Maxim Grebenyuk, avvocato che vive a Mosca, ha fondato Military Ombudsman, sito che aiuta i soldati russi che si rifiutano di combattere in Ucraina a difendere i propri diritti.
Com’è nato il progetto del “Military Ombudsman”?
All’epoca ero arruolato, prima come medico, nelle brigate della marina della Flotta del Nord. In seguito ho ottenuto online una laurea in diritto, con lode, e il mio comandante di brigata mi ha chiesto di assisterlo sulle questioni legali. Ho cominciato aiutando il comandate e i soldati della brigata, portando avanti per loro cause legali al fine di far rispettare i loro diritti. Una volta avuto il congedo, mi sono trasferito all’ufficio del procuratore militare, dove sono rimasto dieci anni. Ero responsabile degli aspetti sociali, ambito in cui ci si dedica all’assistenza ai soldati. Ho sempre cercato di essere molto attento alle loro lamentele.
Ho creato la piattaforma social “Military Ombudsman” quando ancora lavoravo al fianco del procuratore militare, ma inizialmente comparivo sul sito solo come amministratore anonimo. Fornivo assistenza pro-bono al personale militare. Nel dicembre 2021 mi sono dimesso dall’ufficio del procuratore militare e ho superato l’esame di abilitazione alla professione di avvocato nel Primorsky Krai (il Territorio del Litorale, regione che affaccia sul mar del Giappone). Ora vivo e lavoro a Mosca con la mia famiglia, e mi sono specializzato in diatribe legali militari.
Perché ti sei dimesso dall’ufficio del procuratore?
L’ufficio del procuratore militare dovrebbe dedicarsi alla protezione del personale militare e dei suoi diritti, ma in realtà la sua priorità è proteggere l’interesse di stato e il budget militare. Quando c’è qualche tensione fra gli interessi statali e i diritti del personale militare, il procuratore si schiera sempre con lo stato. Io, invece, volevo tutelare i diritti dei soldati, cosa che trovavo ben più interessante. Mi sono dimesso un anno e mezzo fa, nel bel mezzo di un periodo di grandi proteste.
Parli delle proteste pro-Navalny?
Sì, fu all’epoca che compresi che dovevo davvero cambiare qualcosa nella mia vita. Come avvocato e funzionario dell’ufficio del procuratore sono sempre stato molto interessato alle indagini di Navalny sulla corruzione. I documenti e le prove su cui queste erano basate mi sembravano impeccabili dal punto di vista legale. Sareste sorpresi di scoprire quanti miei colleghi fossero concordi con me in merito.
Il suo avvelenamento e l’arresto furono l’ultima goccia, per me. Compresi che non potevo più lavorare dalla parte della giustizia di stato. Prima di allora pensavo di poter esercitare una qualche pressione dall’interno e aiutare al contempo le persone, ma mi sbagliavo. Alla fine mi resi conto che il sistema era in grado di masticarti e sputarti via appena l’avesse ritenuto necessario, e così decisi di andarmene.
Perché il nome “Military Ombudsman”?
Fui ispirato da “Police Ombudsman”, un progetto di Vladimir Vorontsov. L’ho sempre seguito e lo faccio ancora. Credo che Vorontsov, così come Navalny, sia un prigioniero dotato di coscienza.
Non temi di subire incriminazioni penali a causa del tuo lavoro, come accaduto a Vorontsov?
Certo, ma per me la verità conta di più.
Quali sono i problemi che ti sottopongono i soldati?
Ora, come anche prima del conflitto, ci sono soprattutto problemi con gli approvvigionamenti alimentari. Per esempio, ultimamente ho pubblicato un post su soldati che hanno ricevuto razioni di cibo ben oltre la loro data di scadenza. Mi contattano anche molti feriti in battaglia, gente che soffre di trauma cranico. Hanno ricevuto un minimo di cure, un po’ di fluidi per idratarsi e poi gli è stato detto di tornare in battaglia. Loro si sono rifiutati, hanno preteso di ricevere cure adeguate prima di essere schierati nuovamente, ma si sono sentiti dire: “Allora non hai capito. La Madrepatria è in pericolo, va’ e fai il tuo dovere”. Aiuto anche loro: andiamo in tribunale, richiedendo che ricevano i giusti trattamenti sanitari.
