Un pensatore poliedrico
Ibn Khaldûn, musulmano tunisino vissuto nel XIV secolo, è l’autore di una delle prime riflessioni sul significato della storia della civiltà umana in senso moderno.
Si tratta di un personaggio straordinario, che visse nel tardo medioevo presso le principali corti del mondo arabo-islamico occidentale, dall’Andalusia all’Egitto; fu diplomatico, insegnante, giudice, scrittore. Amante della storia, in cui cercava gli “esempi istruttivi” per comprendere il senso degli eventi, scrisse anche una monumentale storia dell’umanità, intitolata Kitâb al-’ibar (“Libro degli esempi istruttivi”) dove il termine arabo ‘ibar significa, appunto, “esempi istruttivi” -e già in questa formula riecheggia la lezione che diede, un secolo e mezzo dopo, il fiorentino Niccolo Machiavelli.
Ma soprattutto, la sua grande esperienza di vita, unita a una vasta cultura e a una viva intelligenza, gli ispirarono un’opera filosofica, la Muqaddima, inizialmente concepita come “Introduzione” al Kitâb al-’ibar (in arabo muqaddima significa per l’appunto “introduzione”).
La Muqaddima è un’opera ricchissima di considerazioni originali sulla storia, sulla politica e sulla società, che offre al lettore continui spunti di riflessione. Per questo esercita ancora oggi un grande fascino sugli studiosi contemporanei appartenenti a differenti discipline, quali l’antropologia, la storia, la sociologia, la filosofia.
I concetti contenuti nella Muqaddima, isolati dal contesto in cui furono formulati, sono stati utilizzati dalle più diverse correnti di pensiero arabe: dai nazionalisti arabi ai pensatori liberali, ai socialisti.
Le sue idee sono state accostate dagli studiosi occidentali a quelle di Machiavelli, di Vico, di Montesquieu e persino di Marx.
Dall’eterogeneità degli studi critici sul pensatore maghrebino si ricava l’impressione di aver a che fare non con uno, ma con tanti Ibn Khaldûn. La ragione dipende in parte dalla natura stessa dell’opera, in cui il pensiero non fluisce con rigore logico, le idee sono disseminate qua e là, esposte in maniera asistematica, talvolta controversa, e i titoli dei capitoli non sempre ne rivelano l’effettivo contenuto. Così, in molte occasioni, ci vengono offerte riflessioni sparse molto suggestive, che, senza lo sforzo e la pazienza di ricondurre ad un intero, che è in parte da ricostruire, possono effettivamente farci volare a Vico -come quando Ibn Khaldûn afferma che “il passato e il presente si assomigliano come due gocce d’acqua” e si dichiara inventore di una “nuova scienza”- o a Marx -come nel caso della teoria della domanda e dell’offerta o nel caso della teoria economica del valore, che secondo Ibn Khaldûn non è intrinseco alle cose, come era secondo la prospettiva etico-metafisica dell’islam o del pensiero greco e cristiano, bensì è, in una prospettiva moderna, determinato dal lavoro.
2. I limiti della ragione
II pensiero khalduniano presenta elementi di modernità tanto nel metodo quanto nei contenuti. Il problema filosofico di Ibn Khaldûn è quello del significato e del senso della storia, che affronta da un punto di vista politico: le domande a cui cerca di dare risposta riguardano la natura del potere e le cause della nascita e del declino dei regni. Il motivo che lo spinge a scrivere la Muqaddima è la convinzione dell’inadeguatezza della storiografia arabo-musulmana, in quanto fondata sui principi delle discipline religiose. Così, Ibn Khaldûn si propone di dare attraverso la sua opera dignità scientifica allo studio della storia. L’intenzione dichiarata è quella di fondare la propria scienza sui principi della ragione umana, nella convinzione che le conoscenze certe sono possibili solo nel campo della realtà sensibile.
A proposito del metodo khalduniano si è parlato di razionalismo, di empirismo, di realismo e anche di materialismo. A mio avviso nella Muqaddima prevale, per l’elaborazione dei concetti, il ricorso al metodo empirico. Le idee alla base della scienza khalduniana risultano infatti essere generalizzazioni d ...[continua]
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