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Lettere, rubriche
e interventi
Alfonso Berardinelli
Stephen Eric Bronner
Vicky Franzinetti
Belona Greenwood
Gianni Saporetti
Lucetta Scaraffia
Massimo Tirelli
I Libri di Una Città

Andrea Caffi
Cronistoria di dieci giornate - di Andrea Caffi
prefazione di Marco BrescianiEd. edit91 soc. coop., 2025
66 pagine
5,00
L'organo personale di Benito Mussolini stampava il 3 maggio 1923: "Quanto al Matteotti -volgare mistificatore, notissimo vigliacco e spregevolissimo ruffiano- sarà bene che egli si guardi. Che se dovesse capitargli di trovarsi un giorno o l'altro con la testa rotta (ma proprio rotta) non sarà certo in diritto di dolersi dopo tanta ignobiltà!
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I Libri di Una Città

Giovanni Tassani
Su tempi appena trascorsi
Esperienze, connessioni, dettagliEd. una città, 2023
358 pagine
18,00
Scritti di Giovanni Tassani, 1998-2023
I Libri di Una Città

Chiara Frugoni
Cosa intendi dire?
Intervista a Chiara Frugoni, 1994-2015Ed. una città, 2023
135 pagine
12,00
Interviste a Chiara Frugoni
a cura di Gianni Saporetti
con prefazione di Gianni Sofri (con Federica Rossi)
I Libri di Una Città

Flavio Casetti, Gianni Sapretti, Lorenzo Cottignoli
L'epopea degli scarriolanti
Intervista a Lorenzo CottignoliEd. Una città, 2022
56 pagine
5,00
"L'epopea degli scarriolanti", intervista a Lorenzo Cottignoli a cura di Flavio Casetti e Gianni Saporetti, pubblicata in due puntate su Una città n. 246 (febbraio 2018) e n. 247 (marzo 2018)
prefazione di Roberto Balzani
I Libri di Una Città

Gaetano Salvemini, Nicola Chiaromonte
In difesa della cultura
Scritti in occasione del Congresso internazionale degli scrittori per la difesa della culturaEd. Una città, 2022
66 pagine
5,00
scritti di Gaetano Salvemini e Nicola Chiaromonte
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I Libri di Una Città

Paola Sabbatani
Libertà e malinconia - libretto + cd
parole e musica di Paola Sabbatani - arrangiamenti di Daniele SantimoneEd. Una città, 2021
32 pagine
10,00
Paola Sabbatani, voce
Roberto Bartoli, contrabbasso
Tiziano Negrello, contrabbasso e percussioni
Daniele Santimone, chitarra sette corde e voce
Andrea “Duna” Scardovi, registrazione e mixaggio
Concetta Nasone, design
Massimo Golfieri e Fausto Fabbri, fotografie
produzione Paola Sabbatani e edizioni una città
cd durata totale 45:49 + libretto 32 pagine con foto e testi
Aspettative e sogni delusi,
perché qualcosa, nell’idea,
non ha funzionato, eppure
il sentire, che resta,
di non potersi chiamare fuori.
Vite che a volte si incatenano male,
senza lasciare vie d’uscita,
ma anche la seconda possibilità che c’è
e un fidanzato che non scappa
quando il peggio arriva.
La ribellione da giovani, i padri ritrovati
e il “fare insieme” che dà senso e forza,
ma pure stanchezza e desiderio
di un “recinto” di pace.
Amori impossibili,
per età, per sesso e circostanze,
tenuti segreti a nascondere
la propria vulnerabilità.
La lotta contro la sfortuna, così necessaria
e spesso anche vittoriosa,
ma comunque impari, che lascia nel cuore
un fondo di malinconia
I nostri libri
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In copertina
manifestazione a New York
I Democratici americani
Trump e le sfide future per la sinistra
Intervista a Michael Kazin
La lezione della Bosnia
La guerra in Ucraina vista dalla Polonia
intervista a Konstanty Gebert
Mescolando arabo ed ebraico
Un locale di Gerusalemme molto speciale
di Francesca Gorgoni
L’assonanza tra shalom e salam aleikum
A parlare di ebrei e palestinesi a scuola
intervista a Guido Armellini
Turisti tutti i giorni
L’overtourism che imperversa
intervista a Alex Giuzio
Momenti difficili, però credo di aver toccato anche la felicità...
Storia di una staffetta partigiana
intervista ad Antonia Laghi
Nonostante le indiscutibili prove
I crimini degli italiani
intervista a Roberto Masciadri
“Volontari”
I 900.000 italiani nella Germania nazista
intervista a Costantino Di Sante
Gli addormentati
Su un progetto teatrale
intervista a Ilaria Cristini e Laura Meffe
Potrò portare i capelli lunghi
Storia di una transizione
intervista a Clem
Guido Calogero, un socratico liberalsocialista
di Alfonso Berardinelli
Ventotene
di Matteo Lo Presti
Canada, Groenlandia, Siberia
di Vicky Franzinetti
Cosa ne pensano i giovani?
di Belona Greenwood
La visita
è alle tombe di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni
Proprietà: Fondazione Alfred Lewin Ets. Editore: edit91 società cooperativa.
Hanno collaborato: Lanfranco Di Genio, Francesca Gorgone, Andrea Pancaldi.
Proprietà: Fondazione Alfred Lewin Ets. Editore: edit91 società cooperativa. Questo numero è stato chiuso l’8 aprile 2025.