Credo che non dovremmo mandare i soldati incontro a morte certa. È la mia opinione personale. Ma come avvocato, sono comunque dalla parte della legge, e capisco anche i soldati che sono andati a combattere seguendo gli ordini.
Sono tanti i soldati che ti cercano?
Ora molto più che in passato. Alcuni, per essersi rifiutati di partecipare all’“Operazione militare speciale”, vengono congedati e basta, altri vengono anche minacciati di azioni penali, cosa che non dovrebbe essere assolutamente possibile. I superiori, nel congedarli, rincarano la dose dando loro dei “disertori” e dei “traditori”. Quando mi scrivono, o mi chiamano, i soldati sono molto spaventati. Parliamo di problemi davvero importanti, e sono tanti in questa situazione.
Hai avuto contatti anche con i soldati di leva mandati a combattere in Ucraina?
Certo. In qualità di avvocato ho visitato la regione di Bryansk, vicino al confine bielorusso e ucraino. Lì ho incontrato la madre di un soldato di leva, la cui unità è vicina al confine, che era terrorizzata all’idea che il figlio venisse schierato in Ucraina.
Così, sono andato a trovare quel soldato, insieme a sua madre, direttamente alla sua base, e ho discusso con il suo comandate sull’esistenza di un decreto del comandante in capo che fa divieto di schierare soldati di leva nell’“operazione speciale” in Ucraina. Il comandante mi è stato a sentire e il soldato è rimasto di stanza nella base.
Quindi, sì, è possibile fare qualcosa per liberare i singoli soldati dalla morsa di ferro della Madrepatria.
Prima dell’inizio della guerra vera e propria contro l’Ucraina, ti è mai capitato di essere contattato dai contractors mandati a combattere in Siria, per esempio?
Per quanto riguarda la Siria non ho quasi mai ricevuto contatti. Nel caso dei contractor, è difficile parlare di violazioni dei diritti dei soldati: vengono accuditi come si deve e pagati più o meno come quelli che vanno a combattere in Ucraina.
Qual è la paga del personale militare schierato in Ucraina?
Tra i cinquemila e i diecimila rubli (69-138 euro) al giorno per quelli che partecipano all’“operazione militare speciale”. Questo in aggiunta al loro salario ufficiale.
Hai detto che oggi più che mai ricevi richieste da obiettori. Quante ne ricevi, approssimativamente?
Ora sto sentendo via mail e telefono diverse dozzine di potenziali obiettori, direi quasi un centinaio.
Molto spesso, per ogni individuo che mi contatta c’è un intero gruppo di soldati con cui poi questo condivide le informazioni ottenute dal nostro consulto. Io posso solo dare loro i dettagli circa l’eventualità di un loro reintegro nell’esercito nonostante l’obiezione.
Che tipo di soldati si rifiutano di andare in Ucraina?
Non posso rispondere a questa domanda perché mi trovo in Russia e non posso gettare discredito sulle Forze armate della Federazione russa.
Hai ricevuto richieste anche da soldati di rango superiore che non vogliono partecipare alle operazioni militari?
Sì, ho aiutato anche il capitano di un’unità di ricognizione, ma non posso fornire ulteriori dettagli.
Il personale militare può subire azioni legali per essersi rifiutato di combattere?
In tempo di pace è piuttosto problematico portare avanti un’azione penale contro qualcuno che si sia rifiutato di obbedire agli ordini, ma non è impossibile. Se non si ottempera a un ordine, il reato penale si configura solo nel caso se ne abbiano conseguenze materiali dannose, o se ciò nuoce a un’azione di combattimento; questo è disposto nel Codice penale, articolo 332, parte 1 (incapacità di eseguire un ordine). Per esempio, il caso di un soldato incaricato di difendere una caserma che gettasse il suo fucile per scappare e in seguito la caserma venisse data alle fiamme.
È più difficile quantificare i danni materiali in terra straniera, in Ucraina. Per esempio, un danno materiale potrebbe essere considerato il disturbo a un’azione di combattimento, e ciò potrebbe includere soldati che rimangono uccisi a seguito di una mancata azione di un altro soldato, o il non raggiungimento di obiettivi strategici. Al momento, non c’è stato neanche un caso di azione penale per il rifiuto di un soldato di combattere, e credo di sapere il perché.
