Michele Calì è professore emerito di Fisica Tecnica nel Politecnico di Torino; ha insegnato e fatto ricerca in questa università e in quella di Roma Tor Vergata nel campo della Teoria e delle Applicazioni della Termodinamica. Da circa due decenni si occupa della questione energetico-ambientale, sulle cui implicazioni negli ultimi anni ha tenuto un corso dal titolo Energia, progresso e sostenibilità e nel 2014 ha pubblicato la Guida all’energia nella natura e nelle civiltà umane con l’editore Esculapio di Bologna.

Il concetto di “comunità” copre spesso realtà eterogenee, dai villaggi rurali, ai quartieri delle città, dalle “comunità nazionali, alle “minoranze etniche”. In tempi remoti si parlava di comunità anche quando gli agricoltori dovevano mettersi d’accordo per distribuire le acque per l’irrigazione dei campi. Adesso si parla anche di “comunità energetiche”, vuoi spiegarci che cosa sono?
Sono associazioni tra persone ed enti che vivono e operano in uno stesso territorio con un numero di cittadini variabile da poche decine fino a un massimo di qualche centinaia di migliaia. I soci possono essere semplici cittadini, imprese pubbliche e private, municipalità ed enti pubblici come comuni, scuole, ospedali, e così via. Tutti condividono l’obiettivo di approvvigionarsi e possibilmente produrre, scambiare e gestire fabbisogni e servizi essenziali per la loro vita, in primo luogo energia elettrica, ma anche calore, acqua e rifiuti.
Già all’inizio del secolo scorso in piccoli villaggi nacquero libere associazioni di privati per produrre in autonomia l’energia elettrica di cui avevano bisogno, quasi sempre con generatori alimentati da acqua fluente, risorsa rinnovabile per eccellenza. La naturale evoluzione di quelle organizzazioni spontanee sono quelle che oggi chiamiamo Comunità energetiche locali o Cel.
In genere nelle grandi città di tutto il mondo è chi governa il territorio che si fa carico di mettere a disposizione di cittadini e imprese i servizi essenziali: elettricità, acqua, gas, calore per riscaldamento e smaltimento di reflui e rifiuti, anche se con varie declinazioni. Si costruiscono apposite infrastrutture a rete che coprono capillarmente il territorio e collegano gli utenti/clienti a impianti centralizzati.
Malgrado questa soluzione sia quasi sempre quella economicamente più competitiva, da essa derivano anche conseguenze negative non banali. La costruzione richiede l’immobilizzazione di ingenti capitali. Se gli impianti sono di proprietà pubblica questi inevitabilmente sono sottratti ad altri servizi essenziali come scuola e salute. Se invece sono di privati o di società pubbliche ma di diritto privato, l’esigenza di remunerare i capitali può confliggere con quella di rendere i servizi ugualmente accessibili a tutti. Inoltre, la gestione di grandi aziende è più lenta e meno flessibile al variare delle esigenze e talvolta anche poco trasparente agli utenti finali, che sovente si sentono estromessi dal controllo di servizi vitali per la qualità della loro vita.
Le Cel nascono per mettere a disposizione di gruppi ristretti di cittadini gli stessi indispensabili servizi energetici forniti dalle grandi strutture centralizzate, attenuandone le caratteristiche negative e sostituendole in toto o solo in parte e con formule organizzative che coinvolgono i cittadini stessi.
I primi esempi vengono dal Nord Europa, oppure mi sbaglio?
Prevalentemente ma non solo. Non so se esistono analisi storiche di questo fenomeno, ma posso dirti che alcune risalgono addirittura ai primi decenni del secolo scorso. In piccole comunità di aree alpine e in paesi del Nord Europa, soprattutto lontane dai grandi agglomerati urbani, cittadini, agricoltori e allevatori trovarono conveniente e opportuno associarsi per produrre energia elettrica e scambiarsela con regole che alla prova dei fatti sono molto simili dappertutto.
Oltre che incentivate da interessi pratici ed economici e da una diffusa esigenza di autosufficienza, queste iniziative furono facilitate dalla lunga tradizione di solidarietà e cooperazione sociale tipica delle piccole comunità (penso alle cooperative di mutuo soccorso nei villaggi rurali italiani ai primi del Novecento).
Ad esempio, negli anni Venti del secolo scorso, in Alto Adige coltivatori e proprietari di allevamenti costituirono cooperative per produrre energia elettrica utilizzando le acque fluenti in quei siti accessibili facilmente e disponibili in abbondanza. Alcune di queste ...[continua]

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