Giorgio Cingolani, economista agrario, svolge attività di consulenza sui problemi dello sviluppo rurale nelle aree povere del mondo per varie organizzazioni internazionali e non governative. Negli ultimi 25 anni si è occupato di progetti in Asia (Bangladesh, India, Thailandia, Nepal, Filippine e Cina), Africa (Somalia e Mozambico), America Latina (Nicaragua, Cuba, Perù e Argentina) e più recentemente nell’Europa dell’Est (Bosnia, Romania). E’ produttore biologico da cinque anni. A lui abbiamo chiesto un parere sulle conseguenze dell’introduzione nella produzione agroalimentare degli Ogm, ultima controversa frontiera del settore, e sul loro possibile utilizzo come “risorsa” per lo sviluppo agricolo nel terzo mondo.
Quali sono le implicazioni principali introdotte nella filiera della produzione agroalimentare dagli organismi geneticamente modificati?
Come economista agrario il primo punto che farei notare, prima delle possibili implicazioni per la salute e l’ambiente, è che con gli Ogm, a causa dei brevetti sulla produzione di sementi, sfugge pericolosamente di mano agli operatori il controllo di un elemento base per la loro attività, mentre va a concentrarsi ulteriormente la forza di chi fornisce i mezzi tecnici, indispensabili per l’agricoltura moderna industrializzata. Fino agli anni Novanta dello scorso secolo questo non sarebbe stato possibile. Non lo avrebbero permesso né le legislazioni dei singoli stati né le convenzioni internazionali sull’agricoltura.
Anzi, uno dei punti che le distingueva era proprio il fatto che la materia vivente, le funzioni della produzione vegetale, non fossero brevettabili perché patrimonio comune.
Erano considerate un common, ed era dato per scontato, e storicamente è vero, che il patrimonio genetico vegetale è il risultato di un processo di selezione ininterrotto da quando è nata la domesticazione degli animali ed è stata introdotta l’agricoltura sedentaria. e’ il frutto di tutte le generazioni che ci hanno preceduto; nel bene e nel male, perché sono stati commessi anche degli errori.
Quindici anni fa c’è stato un punto di rottura, una svolta, che ha permesso coi brevetti di esasperare il controllo monopolistico sulla riproduzione delle sementi, un elemento fondamentale nella produzione agroalimentare. La stessa cosa sta accadendo anche con la riproduzione animale.
La questione del controllo dei mezzi tecnici era già rilevante nell’agricoltura moderna convenzionale. Nella filiera agroalimentare, a monte si trova chi possiede gli elementi essenziali della produzione, la terra, l’acqua, le sementi, i fertilizzanti; a valle si trovano i consumatori e in mezzo ci sono tantissimi altri operatori. In agricoltura, prima dell’introduzione delle molecole di sintesi e della meccanizzazione, gli input essenziali erano generati dalla stessa azienda agricola o da alcune aziende che si specializzavano per questo compito, ma tutto rimaneva interno alla produzione: una parte del raccolto era trattenuta per la semina dell’anno successivo. Con la modernizzazione dei processi agricoli, progressivamente questa parte della catena produttiva si ...[continua]
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