Un gruppo di ragazzi bolognesi e un circolo autogestito che diventa spazio di socialità, di pratiche di mutualismo, ma anche di pensiero su come sta cambiando il lavoro; la nascita di Riders Union, il primo sindacato dei fattorini, e le lotte contro il cottimo e per un compenso fisso minimo equo e dignitoso; un inedito rapporto con l’amministrazione comunale, che a Bologna ha dato vita alla prima Carta del diritti del lavoro digitale. Intervista a Valerio Tuccella.
Valerio Tuccella è uno degli animatori del circolo Ritmo Lento di Bologna, uno spazio di partecipazione e aggregazione autogestito e autofinanziato; ha partecipato alla fondazione di "Riders Union Bologna”, il sindacato che rappresenta i fattorini della città.
Nel vostro circolo da tempo avete aperto una riflessione sul lavoro.
Gli strumenti che abbiamo provato ad applicare nel circolo negli ultimi mesi vengono da un’analisi di più lungo periodo, che prova un po’ a cogliere i nodi che sono venuti al pettine con la crisi finanziaria. Come generazione di giovani, siamo figli di quella situazione.
Rispetto al lavoro, ci siamo scontrati da un lato con la retorica dell’innovazione che negli ultimi anni è stata al centro del dibattito relativo a robotizzazione, automazione, industria 4.0, quarta rivoluzione industriale. È divenuta egemone la visione per cui quell’innovazione sarebbe stata neutrale e avrebbe portato a un miglioramento complessivo delle condizioni di lavoro, a una diminuzione degli orari di lavoro, ecc.
Dall’altra parte abbiamo vissuto la ristrutturazione complessiva che ha coinvolto il mercato del lavoro. Con la fine del cosiddetto Trentennio glorioso, di quel patto sociale che vedeva i diritti di cittadinanza e i diritti all’accesso al welfare legati strettamente all’elemento del lavoro salariato come elemento di garanzia d’accesso alla cittadinanza, si è aperta una fase di destrutturazione complessiva del mercato del lavoro, con un mutamento delle forme di contrattazione collettiva, la moltiplicazione delle tipologie contrattuali, vari modelli di flessibilizzazione e, in generale, una frammentazione dei lavoratori e del lavoro, fino ad arrivare a una situazione di precarietà estrema.
Oggi la flessibilità a livello macro non risponde solamente a una necessità produttiva dovuta alla crisi, alla deindustrializzazione, all’esplosione del settore terziario, ma anche all’esigenza di competere a ribasso sul costo del lavoro, con una fuga dal diritto del lavoro.
Con la rottura di quel patto, è venuto meno quell’elemento di garanzia che stava nel lavoro subordinato. Il lavoro autonomo però non necessariamente è un elemento di liberazione, come poteva essere inteso anche dalla sinistra extraparlamentare degli anni Settanta. È spuntata piuttosto una figura di lavoratore autonomo, oggi si dice di lavoratore "uberizzato”, che per noi è il prodotto ideologico di questa specifica fase del capitalismo. Tutto questo ha portato a una fase di instabilità sociale per la nostra generazione e a un processo di impoverimento.
Com’è nato il circolo?
Molti di noi vengono dall’esperienza delle organizzazioni dei sindacati studenteschi. Una volta fuori da quel tipo di esperienza collettiva ci siamo resi conto che mancava uno spazio politico, ma anche sociale, di discussione, di elaborazione e soprattutto di risposta anche politica ai problemi dei neolaureati e dei giovani lavoratori. Questo spazio è nato anche dall’esigenza di provare a uscire da questa frammentazione. La condizione precaria che viviamo quotidianamente esiste, è tangibile ed è qualcosa con cui la nostra generazione sta provando a confrontarsi, anche mettendo in discussione i modelli di organizzazione tradizionale.
La stessa esperienza di Union Riders è nata quasi per caso. Nel nostro giro c’erano amici e conoscenti che lavorano all’interno delle piattaforme digitali e che a un certo punto hanno cominciato a vedersi in questo spazio.
C’erano ragazzi che facevano questo lavoro per tante ore a settimana, anche 40-45 ore. Di qui una riflessione anche sul contraddittorio processo che vede il lavoro trasformarsi in "lavoretto”. Il lavoretto nasce come fonte di reddito secondaria rispetto al lavoro primario, oppure come tentativo di mettere a reddito alcune passioni personali (ci si fa un giro in bicicletta e si guadagna qualche soldo) o semplicemente come reddito che accompagna il proprio processo formativo.
Molti ragazzi, concluso il proprio percorso formativo, avevano cominciato a impiegare un certo numero di ore lavorando per le piattaforme del food delivery e si erano cominciati a domandare se non fosse il caso di rivendicare qualche diritto. Parliamo di piattaforme che utilizzano quasi esclusivamente collaborazioni occasionali e che non garantiscono alcuna assistenza assicurativa o previdenziale. È u
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