9 giugno 2010. Circuiti difettosi
Nell’ultimo numero de Le Scienze si può leggere un lungo articolo di Thomas R. Insel su come le neuroscienze stanno rivoluzionando il lavoro degli psichiatri.
Storicamente il maggior ostacolo a uno studio approfondito della malattia mentale è stata l’assenza di cause "visibili”, fisiche, che a lungo ha portato a pensare che la causa fosse puramente psicologica. Ora però le neuroscienze sono riuscite ad aprire la scatola nera del cervello, scoprendo, tra l’altro, dei difetti nei circuiti cerebrali che potrebbero essere all’origine di molti disturbi mentali. Lo "schema elettrico” delle varie malattie è ancora oggetto di studio, ma questa nuova impostazione sta già producendo delle ripercussioni in psichiatria e soprattutto promette forme più efficaci di trattamento.
Il caso più emblematico è quello della depressione, che si sta rivelando sostanzialmente un disturbo del cervello, legato molto probabilmente a una regione della corteccia nota come "area 25”, che regola una vasta rete di connessioni che coinvolgono l’attività dell’ipotalamo, del tronco encefalico, dell’amigdala, dell’ippocampo ecc. (che influenzano le variazioni di sonno, appetito, energia, umore, ansia, memoria ecc.). Quest’area è risultata attiva in modo eccessivo durante le fasi più acute della malattia e con evidente attività ridotta dopo trattamenti farmacologici o psicoterapici.
Interessanti anche gli studi sulla paura e sui pazienti affetti da Post Traumatic Stress Disorder.
Per quanto gli studi necessitino di ulteriori ricerche, è evidente che una riclassificazione di alcuni disturbi mentali sulla base della funzionalità cerebrale potrebbe portare non solo a un nuovo sistema diagnostico e terapeutico, ma anche a un cambiamento radicale nella percezione pubblica di queste malattie.
(Le Scienze)
10 giugno 2010. Rimpatrio assistito
In un comune del Veneto l’amministrazione ha pagato il viaggio a tre persone di origine ghanese, a "una famiglia di italiani” per la precisione, perché la madre e i due figli, ora partiti per raggiungere un parente in Gran Bretagna, hanno cittadinanza italiana. Nei giornali locali hanno spiegato che la famiglia versava in difficili condizioni economiche perché la madre non aveva lavoro e c’era uno sfratto in atto. Si erano così rivolti al Municipio che non avendo risorse per assisterli ha ben pensato di destinare 1000 euro al loro biglietto di uscita dal paese. In cambio della generosa offerta, la famiglia italo-ghanese si è impegnata a cancellarsi dall’anagrafe. Si chiama "rimpatrio assistito”.
15 giugno 2010. Dialetti
Mentre a Battaglia Terme (Padova) è stato introdotto l’esame di dialetto per i vigili (il superamento della prova di comprensione del veneto darà due punti in più sui 30 complessivi previsti dal concorso), il Comune di Montecchio Maggiore (Vicenza) aspira a diventare il primo Comune veneto bilingue. E’ stata infatti da poco introdotta la possibilità di esprimersi in lingua veneta, anche in via esclusiva, in consiglio comunale. Con qualche problema imprevisto. Intanto c’è da organizzare la traduzione simultanea (e qui si è offerto l’ex sindaco), ma il vero banco di prova sarà la trascrizione dei verbali: l’idioma veneto, infatti, è di difficile trascrizione dall’orale allo scritto. E il fatto che per la sbobinatura delle registrazioni il Comune abbia stipulato un contratto con un’azienda che ha sede in Toscana decisamente non aiuterà.
17 giugno 2010. Morire di carcere
Elenco dei detenuti suicidatisi per impiccamento e inalazione del gas. (Ristretti orizzonti)
18 giugno 2010. Generazione Neet
Ne ha parlato anche il Guardian, riprendendo un allarme lanciato dalla sociologa Chiara Saraceno. In Italia, secondo l’Istat, nel 2009 c’erano due milioni di giovani Neet, acronimo per not in education, employment or training, che significa che un quinto dei ragazzi tra i 15 e i 29 anni non studiano, non si formano, non lavorano (e quindi non versano contributi, non vanno via di casa, non fanno nulla).