Perché?
Perché poi finirebbe sui media. Se ci fosse un’azione legale circa i motivi del fallimento di un’azione militare specifica, equivarrebbe ad ammettere che nell’esercito c’è qualcosa che non funziona come dovrebbe. In più, secondo le norme della procedura penale, se viene istruita una causa contro un soldato, a questo deve essere fornita una copia della decisione di istruire il caso; e questo deve includere i dettagli del “danno materiale significativo” che le sue azioni hanno provocato agli interessi dell’esercito. E così, tutti verrebbero a sapere che quella particolare missione è fallita. I resoconti mediatici finirebbero per minare l’autorità del comando se il caso divenisse pubblico; il soldato potrebbe essere intervistato dai giornalisti, e sicuramente potrebbe avere molte informazioni interessanti da condividere. In seguito, se altri soldati venissero costretti ad affrontare casi penali, la reticenza dei soldati a obbedire agli ordini verrebbe ad aumentare.
Ecco perché ritengo che lo stato non abbia ancora adottato questo strumento, ma vorrei che fosse chiaro che è, almeno teoricamente, una via possibile.
Molti soldati russi finiti prigionieri degli ucraini hanno detto che il 24 febbraio pensavano di andare a svolgere delle esercitazioni, e che solo in seguito era stato loro ordinato di unirsi all’“operazione militare”. Puoi confermarlo? Hai sentito resoconti simili?
Sì, certamente. Proprio ora sto preparando un caso per alcuni soldati cui avevano detto che stavano andando a svolgere delle manovre di esercitazione che poi si sono rivelate essere l’“operazione militare speciale”.
Tra questi ci sono soldati che si sono rifiutati di andare in Ucraina, e soldati che, dopo avervi trascorso un po’ di tempo, se ne sono andati.
Cosa ti dicono circa il motivo per cui non vogliono tornare in Ucraina?
Non posso rispondere, perché se lo facessi potrei gettare discredito sulle Forze armate, cioè dare l’impressione che in Ucraina i nostri soldati stiano facendo una figuraccia. E non voglio certo dire nulla di tutto ciò.
Però un conto è vincere, un conto è morire. Moltissimi hanno cominciato a volersene andare dopo l’avvio dell’“operazione”, quando hanno cominciato a vedere i loro commilitoni morire. Comunque, gli obiettori sono stati minacciati di azioni penali -gli si è urlato contro, si sono puntati i piedi e sono stati rivolti appelli all’ufficio del procuratore militare.
Cosa è accaduto a coloro che si sono rifiutati di combattere?
La maggior parte di loro è stata congedata. Alcuni sono stati mandati via in licenza, perché per legge, prima di essere congedati, ai soldati deve essere permesso di usufruire di tutte le licenze che hanno maturato, e solo dopo possono essere congedati. Perciò, tantissimi dei congedati in realtà sono ufficialmente ancora in licenza.
Ma non li congedano tutti, alla fine. In alcuni casi, se la fetta di soldati che si rifiuta di combattere diventasse troppo grande, e li congedassero tutti, non rimarrebbero più soldati in servizio. Per cui tendono a colpire duramente solo alcuni degli obiettori, per renderli d’esempio per gli altri.
C’è anche chi non viene congedato dopo aver obiettato. Uno, in particolare, era un autista in servizio al contro-spionaggio militare dei servizi di sicurezza, l’Fsb. Lui è stato reinserito in ruolo; lo hanno spaventato, gli hanno urlato contro, ma poi non è successo altro. Fa ancora l’autista per l’Fsb.
Hai scritto che alcuni dei congedati si ritrovano nel loro stato di servizio la definizione “incline al tradimento, al sotterfugio, alla menzogna”.
Sono stato molto criticato per aver parlato di queste definizioni nello stato di servizio. Mi si è accusato di aver diffuso false informazioni, di averle prese da canali Telegram ucraini. E invece no, sono stato io a farle girare per primo! È stato un soldato a parlarmene.
Vengono spesso a riferirti di queste “macchie” negli stati di servizio?
No, perché credo che si tratti di iniziative personali di singoli comandanti. Di recente mi hanno mostrato uno stato di servizio militare con degli appunti in cui si diceva che il soldato si era rifiutato di prendere parte all’“operazione militare speciale” e pertanto veniva congedato per “essere venuto meno ai termini contrattuali”.