Nella foto: 1945, Bolzano. Dopo la fine della guerra, i “volontari” italiani lasciano i campi
di lavoro nazisti per tornare a casa
(Rome Office of War and Information)
La copertina è dedicata a chi, negli Stati Uniti come a Tel Aviv, a Gaza, a Istanbul, a Tiblisi, a Budapest, a Belgrado, scende in piazza per protestare contro governanti prepotenti assetati di potere. Non a caso non citiamo la manifestazione di Roma per la pace e contro ogni riarmo, per il suo chiaro, anche se non dichiarato, risvolto antiucraino, dato che ormai sarebbe solo la resistenza degli ucraini a ostacolare l’accordo per una pace che non potrebbe che essere ingiusta. Stante l’intenzione dei promotori il corteo avrebbe potuto sfilare dietro a uno striscione con su scritto: “Lasciateci in pace, abbiamo i nostri problemi”, che si potrebbe intendere, più volgarmente, come “facciamoci i fatti nostri”. Una volta crollato l’equilibrio che da ottant’anni ci garantiva la protezione americana, tanti pensano che armarsi è inutile, perché il nemico è un colosso, comunque è lontano e a Roma non arriverà mai. Oggi, fra l’altro, si possono costruire armi di difesa altamente sofisticate, che se non servono a chi le detiene, possono sempre essere date al paese amico aggredito. Ma questo non interessa. Con un pieno appoggio occidentale all’Ucraina, “il colosso” poteva essere costretto a ritirarsi come avvenne con l’Afghanistan, grazie, appunto, alla fornitura di armi adatte, in quel contesto, a colpire l’aggressore. Quanto abbia incoraggiato Putin la certezza che tanta parte dell’opinione pubblica europea era indifferente, se non ostile, alla resistenza ucraina, non lo sapremo mai. Di certo non poco.
È da due anni che si contrappone il negoziato alla guerra, la parola alla forza. Ma se è vero, come dice Kazin nell’intervista che segue, che il prepotente è, al fondo, un insicuro, l’uso della parola può anche peggiorare la situazione. Interi gruppi umani sono stati perseguitati perché padroni della parola. Certo, la parola è importante ma solo se accompagnata dalla possibilità dell’uso della forza. È col coraggio che si può trattare con successo. Il cappello in mano lo si tiene quando ci si arrende.
Che poi la guerra sia una cosa orrenda lo sappiamo tutti. E per certi aspetti più di ieri, quando non sarebbe stato affatto semplice ordinare a dei soldati di far strage di bimbi in una scuola o di malati in un ospedale per terrorizzare un’intera popolazione. Oggi basta che un soldato, che probabilmente è una brava persona, accetti di spingere un bottone lontano centinaia di chilometri per diventare una Ss.
Del resto la prepotenza la vediamo diffondersi anche fra di noi, nella vita civile. Pensiamo alla piaga del bullismo, anche sui social. Anche qui la risposta del genitore, a un ragazzo disgustato dal bullismo, spesso è quella di farsi i fatti propri oppure di andare dal preside. Si rischia di insegnare a essere vili, quando bisognerebbe insegnare a intervenire sempre a difesa del maltrattato, del “messo in mezzo”. “Non isdegnare di pugnar lotta in difesa del debole”, scrive il partigiano al figlio, un anno prima di essere fucilato (dalla citazione sopra).
Anche rispetto al maschilismo si rischia di vederne la radice solo socio-culturale, il patriarcato, senza tenere nella giusta considerazione lo squilibrio della forza fisica, che sempre porta con sé la tentazione della prepotenza. Le proposte di colmare questo squilibrio, per quanto possibile, fanno sorridere i più, ma è un errore. E comunque su questo saranno le donne a decidere. Quel che invece riguarda tutti, uomini e donne, è l’impegno per ripristinare un codice d’onore fondato sul mutuo rispetto che comporti anche la punizione del prepotente con l’ostracismo.
La nonviolenza è una pratica naturale nella vita quotidiana delle comunità. Però altrettanto connaturata, e forse più, è la possibilità dell’uso e abuso della forza. Se facciamo della nonviolenza una regola assoluta escludiamo quelli che sono più che due principi, sono due istinti dell’essere umano: la legittima difesa e il pronto soccorso all’aggredita e all’aggredito, alla perseguitata e al perseguitato, alla violentata e al violentato. Da qui la regola forse più importante, quella della “non prepotenza”.
L’educazione a questo principio dovrebbe essere uno dei compiti principali delle comunità e in primis, ovviamente, della sinistra. Che fare? Un’idea, per esempio, potrebbe essere quella di promuovere nelle città la costruzione di “case della non-prepotenza”, gestite da volontari, dove poter accogliere e aiutare i bullizzati e le bullizzate, dove far corsi “di recupero” per ragazzi prepotenti, per insegnare loro che è miserabile “far gruppo contro qualcuno”, e poi gruppi di autocoscienza maschile, corsi di storia e di psicologia, lezioni e dibattiti nelle scuole su cosa significa l’onore, una palestra per arti marziali riservata alle donne, gruppi di pronto intervento e di vigilanza (pensiamo alla notte dell’ultimo dell’anno nelle grandi città).