Chi ha la possibilità di specializzarsi e una buona famiglia alle spalle lascia il paese, gli altri sono lasciati in balia di se stessi. Una generazione potenzialmente "perduta”.
(observer.guardian.co.uk)
19 giugno 2010. Il lungo presente
"Rimanete affamati, rimanete folli”, la conclusione della lezione di Steve Jobs agli studenti di Standford, era una citazione della scritta sull’ultima pagina dell’ultimo numero di una pubblicazione iniziata nel ‘68 e considerata una specie di bibbia da quella generazione: The whole earth cathalog, il catalogo del mondo intero, una specie di google cartaceo, un progetto gigantesco inventato da Steward Brand, ex tenente dell’esercito, ex yippie. Dalla metà degli anni Novanta Steward Brand, insieme ad altri, ha dato inizio ad un altro progetto che è stato definito "uno dei più ambiziosi, affascinanti, e sinceramente eroici progetti di ingegneria mai concepiti”. Questa definizione arriva da quella stessa comunità di scienziati-imprenditori che, attraverso la rivoluzione tecnologica dei computer globalmente connessi, ha contribuito a creare quella cultura che questo progetto si propone di combattere: la cultura dell’"adesso”, della brevità dell’attenzione, dell’orizzonte ridotto, della fine della memoria, dell’informazione labile. Questo progetto si chiama Long Now, lungo presente, definizione inventata da Brian Eno, uno dei fondatori, e si propone di incoraggiare la responsabilità a lungo termine e di combattere il pensiero ad orizzonte sempre più breve delle economie di mercato, delle democrazie e della vita culturale degli individui nel mondo moderno. Nel momento di decidere come fare, il gruppo di Steward Brand ha scartato la via classica, i lunghi discorsi, i convegni noiosi, i dibattiti filosofici, per dedicarsi ad un’unica cosa: la costruzione di un orologio. Ma un orologio con le dimensioni del mito.
L’orologio è progettato per durare 10.000 anni, per avere un congegno con una complessità e una bellezza che suscitino il rispetto che si ha verso le grandi opere del passato come le piramidi, per avere una precisione data dalle moderne tecnologie digitali, ma con una meccanica comprensibile ad un orologiaio del XV secolo, per funzionare con l’energia datagli dai visitatori nel corso dei secoli, per superare eventi catastrofici ed essere riconosciuto e ripristinato da chiunque possegga tecnologie e materiali da età del bronzo. Un primo prototipo di 2,5 metri è funzionante dal 2000 allo Science museum di Londra. Quello definitivo, in grandezza naturale, 20 metri, verrà posizionato sulla sommità del Monte Washington (3547 metri) in Nevada, acquistato dalla Long Now Foundation nel 1999. Nel frattempo l’orologio catalizza attorno a sé iniziative, convegni, attenzione, progetti collaterali sul tema del tempo e della conservazione. La data di fine lavoro della costruzione dell’orologio non è stabilita, ma, come dice Danny Hillis, autore dei piani costruttivi dell’orologio, bisogna piantare le querce senza preoccuparsi di poter raccogliere le ghiande.
20 giugno 2010. Disabilità
Dal New York Times del 19 giugno, la storia di Donovan Forde, ventenne newyorchese affetto da disabilità multiple, è l’occasione per indagare il sistema dell’istruzione alla prova della disabilità, ascoltando i problemi degli educatori che provano ad integrare gli appartenenti a questa "nicchia nella nicchia”.
Sui 6.5 milioni di studenti disabili presenti negli Stati Uniti, sono circa 132.000 quelli con disabilità multiple: è frustrante per loro, per i loro cari e per gli educatori che si occupano della loro istruzione constatare quanto lentamente arrivino i progressi. Dopo quindici anni trascorsi all’interno delle istituzioni scolastiche, Donovan non sembra aver fatto particolari passi avanti, anche se certo frequentare la "scuola speciale” Public School 79 gli ha permesso di sviluppare maggiori attitudini per la socialità.
