E’ perfino inutile sottolineare quanta pericolosa intolleranza, quanta cattiva coscienza da piccolo borghese risentito vi sia nel pensare l’onestà come valore discriminante, come principio di divisione in “parti” del paese reale (questi sono i “partiti”). Se da una “parte” stanno gli onesti e i puri (indipendentemente dalle ideologie tradizionali, si afferma con orgoglio), dall’altra “parte” che ci sarà? E’ semplice: i disonesti e gli impuri. Se vi sarà guerra, questa allora non potrà che essere una guerra santa e di annientamento, perché, per il trionfo del bene sul male, non solo è inutile, ma è addirittura dannoso discutere sui mezzi. Il modello di questa guerra santa è la grande operazione di polizia internazionale, vale a dire di ripulitura dei bassifondi mondiali, con la quale ha preso avvio questo radioso scorcio del secolo ventesimo. Al fondo della politica, spiegava il grande costituzionalista tedesco Carl Schmitt, vi è la guerra, vale a dire la dialettica amico-nemico. Sono in molti, oggi, le anime belle e ingenue che proprio a partire da questa analisi auspicano (“Dio, come auspicano”, direbbe Caproni) un superamento in toto della forma politica. L’idea della lega degli onesti, ma, occorre pur dirlo, del leghismo e del trasversalismo in genere, è un’idea meta-politica. Tutti costoro, nella loro ansia di moralizzazione, scordano però l’altra metà del discorso di Schmitt. La dialettica amico-nemico è indubbiamente una dialettica amorale (non immorale), così come amorale è la guerra teorizzata dal diritto pubblico europeo (jus publicum Eropaeum) nel sec. XVII di cui la politica è, secondo il celebre detto, la continuazione con altri mezzi. Ma tale concezione della politica e della guerra sono nate dal bisogno di superare definitivamente la guerra santa, cioè le guerre di sterminio fondate sulla contrapposizione religiosa (e morale) puro-impuro.
L’autonomia della politica dalla morale, la distinzione dei piani, non solo ha una origine nobilissima, ma deve restare un compito etico per chiunque non voglia far ricadere l’umanità in una condizione premoderna caratterizzata dalle guerre religiose finalizzate allo sterminio dell’infedele. La grande conquista del diritto pubblico europeo consistette nel dare una forma giuridica al concetto di nemico. Questi cessava di essere il non-uomo, il mostro, qualcosa che deve essere semplicemente annientato, per divenire nemico giusto (justus hostis), espressione mirabile che sintetizza una delle più alte vette raggiunte dallo spirito europeo. Il nemico, quel nemico che deve essere sconfitto e, talvolta, anche ucciso, resta pur sempre un uomo di cui si possono apprezzare disinteressatamente le qualità morali. La guerra, come il suo equivalente in tempo di non guerra: la politica, era uno scontro tra potenze aventi pari dignità morale, non tra uomini e mostri. Per duecento anni vi furono in Europa guerre crudelissime, ma non guerre di annientamento, le quali sono state invece il privilegio del nostro secolo “morale” e “umanitario”. La contaminazione del piano politico con quello morale, la delegittimazione dell’autonomia della ...[continua]
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