Fra poco sarà il 25 aprile e tutti saremo lì, a celebrare la resistenza di partigiane e partigiani, armati dagli alleati angloamericani. Ma tanti di coloro che saranno in piazza hanno abbandonato in cuor loro la resistenza ucraina, arrivando in alcuni casi, forse per giustificarsi con se stessi, a denigrarla. Fa tristezza. Ma se poi, fra i più anziani di noi, ritorniamo alla nostra giovinezza, va anche peggio, perché per anni, quando avremmo potuto usare le migliori energie per costruire un’Italia migliore, abbiamo professato il culto della violenza, quella rivoluzionaria, forse quella sì, da negare in ogni caso.
In questo numero, Michael Kazin dagli Stati Uniti ci spiega, ma senza perdere la speranza, il disastro dei democratici; Konstanty Gebert ci parla di Polonia e Germania, dei rischi dell’avanzata delle destre, della tragedia della Bosnia e della lezione di Sarajevo: che “saper sparare” serve alla pace.
Per il 25 aprile, pubblichiamo l’intervista a Tonina Laghi, oggi scomparsa, che racconta di quando, da tredicenne operaia di una fabbrica chimica, diventò staffetta partigiana e di come lì, pur fra tante sofferenze e tragedie, avesse “toccato la felicità”; Roberto Masciadri racconta dei crimini di guerra e contro l’umanità commessi dai soldati italiani in Africa, Grecia, Albania, Jugoslavia, e di come, per scelta politica, non furono mai puniti; Costantino Di Sante ci parla degli italiani che per scelta o, i più, perché costretti, finirono internati in Germania a fare gli operai per Hitler; infine, Matteo Lo Presti ci ricorda i “tre grandi” di Ventotene e Alfonso Berardinelli ci parla di Guido Calogero, filosofo del dialogo e politico del liberalsocialismo: la formula più che mai valida per una sinistra di oggi.
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IL NUMERO 300
Un'ipotesi
di resistenza
di Wlodek Goldkorn
In un mondo in dissoluzione, che senso hanno le parole, le immagini, i discorsi? Quanto segue non è una visione apocalittica dell’Universo ma un tentativo di raccontare alcuni tratti di questo periodo, iniziato grosso modo con la globalizzazione, e di proporre un’ipotesi di resistenza. E quindi di raccontare e argomentare la necessità e il valore di una rivista come “una città”. No, non siamo alla fine del mondo, ma “solo” alla fine di un mondo, viviamo in un’epoca in cui non scompare il “vecchio” universo, ma dove invece il mondo che abbiamo conosciuto sta radicalmente cambiando. E così abbiamo difficoltà perfino a comprendere o stabilire i nessi fra causa e effetto. Un po’ è questione delle tecnologie e degli strumenti che usiamo nella vita di tutti i giorni: chiunque abbia conseguito l’esame di guida per la patente guida sa come funziona il motore a scoppio, ma quanti di noi sono in grado di comprendere il funzionamento di un algoritmo?
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IN MEMORIA DEGLI AMICI
CHE NON CI SONO PIU'
Ricordiamo Grazia Cherchi, Andrea Canevaro, Roberto Ambrogetti, Alex Langer, Gino Bianco, Lisa Foa, Carla Melazzini, padre Camillo De Piaz, Anna Segre, Pierre Vidal-Naquet, Vittorio Foa, Pino Ferraris, Miriam Rosenthal, Michele Ranchetti, Piergiorgio Bellocchio, Irfanka Pasagic, Clemente Manenti, Clotilde Pontecorvo, Anna Bravo, Francesco Papafava, Michele Pulici, Chiara Frugoni, Franco Travaglini, Gabriele Giunchi, Bruno Giorgini, Silvia Sabbatani, Fiamma Bianchi Bandinelli, Michele Colafato, Lissi Lewin, Salvatore Biasco, Giovanna Dolcetti, Sabrina Nicolucci, Kharin Mahn, Giorgio Bacchin, Iole Pesci.
La redazione e una citazione di Cases
La citazione che in tutti questi anni ci ha fatto più piacere (e anche ridere) è quella di Cesare Cases.
Nelle foto. In alto a sinistra, da sinistra a destra: Fausto Fabbri, Franco Melandri, Rosanna Ambrogetti, Carlo De Maria, Barbara Bertoncin, Gianni Saporetti, Silvana Massetti, Michele Pulici, Massimo Tesei.
In basso a sinistra, da sinistra a destra, si riconoscono: Gino Bianco, Wlodek Goldkorn, la moglie Lucia, Francesco Ciafaloni, Cristina Bertola, Sergio Gattai, Patrizia Failli, Gioia Salmon, Giovanni Cardinali, Sonia Villone.
Qui sopra da sinistra a destra: Paola Sabbatani, Rosanna Ambrogetti, Patrizia Betti, Barbara Bertoncin, Massimo Tesei, Gianni Saporetti. Foto di Fausto Fabbri.