La direzione dell’istituto ha deciso di aumentare le attività accademiche a dispetto di quelle pratiche, anche se la signora Forde resta dell’idea che avrebbe più senso dedicarsi maggiormente a queste ultime e alla riabilitazione: secondo il preside dell’istituto, soddisfare la madre equivarrebbe a un ritorno ai tempi in cui gli studenti disabili venivano impegnati prevalentemente con attività pratiche e corsi artistici. Per il preside, invece, l’istituzione scolastica deve poter fornire ai suoi studenti anche molto di più.
Uno degli ex-tutor di Donovan è un ragazzo di ventisei anni che si è accorto di come fosse proprio la musica, a consentire una comunicazione fruttuosa: in sua presenza, il ragazzo riusciva a cantare alcune strofe di "Nella vecchia fattoria”. Ora che l’assistente segue un altro studente, Donovan non canta più.
Anche secondo Rosanne K. Silberman, che prepara corsi di formazione per educatori, nelle persone disabili l’apprendimento di nuove abilità si intreccia fortemente alla sfera emotiva, e viene facilitato dall’instaurarsi di un buon rapporto personale col tutore.
Per il preside della Public School 79, però, puntare troppo su questo rapporto può diventare una sorta di sconfitta, se l’obiettivo è incrementare l’autosufficienza degli alunni. E’ per questo motivo che dallo scorso anno accademico si è deciso di introdurre una turnazione oraria degli studenti in diverse classi, per favorirne la stimolazione e rendere l’esperienza scolastica più simile a quella dei loro coetanei, mescolando studenti con diversi gradi di disabilità in modo che apprendano anche l’uno dall’altro: bisognerà vedere se sarà poi possibile per gli insegnanti, che si troveranno di fronte a diverse classi ogni ora, riuscire a rapportarsi con gli studenti secondo i differenti metodi di apprendimento di ciascuno.
L’articolo ci lascia con un interrogativo: è davvero possibile conseguire gli obiettivi didattici prestabiliti per ogni alunno senza farli dipendere da rapporti personali tra tutor e disabile, destinati comunque a interrompersi al termine del ciclo scolastico?
(www.nytimes.com)
21 giugno 2010. Baby blues
La proposta di sottoporre a trattamento sanitario obbligatorio (Tso) le mamme a rischio di depressione post-partum ha scatenato una serie di polemiche anche in rete.
Ovviamente è subito sorto l’immancabile gruppo facebook al motto di "Tso alle madri in baby blues? Ma mettiamoci chi ha fatto questa proposta! Questi stanno fuori come balconi!!!” (www.facebook.com/depressione.post.partum).
Ma non sono solo le mamme a essersi ribellate a questa "specie di surrogato transitorio del ricovero in manicomio, necessario quando il malato di mente diventa pericoloso, un provvedimento eccezionale in cui l’autorità sanitaria sospende i diritti della persona e la obbliga a fare cose che non vorrebbe fare”. Sul sito Uppa, un pediatra per amico (www.uppa.it), Vincenzo Calia ha pubblicato un pezzo piuttosto polemico, ma anche molto ironico.
D’altra parte la proposta della "Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia” con questa idea del trattamento coatto domiciliare attraverso la figura di un infermiere costretto a vegliare la potenziale mamma depressa 24 ore al giorno fa un po’ sorridere, anche se amaramente.
