E’ appena uscita la raccolta di scritti sulla democrazia di Gaetano Salvemini, curata da te. Partiamo da qui.
Sono scritti, non dico inediti, perché erano stati pubblicati in America tra il ’35 e il ’40, ma mai tradotti in italiano, che testimoniano dell’interesse di Salvemini per un lavoro oltre che storico, anche di riflessione teorica sulla democrazia. L’idea di pubblicarli mi era venuta da uno degli scritti più belli su Salvemini, che è di Bobbio, del ’75 mi pare, “Salvemini e la democrazia”, dove Bobbio diceva sostanzialmente che l’interesse di Salvemini per la democrazia non si era manifestato soltanto nelle sue grandi battaglie, che in fondo furono tutte per la democrazia, da quella per il suffragio universale all’interno del partito socialista alla battaglia antifascista, ma anche nella riflessione teorica. E Bobbio non conosceva i saggi americani di Salvemini. Questo è interessante perché Salvemini era stato sempre visto, negli anni Cinquanta e Sessanta, come un grande storico, ma un po’ estraneo ai problemi della teorizzazione filosofica. D’altra parte è vero che lui aveva sempre sparato a zero sulla filosofia, ma Bobbio metteva bene in chiaro che la filosofia che Salvemini combatteva era quella neoidealista. La filosofia di Salvemini era sostanzialmente empiristica.
Ecco, seguendo questa idea io ho trovato questi scritti del periodo americano pubblicati, tra il ’35 e il ’40, su riviste americane.
Sono anni cruciali...
Infatti, lì si vede come, per quello che riguardava la lotta al fascismo, Salvemini avesse capito che il problema non era più soltanto italiano, e che poteva risolversi solo all’interno di un grande conflitto, che ormai sarebbe stato internazionale, dove sarebbero stati in gioco i valori fondamentali della democrazia europea così come era venuta sviluppandosi nel corso dell’Ottocento, quella democrazia aperta alle istanze del liberalismo e del socialismo a cui Salvemini aveva fatto sempre riferimento e che ormai nell’era dei totalitarismi era messa in crisi.
Salvemini non si stancava di ribadire l’importanza di una certa concezione laica, liberale, democratica che era l’unica bussola per muoversi tra il fascismo e il nazismo, da una parte, e la dittatura istauratasi ormai in Russia, dall’altra, una dittatura che in nome della giustizia sociale rigettava la democrazia politica.
Salvemini nel ’35 partecipa a Parigi al Congresso Internazionale degli scrittori per la difesa della cultura e lì, in un’atmosfera di avvicinamento tra i pensatori radicali democratici europei e i comunisti, era il periodo dei fronti popolari, è il primo a denunciare chiaramente, facendo proprio il caso di Trotski e di altri, come anche la Russia sia ormai avviata verso la dittatura.
Ecco, in un congresso di quel genere, attaccare e criticare e prendere posizione contro le dittature tedesca e italiana aveva senso solo se si teneva presente che c’era anche una dittatura che stava dall’altra parte e che quindi il comunismo sovietico non era l’alternativa alle dittature fasciste e naziste.
Un discorso bellissimo, rivolto proprio ai democratici europei. Secondo Salvemini molti di loro stavano facendo un errore tragico a non distinguere fra le società europee fasciste e le società europee democratiche, a parlare dell’Europa come un insieme di nazioni fasciste contro cui l’unico a contrapporsi era il comunismo. Per Salvemini invece l’unica possibilità di futuro stava nella lotta per salvaguardare le istituzioni democratiche, e quindi nel far quadrato intorno a quelle istituzioni democratiche che in alcuni paesi europei e negli Stati Uniti ancora reggevano all’assalto del totalitarismo e delle tirranie.
Ma qual era la sua idea di socialismo? Era indissolubile dall’idea di democrazia?
Negli anni ’30 e ’40 la priorità è la difesa della democrazia. Per Salvemini le istituzioni democratiche sono le uniche che rendono possibile il raggiungimento anche di altri obiettivi, quelli della giustizia sociale. Questo era un discorso che Salvemini aveva già affrontato con grande chiarezza in Memoria e soliloqui, un diario che tiene tra la fine del ’22, cioè proprio all’indomani della marcia su Roma, e l’inizio del ’23. Lì, riflettendo sul crollo ...[continua]
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