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Fra pochi numeri saremo a trecento. Non sapevamo cosa fare e ci siamo messi a fare interviste. Ne abbiamo fatte circa tremila.
Ci siamo sempre professati militanti. E se ci chiedevano:
“Di che?”, rispondevamo di non saperlo. Un caro amico ci disse: “Beh, militanti della domanda”. Sì, quella c’è e rimane: l’intervista che comporta ascolto, dialogo, curiosità per i problemi della gente e per le vite… “Il due e i molti”, insomma.
Un altro amico, che purtroppo non c’è più, ci disse: “Sì, ma le risposte?”. Alcune le abbiamo trovate. Che tuttora, in tutto il mondo, la lotta è fra democrazia e fascismo e che occorre un nuovo internazionalismo, quello democratico; che l’ideale socialista può realizzarsi, in diritti e doveri per tutti e in scelte di vita personali e collettive, solo in democrazia (per un secolo s’è pensato all’incontrario e il risultato s’è visto); che la memoria
del passato e di chi non c’è più, aiuta a capire, e a vivere. Su queste tre cose vorremmo impegnarci di più.
Nel tempo sono arrivati dei giovani che ormai non lo sono più. Ora aspettiamo la terza generazione. Non abbiamo aiuti dallo Stato né sponsor e non li cerchiamo; siamo sempre stati indipendenti e continueremo a esserlo. I soci, loro sì, hanno sempre dato, ma gli abbonati alla carta calano, come ovunque del resto.
Cercheremo di andare avanti.
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Libri su Israele e Palestina di Una città
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In questo momento tragico, per chi volesse approfondire la storia del rapporto fra ebrei e palestinesi suggeriamo i nostri libri:
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Perché sosteniamo l'Ucraina?