Ma ammettiamo che l’allarme sia reale, continua Calia, "come si farebbe ad individuare i soggetti a rischio, cioè quel migliaio di mamme potenzialmente assassine? Facile, sviluppando il progetto Rebecca che, con un mix di screening a cui sarebbero sottoposte tutte le donne gravide e analisi grafologiche della personalità, ci porterebbe ad individuare i soggetti a cui destinare l’aiuto di operatori esperti e formati alla bisogna. Immaginate se tutto questo veramente si realizzasse: un’immane organizzazione sarebbe sguinzagliata alle calcagna di tutte le donne gravide: non appena una di loro dovesse essere sospettata di probabile gravidanza, ecco lì i solerti operatori -nei consultori, negli studi professionali privati, nei laboratori di analisi, forse anche dal parrucchiere (a volte le donne si riuniscono in questi posti, dove si confidano segreti)- intenti a somministrare test e questionari, a raccogliere campioni di scrittura, a setacciare e a selezionare fino a scegliere le 1000 potenziali mamme degeneri a cui affibbiare, volenti o nolenti, l’assistenza continuativa indispensabile per scongiurare l’infanticidio: un operatore, a casa loro, 24 ore al giorno. Lasciamo stare alcuni aspetti comici e concentriamoci su quelli pratici: dove alloggerebbe l’operatore? In soggiorno su un divano letto? E se la mamma degenere, approfittando di un attimo in cui l’operatore si assopisce agisse, in silenzio, in camera da letto? E anche volendo vedere solo gli aspetti economici, se un periodo di depressione dura poniamo sei mesi, per ognuna delle 1000 potenziali assassine bisognerebbe prevedere 18 mesi di attività lavorativa, il che, moltiplicato per 1000, fa 18.000 mesi di lavoro che, diviso 12 fa 1500 persone che dovrebbero lavorare a tempo pieno ogni anno per questo progetto, senza contare ferie e malattia. Se ognuno di questi operatori costasse 30.000 euro l’anno, tutto questo ambaradan verrebbe a costare 540 milioni di euro! Ma chi mai può aver partorito una proposta così palesemente assurda? E perché?”. Calia conclude ipotizzando maliziosamente l’ennesimo caso di "disease mongering” che significa che ci si inventa un problema per poter poi vendere la sua soluzione.
22 giugno 2010. Da L’Aquila
Siamo di nuovo per strada, siamo tanti e più forti di chi ci vorrebbe in ginocchio. Di nuovo in piazza per opporci al meccanismo che ci prende alla gola e ci ricatta. [...]. Pretendiamo il diritto ad una relativa tranquillità che ci permetta di pianificare le nostre vite investendo tempo e energia su ciò che ci interessa e di cui abbiamo veramente bisogno. Tutto ciò è impossibile se non si danno delle certezze come è accaduto per la restituzione delle tasse per il terremoto umbro e come la piattaforma di questa manifestazione suggerisce. Certezze che devono dirci quanti soldi ci sono per questo territorio, dove sono, come e quando vengono stanziati. Il sistema delle ordinanze è un altro dei meccanismi di ricatto che ci permette di avere il minimo solo quando siamo affamati e tirano venti di rivolta.
Qui non c’è lavoro, non c’è una prospettiva. Invece di elemosinare l’autonoma sistemazione si potrebbe attuare una così detta microzonazione sociale che permetta di individuare le misure giuste per differenti situazioni come ad esempio un reddito sociale garantito.
Non vogliamo altro assistenzialismo. Sappiamo che sarà dura e vogliamo essere messi in grado di rialzarci in maniera autonoma senza dover aspettare sempre l’intervento dello Stato. Siamo stufi di essere trattati da terremotati sfortunati. Siamo persone in carne ed ossa con i nostri corpi e i nostri desideri, individui liberi e pensanti... Che sanno bene di trovarsi in una situazione particolare ma simile a tante altre di disagio. Che non ci stanno però a soccombere, ad abbassare la testa e ad accettare i privilegi e le ingiustizie. Vogliamo vivere!!! Al di là del terremoto. Vogliamo che smettano le parate di governo su questo territorio e si smetta definitivamente di parlare di miracoli. Fate quello che vi spetta fare, sinceramente. Senza operazioni solo di facciata e per il proprio tornaconto. [...] La disgregazione scientifica di una città in 19 quartieri dormitorio lontani dalla città e in cui ognuno, ogni nucleo familiare, è lontano dai luoghi che prima viveva e dai vicini di sempre. A fronte di una cifra spropositata per costruire quartieri senza nessuna logica e definitivi, migliaia di persone vivono da un anno e mezzo ancora negli alberghi lontani dalla città e nelle caserme. Gli anziani e i più deboli in generale vengono lasciati ai margini. Gli adolescenti stanno crescendo in una non-città con l’unica attrattiva del centro commerciale.
