoluzione pacifica del 2011 contro il regime di Damasco proclamò libera la prima città siriana, Raqqa, ed è stato il cuore pulsante dello Stato Islamico, quel progetto di moderno Califfato nato e morto nel giro di pochi anni.
Beh, è anche il luogo dove ho passato qualche giorno nell’ambito di un corso di formazione per la società civile. Vi parrà fuori luogo pensare che uno possa andare  da quelle parti, e avete ragione: non ho potuto che vivere quel passaggio come un interruzione delle ordinarie occupazioni, forse come sospensione del tempo di vita. Per arrivarci, infatti, ci sono voluti molte comunicazioni e interscambi con chi doveva concedere le autorizzazioni, e molte ore di viaggio, atterrando a Erbil, nel Kurdistan iracheno, attraversando la frontiera lungo il fiume Tigri a Fishkhabour-Semalka, e proseguendo lungo strade malmesse e strade più moderne interrotte da posti di blocco.
Enclave può sembrare una esagerazione, se si pensa alle dimensioni geografiche molto superiori a quelle della Striscia di Gaza, ma vi assicuro che non è mia intenzione esagerare. Questo pezzo di terra che si estende a oriente dell’Eufrate ed è delimitato dalle catene montuose che percorrono le frontiere con Turchia e Iraq, è schiacciato tra la presenza turca e dei suoi alleati a Nord, le forze del regime di Damasco a Sud e a Ovest, e la presenza americana lungo le frontiere irachene. E a seconda di con chi tu stia, devi prendere una strada diversa. Se sei un protégé dei turchi, puoi uscire (forse) entrando in Turchia via Jarablous, purché non vi siano scontri in corso tra Esercito Libero e Sdf, il braccio armato dell’“Amministrazione autogestita”, oppure via il posto di transito merci di Tal Abyad tramite un passeur, prendendoti i rischi del caso e sperando che le formazioni islamiste della zona non ti trattengano.
Se fai parte dei clan familiari che si appoggiano al regime di Damasco, puoi addirittura prendere l’aereo a Al-Qamishli, il cui aeroporto è controllato dall’esercito di Bashar Al-Asad, una specie di zona franca dove vengono ancora issate le bandiere siriane ed esposte le foto del dittatore. Se sei un normale cittadino siriano non ricercato come oppositore politico dagli scagnozzi di Al-Asad, puoi tentare di raggiungere il Libano via terra, pagando delle mazzette ai soldati ai checkpoint. E infine, c’è il passaggio frequentato dalla stragrande maggioranza, i siriani che hanno la fortuna di potersi recare all’estero e quelli che emigrarono per ragioni politiche o economiche, o che rientrano per rendere visita alle loro famiglie: è quello appunto di Fishkhabour-Semalka, dove puoi trovarti in coda per ore e ore, aspettando che l’auto che ti ha portato alla frontiera si avvicini alla porta di accesso. Quando hai passato la frontiera dopo controlli, attese, trasferimenti, timbri sui documenti e ulteriori attese, puoi finalmente rimetterti in strada per l’aeroporto di Erbil, sfrecciando sulle moderne autostrade del Kurdistan iracheno, dove i benefici dei proventi del petrolio e della tutela americana si vedono eccome. E se sei un giornalista straniero o un operatore di un’organizzazione internazionale o un semplice formatore come me, è anche quella l’unica vera via praticabile, armandoti di pazienza e di venti ore del tuo tempo.
Quanto durerà questa storia della “Amministrazione autogestita” nessuno lo sa, ma il prezzo che pagano molti dei suoi abitanti è di essere sospesi de facto a un solo vero passaggio di frontiera.  
La città di Al-Qamishli è un emblema di questo incastro di poteri in delicato equilibrio… L’albergo in cui dormo la prima notte sta a duecento metri dal quart ...[continua]

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