Da tempo operi con famiglie e insegnanti. Cosa sta cambiando nel rapporto dei ragazzi con i genitori e gli insegnanti e tra insegnanti e genitori?
Parto dai ragazzi e in particolare dalla cosiddetta "seconda generazione” subito precisando che assieme agli operatori in questi anni abbiamo cercato di proporre una riformulazione linguistica perché l’idea stessa di seconda generazione ci sembrava stigmatizzante. A ben pensarci, infatti, esiste sì una prima e una seconda generazione, ma di italiani e stranieri. In fondo noi "vecchi” siamo la prima generazione che ha cominciato a convivere in uno stesso territorio con persone provenienti da altri paesi, e oggi ci sono i ragazzi di seconda generazione -sia italiani che stranieri- che si trovano a convivere quotidianamente tra culture diverse. Perché altrimenti parlare di "generazioni” sembra che riguardi solo loro e invece la questione riguarda anche gli italiani. Pertanto, quando ci riferiamo alle seconde generazioni, parliamo di italiani e stranieri.
La prima cosa che noi vediamo è che rispetto al contesto della prima generazione, c’è una differenza incredibile, che però perlopiù non viene vista dagli adulti e di cui gli stessi ragazzi non sono consapevoli.
L’anno scorso a Vicenza abbiamo fatto un progetto proprio sul tema della seconda generazione e i ragazzi, nel raccontare, si sorprendevano di quello che dicevano.
Molti ragazzi italiani a casa sentono discorsi, non dico razzisti, però non particolarmente favorevoli agli stranieri. Gli stereotipi sugli stranieri come persone socialmente pericolose o comunque portatrici di problemi e difficoltà persiste.
Un ragazzo italiano raccontava: "Io a scuola ho tantissimi compagni provenienti da altri paesi, esco e gioco con gli amici marocchini, moldavi eccetera, però i miei genitori non vogliono che frequenti ragazzi stranieri perché li considerano cattive compagnie. Il mio amico più caro è un ragazzo dal Ghana, ma io non lo posso dire ai miei. Così porto in casa solo ragazzi italiani, gli altri li frequento fuori”. Per cui i ragazzi sanno distinguere i contesti, sentono nei genitori questo tipo di vissuto e non lo disconfermano. Naturalmente non si può generalizzare. Ci sono anche famiglie che non solo tollerano, ma favoriscono queste amicizie.
Anche i ragazzi stranieri vivono una distanza rispetto ai propri genitori, ma di altro tipo.
Pur ereditando la cultura e le modalità di vita dei genitori, qui si trovano a vivere una realtà completamente diversa da quella della propria cultura d’origine, tuttavia questa loro esperienza non la trasmettono ai genitori, resta blindata dentro di loro. In generale poi emerge che il loro convivere con gli italiani spesso è positivo però i genitori -sia italiani che stranieri- non conoscono questa loro esperienza. Potremmo dire che sono più avanti ma non sanno di esserlo.
Però i pregiudizi stentano a scomparire. Insomma i segnali sono contraddittori.
È proprio così. Dal 2004, come centro Capta, siamo entrati nelle scuole con progetti di ricerca-intervento proprio sulla convivenza e abbiamo quindi proposto alle classi dei sociogrammi, che è un metodo per rilevare una mappa sociale dei ragazzi; semplificando chiediamo ai ragazzi di dichiarare, anonimamente, chi scelgono come amico e chi invece non vogliono come amico. Ecco, la maggioranza dei ragazzi isolati o rifiutati sono stranieri. Ma non vengono stigmatizzati perché stranieri. Però il ragazzino che disturba di più, quello più fastidioso, lo "sfigato”, la ragazzina che non parla, quello che si veste male o puzza (anche il discorso delle puzze continua a esserci), guarda caso è straniero.
Questo accade soprattutto nelle scuole medie. Poi la sensazione è che con l’andare avanti nell’età ci sia forse anche una maggiore discriminazione, però di fatto i ragazzi si frequentano.
Anche se, lo ripeto, questa frequentazione non è convalidata dagli adulti, né italiani né stranieri. Per cui è un vissuto del tutto originale quello dei ragazzi di seconda generazione.
Dicevi che i ragazzini stranieri sono spesso costretti a fare ...[continua]
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