Erri De Luca, 44 anni, napoletano, vive a Roma. Ha scritto per Feltrinelli Se non ora quando, Una nuvola come tappeto, Aceto Arcobaleno. Sempre da Feltrinelli sta per uscire la sua traduzione dell’Esodo.

Leggi la Bibbia. Perché?
Ho cominciato a leggere la Bibbia in un periodo in cui stavo preparandomi ad andare a lavorare in Africa come volontario per l’organizzazione di un piccolo intervento di approvvigionamento idrico. Stavo a Cuneo -così anch’io, come Totò, posso dire di aver fatto un periodo di militare, di volontario a Cuneo, e quindi sono anch’io un uomo di mondo- e mentre imparavo a montare degli attrezzi che si chiamano eoliane ho studiato un po’ la lingua del posto dove sarei andato a piantare questi attrezzi, la lingua swaili, quella dell’Africa orientale. In quel periodo ho incominciato a leggere l’Antico Testamento, anche perché era lì, sul comodino. Mi è piaciuto, ho visto che c’erano delle storie bellissime... Poi ero stufo di storie letterarie, non mi emozionavano più. Invece in queste nuove storie che sono alimentate da una specie di protagonista principale ma uniformemente diffuso, da questa specie di sacro che alimenta tutti quei personaggi, ho trovato un alimento nuovo. Allora ho pensato di provare a leggerle nella loro lingua originale. Vengo dalla scuola classica, ho studiato il greco, il latino, insomma credo di poter studiare qualunque lingua al mondo, peggiore del latino non ce n’è. Dopo 8 anni di latino ancora oggi, non dico Ovidio o Tacito, ma anche Giulio Cesare mi sembra difficile... Dopo aver studiato quelle, qualunque altra lingua è facile. Infatti anche l’ebraico antico non è una lingua impossibile. E’ difficile perché la ricostruzione delle sue regole, la ricostruzione grammaticale è stata a lungo congetturale, ricavata per ipotesi, perché è una lingua piena di varianti e di eccezioni nei verbi, ma è una lingua come tutte le altre. Così, quando ho iniziato a studiarla, ho visto che riuscivo in qualcosa e poi, siccome faccio questo tutti i giorni dedicandogli il tempo migliore della mia testa, in qualcosa sono riuscito. Sono riuscito a leggere la Bibbia in ebraico antico. Questa soddisfazione naturalmente mi ha dato l’alimento per continuare a farlo.
E poi, insomma, ho scoperto che leggendola in ebraico antico la Bibbia, come, ovviamente, tutti i testi affrontati nella lingua madre, è molto più bella che in italiano, ma in maniera emozionante. Non sto qua a dare troppe spiegazioni ma in Una nuvola come tappeto, il libro che ho scritto sulle mie letture bibliche, ci sono delle piccole scoperte fatte leggendo la Bibbia in originale che sono però alla portata di chiunque. Io ho scoperto quelle ma chiunque altro può trovare delle cose altrettanto belle, valorose e degne di essere raccontate, di essere riportate alla luce. Sono cose che stanno lì, alla superficie delle lettere, io non sono andato a scavare nel secondo senso, nel terzo senso, non sono andato a scavare oltre la pagina, oltre il senso letterale. Io mi fermo lì, alla soglia della lettera.
Il Talmud dice che la lettura di chi si ferma alla soglia della lettera è la lettura dell’insensato, cioè di quello che rimane fuori. Io rimango fuori, sono fuori della profondità e fuori anche della tradizione. Fuori della profondità perché non vado oltre il primo significato, il significato letterale, perché per me è già bello così, è già sufficiente per la mia felicità, ma fuori anche dalla tradizione perché la tradizione è l’infinito commentario aggiunto alla Bibbia. La tradizione è la civiltà del commento, degli scismi, delle eresie, e quelle pure sono civiltà, quelle pure rientrano nella tradizione della civiltà di quel libro.
Ma io me ne sto all’imboccatura, all’inizio, mi fermo alla fonte, mentre invece la religione, la tradizione sono la foce di quell’acqua che lì comincia e che poi si arricchisce, strada facendo, di tutto. Uso l’immagine del fiume perché in ebraico c’è una similitudine. Nachal è fiume e nachalà, cioè la sua versione femminile, è eredità. Quindi l’eredità è la civiltà, quello che è il fiume alla foce. Io invece acchiappo l’acqua alla fonte, vado solamente lì, prendo col mio bicchierino... C’è un verso di una poetessa moderna che si chiama Patrizia Cavalli che mi fa da immagine a questo attaccarsi alla fonte: da scalfittura diventare abisso.
Ecco, questo è il percorso della scrittura: io mi fermo alla scalfittura, da dove, cioè, comincia ad uscire un po’ d’acqua. Alla fonte, insomma.
Hai ...[continua]

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