Grazia la conoscevo attraverso i Quaderni piacentini, soprattutto con la famosa rubrica dei libri da leggere e da non leggere. La stimavo molto, l’ho sempre stimata molto, ma ci eravamo incontrate poche volte. Succedeva che la chiamavo al telefono e le dicevo: “sono d’accordo con te”. Poi mettevo giù.
Supponevo, ma non gliene ho mai parlato, che verso di me avesse una certa diffidenza in quanto moglie di un dirigente bancario, quindi una borghese. Ma lei pure lo era e in seguito mi ha detto che aveva una grandissima opinione di mio marito.
Poi, non so neanche come, ci siamo ritrovate e abbiamo scoperto reciprocamente molte affinità: non solo la passione per il pensiero, per l’arte, per l’impegno mentale, ma anche una profonda diffidenza e ripugnanza per certe cose e invece delle fraternità anche molto semplici, molto umili. Grazia, in uno scritto che preparò per il convegno sulla mia pittura e che era anche un tentativo di ritratto, ha ricordato che nessuna di noi due era pratica di cose domestiche (che pure facevamo, ma solo per necessità e senza bravura) e che entrambe, se eravamo sole, risolvevamo il problema del cibo facendo bollire delle patate.
Quando era possibile andavamo a mangiare insieme, in genere al Regoli. Io dovevo fare solo pochi passi a piedi, era lei che passava a prendermi a casa e mi portava sempre un mazzo di margherite bianche. Sapeva che io le amo molto e le comprava, credo, al mercato perché erano particolarmente fresche e duravano molto tempo. Anche questo creava un legame fra di noi: arrivava sempre con il suo magnifico mazzo di fiori e così non mi mancavano mai.
Lei poi non voleva mai che al ristorante si spendesse troppo e ciò anche per ragioni d’età per me e di salute per lei: mangiavamo un primo e poi pochissimo, il meno che si potesse. Lo considerava importante. Una piccola differenza era che io preferivo il mio solito angolo in una stanza al buio, mentre lei la stanza più grande perché c’era più luce, ma le nostre differenze erano sempre minime. Lei disapprovava casa mia perché troppo ingombra di libri e cose, ma la sua non me l’ha mai lasciata vedere perché doveva essere anche peggio: in fatto di disordine anche Grazia doveva essere insuperabile.
Grazia mi aiutava molto passandomi certi libri, spesso piccolissimi, ma importanti. Capiva subito quando una cosa mi avrebbe coinvolto. Quest’estate mi aveva mandato L’esecuzione capitale di Troppmann, una specie di straordinario reportage con il quale il grande scrittore russo Ivan Turgheniev racconta la sua angosciata e lucida partecipazione come invitato allo "spettacolo" di una esecuzione tramite ghigliottina nella Parigi del 1870. E’ un racconto molto breve, ma molto importante.
Grazia aveva una sua estrema pulizia mentale e morale. Non ho mai intravisto in Grazia l’ombra della meschinità. Era invece molto severa, quello sì. Tra coloro che l’hanno ricordata dopo la sua morte, mi è piaciuto quello che ha detto Pampaloni a proposito di un aspetto aristocratico nella sua origine sarda. Come del resto hanno detto tutti, era molto riservata, segreta quasi. Eravamo profondamente amiche ma non ci facevamo mai domande di carattere intimo. Non le ho mai domandato se aveva un fratello o qualcuno.
Aveva amicizie "singole" e, pur rimanendo sempre se stessa, con ognuno stabiliva un rapporto personale. Era amica anche di persone molto più giovani, che aiutava. Di qualcuno mi parlava, mi faceva capire che le importava molto, ma non mi obbligava a conoscerlo. Mi lasciava libera.
Poi del suo rapporto con molti personaggi della letteratura ho saputo qualcosa solo quando abbiamo lavorato insieme al libro di ritratti del “giudice fotografo”, di Vincenzo Cottinelli. Lei avrebbe dovuto preparare le schede bio-bibiografiche, e purtroppo non è riuscita. Io ho avuto invece il compito di scrivere un breve commento per ogni immagine: alcuni di questi sono stati rivisti con l’aiuto di Grazia a metà del luglio scorso. Per esempio sotto un’immagine molto ...[continua]
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