foto di State Emergency Service of Ukraine
La concezione dei “realisti”, secondo cui si dovrebbe dividere il mondo in zone di influenza; l’errore tragico delle repubbliche democratiche europee che nel 1936, non aiutarono la Repubblica spagnola; il prezzo “realista” di Yalta, con mezza Europa costretta a subire il dominio sovietico; il dovere, in nome di un nuovo internazionalismo, quello democratico, di aiutare una democrazia in pericolo.
Di Michael Walzer.
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Forlì, settembre 2024
appuntamento che, come lo scorso anno, vedrà la partecipazione di parenti delle vittime, provenienti dalla Germania, dalla Spagna, dall’Italia.
dalla cartolina dell'iniziativa del 24-25 settembre 2024

Forlì, settembre 2023
dalla cartolina dell'iniziativa del 20 settembre 2023

l'altra tradizione

In questa foto, in piedi da sinistra: Heinrich Blucher, Hannah Arendt, Dwight Macdonald e la sua seconda moglie Gloria Lanier; seduti: Nicola Chiaromonte, Mary McCarthy e Robert Lowell, 1966
Non potevamo ignorare un avvenimento che aspettavamo da anni e a cui amici come Gino Bianco e Wojciech Karpinski, e ovviamente Miriam Rosenthal Chiaromonte, avevano dedicato l’impegno di una vita: quello di far conoscere in Italia l’opera e la vita di un intellettuale militante come Nicola Chiaromonte, famoso in Polonia e negli Stati Uniti e pressoché sconosciuto in Italia. Il motivo lo conosciamo: in Italia era proibito essere antitotalitari e di sinistra contemporaneamente. L’uscita del Meridiano Mondadori con una raccolta dì saggi sancisce la fine di un boicottaggio vergognoso. Siamo orgogliosi di avere dato una mano a Gino Bianco a Wojciech Karpinski e a Miriam Chiaromonte in questa dedizione, i cui frutti, purtroppo, nessuno di loro ha potuto raccogliere. Nell’inserto ripubblichiamo l’intervento “Una conversazione che non è mai finita”, che Karpinski tenne al convegno dedicato a Chiaromonte organizzato da “Una città” nel lontano 2002. Ricordiamo i partecipanti, da Enzo Golino, che purtroppo non c’è più, a Irena Grudzińska Gross che in fuga dalla Polonia trovò, come tanti altri polacchi, rifugio in via Ofanto; a Ugo Berti, il primo a pubblicare per il Mulino testi di Chiaromonte; a Pietro Adamo, Gregory Sumner, Marino Sinibaldi. Ricordiamo la soddisfazione di Gino Bianco per il fatto che, con quel convegno, avevamo scongiurato un tentativo della destra di “impossessarsi” di Chiaromonte. Pubblichiamo inoltre gli “appunti sull’antitotalitarismo italiano” di Massimo Teodori.
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Scelgo l'Occidente
"Nel corso dell’ultima guerra non ho scelto, dapprima perché ero un socialista rivoluzionario trotzkista, in seguito perché mi stavo trasformando, in particolar modo dopo la bomba atomica, in un pacifista. Ma ora nessuna di quelle due posizioni mi appare valida"
Per il "reprint" del n. 283, un testo di Dwight Macdonald.
Marca, terra di confine
"Volevo parlare dell’Ucraina. Per molti l’Ucraina -trentacinque milioni di uomini- non esiste neanche!"
Per il "reprint", una lettera di Andrea Caffi a Prezzolini presumibilmente nel 1915.
Appunti sulla politica antitotalitaria in Italia
di Massimo Teodori
Una storia, quella dell’antitotalitarismo italiano, oscurata dall’egemonia culturale del Partito comunista che riuscì ad accomunare l’anticomunismo di tanti antifascisti al fascismo; il discorso di Salvemini al Congresso internazionale per la difesa della cultura dominato dai filocomunisti; il problema del Fronte popolare e il ruolo di De Gasperi, nel volere l’alleanza con i laici; il manifesto di Croce. Di Massimo Teodori. (Prima parte, anni Cinquanta e Sessanta).
Muska carissima... - Nicola Chiaromonte
Una conversazione che non è finita - Wojciech Karpinski
Una conversazione che non è finita - Wojciech Karpinski
dalle edizioni "una città"
Libertà e malinconia
parole e musica di Paola Sabbatani - arrangiamenti di Daniele Santimone
libretto + cd. Edizioni Una città, 2021 - 32 pagine
Aspettative e sogni delusi, perché qualcosa, nell’idea, non ha funzionato, eppure il sentire, che resta, di non potersi chiamare fuori. Vite che a volte si incatenano male, senza lasciare vie d’uscita, ma anche la seconda possibilità che c’è e un fidanzato che non scappa quando il peggio arriva.
La ribellione da giovani, i padri ritrovati e il “fare insieme” che dà senso e forza, ma pure stanchezza e desiderio di un “recinto” di pace. Amori impossibili, per età, per sesso e circostanze, tenuti segreti a nascondere la propria vulnerabilità. La lotta contro la sfortuna, così necessaria e spesso anche vittoriosa, ma comunque impari, che lascia nel cuore un fondo di malinconia

Paola Sabbatani, voce
Roberto Bartoli, contrabbasso
Tiziano Negrello, contrabbasso e percussioni
Daniele Santimone, chitarra sette corde e voce
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