È la stessa cosa, anche se posta in maniera più “morbida”. Scrivere una nota simile in uno stato di servizio di un militare equivale a rovinargli la vita. Quel commento non si basa su nulla; è contrario alla legge, e si può richiedere che venga annullato. Sto lavorando proprio su questo.
Come potrebbe rovinare la vita del soldato un’annotazione del genere?
Perché pregiudicherebbe le sue opzioni future, quando questi, per esempio, dovesse volersi unire a un’altra unità militare, alle forze di polizia, al Servizio penitenziario federale o ad altre forze dell’ordine. L’unica cosa su cui possono fare leva i comandanti è mettersi a strillare e minacciare azioni penali, ma in verità ciò che possono fare è semplicemente congedarli.
Molti vogliono essere congedati, ma i loro comandanti, che vogliono gestire il problema in qualche modo, non possono far altro che urlare, minacciare e scrivere queste annotazioni.
Vieni mai contattato dai parenti di soldati morti o feriti? Persone che cercano una compensazione economica?
Sì, come ho già detto conosco casi di soldati feriti, o che hanno subìto traumi cranici, che ritengono di non aver ricevuto cure mediche appropriate. Al momento ho in sospeso una richiesta della moglie di un soldato che ha subìto gravi danni cerebrali ma non riesce a ottenere una compensazione.
E per quanto riguarda i parenti dei morti?
Non mi è capitato.
Dal tuo osservatorio, ti sembra di notare un incremento di soldati contractor?
Molti uffici di reclutamento militare stanno cominciando a cercare soldati per contratti a breve termine. Non posso parlare di percentuali, ma noto anche, come ho già detto, che i numeri di coloro che stanno lasciando il servizio sono molto alti.
La maggior parte di coloro che vanno in Ucraina per la prima volta, sì, vogliono “de-nazificare”, “de-militarizzare”, “liberare”… molti sono anche pronti a uccidere. Ma certo non è vero che sono tutti pronti a morire per questo.
Quando un soldato però comprende che la realtà è che può rimanere ucciso, per molti questo rappresenta un momento di presa di coscienza. In tanti allora cominciano a riconsiderare il loro bisogno di partecipare all’operazione. Perché gli ucraini, sì, che sanno per cosa stanno morendo, ed è su questa consapevolezza che si fonda la loro audacia. Quando i nostri nonni combattevano, anche loro sapevano per cosa stavano morendo. Invece, non tutti i nostri soldati comprendono il motivo per cui la loro morte sarebbe necessaria.
Cosa ti dicono le persone con cui entri in contatto circa la guerra? Per esempio, dopo essere stati feriti, o dopo il congedo?
Alcuni sono ancora convinti di star combattendo contro il nazismo. Non posso certo dire che tutti coloro che hanno servito la patria in questa guerra ritengano che sia tutto invano. Ci sono quelli che vogliono essere pagati il giusto, ma pronti a tornare in battaglia. Ma sono una minoranza.
Il resto dei soldati mi dice di essersi reso conto che i locali non erano certo felici di vederli. Dicono anche che non incontrano mai gruppi isolati di “nazisti”, come gli era stato detto, ma forze armate regolari, ben equipaggiate. Capiscono che le cose non stanno come gli era stato detto e che quelli non sono “nazisti”, ma una nazione che difende il proprio territorio.
Tu cosa pensi della guerra?
Credo che i nostri ragazzi non c’entrino nulla con questa “operazione speciale”. Nel 2014 mi trovavo sul confine ucraino in una missione di lavoro, ai tempi in cui lavoravo come aiuto del procuratore militare. Ho visto come sono state create le repubbliche di Luhansk e Donetsk, pertanto ritengo che le basi su cui è stata giustificata questa guerra siano completamente artificiose. Ma, lascia che lo ripeta, questa è solo la mia opinione personale; con questo, non sto cercando di convincere nessuno a fare alcunché.
(traduzione di Stefano Ignone. Pubblicato su Meduza col titolo “Freeing them from the motherland’s tenacious grip” https://meduza.io/en/feature/2022/05/03/freeing-them-from-the-motherland-s-tenacious-grip)
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