Tu hai sostenuto che per la critica della globalizzazione è più attrezzata la cultura e la tradizione di destra che non quella di sinistra. Puoi spiegare?
Non c’è alcun dubbio che la destra sia tradizionalmente più attrezzata della sinistra nella critica della globalizzazione. Si potrebbe aggiungere anzi che la cultura della destra del ‘900 nasce come critica della globalizzazione, perché vede in essa la realizzazione ultima dei processi universalistici iniziati con l’illuminismo, o con Lutero o -secondo il filone pagano della cultura di destra- addirittura con il giudeo-cristianesimo. In sostanza la globalizzazione come esito finale di un processo iniziato con Abramo e San Paolo. Non a caso un autore come Alain De Benoist rinfaccia alla sinistra proprio questa contraddizione: di avere una struttura intellettuale, teorico-politica fondamentalmente universalistica e però di opporsi alla globalizzazione. O basti pensare a un autore come Sombart o a filosofi e pensatori come Heidegger. La cultura di destra è cresciuta sulla rivendicazione della differenza, della specificità, della nazionalità; la cultura di destra del ‘900 ha sempre utilizzato in senso antiglobalista le proprie categorie chiave come sangue, terra, etnia, suolo, nazione, razza, ecc. Qui forse l’immagine più appropriata della critica della globalizzazione potremmo trovarla in quelle pagine in cui un autore caro al pensiero di destra del ‘900, Celine, descrive l’ambiente dell’Ufficio assunzioni della Ford: lui che fa la fila insieme agli altri disperati o, come dice lui, “sciancati nello spirito e nella carne”; ci sono tutte le razze, tutte le etnie, tutte le culture, tutte le nazionalità che fanno la fila alla Ford; lì tutte le differenze vengono precipitate in un processo produttivo, in una catena di montaggio che tutto unifica, e che, per quanto concerne, appunto, le specificità, tutto distrugge. La Ford naturalmente è il capitalismo industriale, potente, in fase di travolgente sviluppo.
Qual è il problema però? Il problema è che la critica che la cultura della destra del ‘900 ha condotto nei confronti della globalizzazione è una del tutto differente rispetto a quella sviluppata dalla cultura di sinistra. Per intenderci: mentre, bene o male, nella cultura di sinistra si è costretti poi, nella critica alla globalizzazione, a riaprire le pagine ingiallite del pensiero economico marxista, sottolineando gli aspetti economico-sociali deteriori che la globalizzazione produce, nella cultura di destra la critica della globalizzazione presta minore attenzione agli aspetti economico-sociali restando fondamentalmente sul piano antropologico e culturale. La cultura di destra critica la globalizzazione perché distrugge, appiattisce, vanifica le differenze culturali e antropologiche tra gli individui, produce quella che a destra si definisce la monorazza, la monocultura, che è appunto la cultura dell’americanismo.
Basti pensare, ad esempio, alla difesa dell’islamismo, delle culture musulmane, che viene condotta a destra, una difesa che si aggancia, certo, alle inclinazioni e pulsioni antisemite della destra, ma che è motivata dalla difesa di tutte quelle specificità, in questo caso culturali e religiose, di popoli, culture, nazioni ed etnie fino ad oggi sottrattesi ai processi di globalizzazione.
Salvo poi glissare sul fatto che se c’è una cultura altrettanto universalistica che il marxismo e il cristianesimo, questa è proprio l’islamismo: un musulmano lo si può trovare a Manhattan come nelle montagne dell’Afghanistan.
Quindi il differenzialismo, e il razzismo differenzialista, sono la nuova frontiera del pensiero di destra…
Non c’è dubbio. Nell’ultimo trentennio la critica degli aspetti culturali, antropologici e spirituali della globalizzazione viene condotta dalla destra, in nome di quello che è stato chiamat ...[continua]
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