In Bolivia un indigeno è stato eletto presidente della Repubblica. Puoi parlarcene?
Intanto va detto che la Bolivia è un paese di maggioranza indigena, una maggioranza frantumata in diverse etnie. Tre sono le principali, due altipianiche, gli Aimara, discendenti delle civiltà antecedenti agli Incas, e i Quechua, discendenti degli Incas; l’altra etnia, maggioritaria in Paraguay, sono i Guaranì delle terre basse. Dopo ce ne sono tante altre, sia altipianiche che nelle zone delle terre basse. La Costituzione repubblicana fatta dopo la fine del colonialismo nel 1825, non ha contemplato questi indigeni. Fino al 1950 non avevano diritto al voto e non potevano neanche entrare nelle piazze da soli, se non in qualità di servi, portando, cioè, un qualche carico per il bianco. C’è stato un terribile apartheid ignoto al mondo e le rivolte sono state tutte soffocate nel sangue in modo crudele. L’ultimo grande massacro di Guaranì risale al 1901 quando morirono in migliaia.
Quindi un primo grande problema della Bolivia è quello etnico. Un’altra importante caratteristica è che la Bolivia è un paese ricchissimo e i suoi territori sono sempre stati ambiti. Il Cile ha fatto una guerra contro Bolivia e Perù per portargli via tutta la zona del mare, perché lì c’erano le miniere di salnitro, di rame e c’era il guano che era in quel momento il più importante fertilizzante al mondo. Poi c’è l’argento, lo stagno, fondamentale nei primi 50, 60 anni del secolo scorso.
Con il Cile c’è ancora un contenzioso aperto.
Da allora la Bolivia non ha più rapporti diplomatici col Cile, perché quest’ultimo non è disposto a concederle un porto franco, l’accesso al mare insomma, e non lo farà nemmeno adesso con la Bachelet. Il Cile è molto coerente nella sua politica estera. Basterebbe anche uno spazio in un porto dove i boliviani possano ricevere le merci, chiuderle e spedirle sigillate alla frontiera.
In questo modo il Cile guadagnerebbe un ottimo rapporto diplomatico, di buon vicinato e soprattutto accordi economici importanti, perché la Bolivia è molto più ricca di acqua del Cile, che nel nord è desertico. Ma la politica estera cilena, oltre che coerente, è piuttosto imperialistica e le questioni le ha risolte spesso con le armi. Del resto i cileni hanno forse l’esercito più moderno dell’America latina. Infatti c’è una battuta che si fa in Bolivia: “per recuperare il mare si deve far guerra al Brasile, così i brasiliani ci spingono verso il mare e noi ce lo prendiamo”.
Un altro problema è quello della borghesia…
La Bolivia non ha una borghesia illuminata, interessata alle sorti del proprio Paese, non l’ha mai avuta. La classe media è sempre stata legata a interessi particolari e quindi nessun presidente ha pensato di usare questa ricchezza per migliorare l’infrastruttura del paese. Basti pensare a Patiño, che era l’uomo più ricco del mondo, o alle famiglie Aramayo e Hauschild: avrebbero potuto trasformare il paese radicalmente, creando industrie per lavorare lo stagno in loco. Ma niente di questo è stato fatto. Si è puntato solo all’esportazione. Così si è dato lavoro agli operai inglesi, tedeschi e americani, mentre l’unico lavoro possibile per i minatori boliviani è rimasto quello di estrarre lo stagno e caricarlo sui muli. In passato lo si caricava anche addosso alle persone, tanto per intenderci sul grado di schiavitù.
Eppure la Bolivia è un paese ricco…
Oggi la Bolivia ha una ricchezza immensa nel gas, che tuttavia, grazie al neoliberalismo, viene esportato in Brasile, in Argentina, a un prezzo irrisorio. A gestire il tutto sono imprese multinazionali: Petrolgas in Brasile ha capitale misto, brasiliano e americano; la Repsol argentina è spagnola. La Bolivia quindi non vende il gas direttamente al Cile. Funziona così: la Repsol argentina compra il gas dalla Repsol boliviana e lo vende alla Repsol cilena.
Questo è un problema antico, che ha provocato anche delle guerre. La Bolivia ha già ...[continua]
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