Manca un’idea di città. A L’Aquila attualmente non esiste una piazza. I militari fastidiosamente ancora sulla strade fanno sembrare questo un territorio di guerra. Intanto si è rivoluzionato un territorio in maniera permanente senza prevedere un piano urbanistico. Sembra che tutti girino dappertutto alla ricerca di tutto come atomi impazziti o restino nella funzionale solitudine di una tv al plasma in comodato d’uso. Una (ri)costruzione quella del piano c.a.s.e., priva di ogni significato sociale e culturale in una città che almeno fino al 6 aprile era soprattutto universitaria e che vogliamo ci rimanga. Ma dove sono gli alloggi per gli studenti fuorisede? Quali sono le strutture e i luoghi che possano in qualche modo supplire alla non agibilità del centro storico, la vera attrattiva per gli studenti? [...]
Molti piccoli comuni e frazioni il loro terremoto lo vivevano già da tempo, da prima del 6 aprile e si chiamava spopolamento. Cosa sarà di tutti i borghi? Ci si è resi conto della vera entità del danno? C’è la vera intenzione di ripararlo e con quale progetto? Sono problemi la cui risposta non va delegata alle istituzioni ma di cui si deve far carico la cittadinanza costruendo esperienze di partecipazione dal basso. Come 3e32 da più di un anno ci battiamo per il 100% della ricostruzione, della partecipazione e della trasparenza. In maniera drammatica e sistematica si è andati fin dall’inizio in un’altra direzione. Ma forse ancora non è troppo tardi.
(Comitato 3e32)
24 giugno 2010. Calcio
Con pieno merito la nazionale di calcio italiana s’è classificata quarta nel suo girone. Quindi è stata eliminata. Tv, radio e giornali stanno calcolando le perdite. L’unico rimedio è il solito: tenere vive le polemiche a tutti i costi. Il poco collaborante Lippi s’è preso tutte le responsabilità provocando un ulteriore crollo delle speranze di chi investe tutto sulle polemiche e i litigi per conquistare audience. Dopo decenni resta vero il sarcastico detto di Churchill: l’Italia è un paese che gioca una partita di calcio come se andasse in guerra, e va in guerra come se giocasse una partita... (M. T.)
25 giugno 2010. Autismo
Billy Tommey è un ragazzino inglese di quattordici anni, è terzo nella classifica mondiale del videogioco Mario Kart, ed è autistico. Il 10 giugno scorso sua madre Polly ha raccontato all’Independent che dopo che i medici le avevano diagnosticato il disturbo del figlio, era andata in biblioteca a cercare la definizione, e le ci era voluto un anno, per riprendersi dallo shock. Dopo un’infanzia molto travagliata, in cui il piccolo aveva richiesto costante attenzione da parte dei genitori, Billy è riuscito a entrare in un liceo prestigioso, cosa che gli ha restituito molta fiducia in se stesso: ora riesce a leggere e scrivere, ha acquisito una certa consapevolezza del mondo esterno, e viene classificato come "ragazzino iperattivo”. Secondo la madre, fondamentale in questo recupero è stato l’aver affrontato e risolto i suoi disturbi alimentari, ampliando la sua dieta.
L’autismo è una condizione di cui ancora non si sa molto. Recentemente, però, un gruppo di ricerca internazionale ha pubblicato sulla rivista Nature la scoperta, ancora alle fasi preliminari, di una correlazione tra Dna e autismo: comparando il Dna di mille soggetti autistici con quelli di millecinquecento soggetti non autistici, i primi presentavano un’incidenza superiore del venti per cento rispetto ai secondi nelle "variazioni nel numero di copie” (le cosiddette Cnv, che distinguono ciascun individuo), variazioni assenti nel corredo genetico dei genitori; la formazione di queste Cnv esulerebbe dal patrimonio genetico familiare e risalirebbe al momento della formazione dell’ovulo o del seme -similarmente al processo di mutamento cromosomico che conduce alla sindrome di Down. Secondo uno dei principali responsabili della scoperta, Stephen Scherer dell’ Hospital for Sick Children di Toronto, queste variazioni genetiche si presentano con rara frequenza: ciò indica che gli autistici presentano un corredo genetico peculiare, che darebbe luogo a forme di autismo dalle caratteristiche genetiche uniche di caso in caso.
Si ritiene che le recenti scoperte permetteranno di migliorare le possibilità di diagnosi precoce, ma si attendono ancora ulteriori ricerche.
(www.independent.co.uk)
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