“Se dovessi scegliere l’istantanea più memorabile non avrei dubbi: il culmine del divertimento lo abbiamo raggiunto travestiti da Zorro al carnevale di Oristano”.
Giulio Giorello, nato nel 1945 e mancato nel giugno del 2020, era, senza retoriche forzature, uomo “dal multiforme ingegno”, capace di cimentarsi con il pensiero filosofico di Topolino (vede e ode cose che gli altri non colgono, in questo modo rende suo il mondo e si fa ribelle anticonformista) oppure di Tex Willer (implacabile razionalista, filosofo cui non mancano il buon uso della ragione, un filosofo con la colt), ma anche di girovagare tra Kant e la sua Critica della ragion pura e il confronto con la critica della ragion Papera. Per dare sostanza a una creatività che aveva radici in una fantasia originale, che non accettava dogmatismi né scientifici, né tanto meno religiosi, almeno che non fossero presupposti di un cercare costante e nella serietà degli assunti, capace anche di travalicare il muro di una generosa intelligenza.
Con un cappello a larghe tese nel 2004 partecipò in Sardegna al secondo congresso mondiale per celebrare la figura di Zorro al canto di un inno stupendamente innocente, ma veritiero: “Il mondo è pieno di cialtroni/di lestofanti e mascalzoni /vermi con pessime intenzioni/senti ecco gli zoccoli tremendi/stanno arrivando son stupendi /arriva Zorro a tutto spiano/Zorro arriva Zorro da lontano/Zorro l’apocalisse del marrano/Zorro arriva Zorro da Oristano”.
Gli piaceva identificarsi col difensore dei deboli, per combattere ingiustizie e sopraffazioni, forse non era abile spadaccino come Tyron Power o Alain Delon, ma la penna e i suoi acuminati pensieri hanno lasciato sulle pagine dei suoi scritti il marchio di una severità profonda e semplice, irriverente verso qualunque tipo di autoritarismo.
Gli piaceva ricordare che suo padre era stato socialista e, invitato a impegni culturali promossi dal Psi, uomo di generosità rara, non diceva mai di no.
Erede di Ludovico Geymonat nella cattedra milanese di filosofia della scienza, si era cimentato giovanissimo sull’approfondimento della annosa questione dei fondamenti delle scienze fisiche e matematiche, per stabilire la congruità tra il metodo delle scienze fisiche e matematiche e un dato contenuto (ossia il mondo della natura, organico e inorganico da cui la denominazione per molti aspetti discutibile, di “scienze naturali” in contrapposizione a “scienze umane”) e quindi la relazione che corre tra quelle scienze e il campo delle scienze storiche. Da definire anch’esse per il metodo e il contenuto ossia come “scienze umane”? O da intendersi più correttamente come comprensive della storia naturale?
Il discorso pareva naufragare di fronte al funzionamento della dialettica marxista sulla sua applicabilità o sui limiti della sua applicabilità. Ovviamente per portare a valutare il marxismo come scienza della storia, per studiare il problema senza residui dogmatici, soprattutto nella cultura italiana egemonizzata dal pensiero di Gramsci non ancora instradato sul possibile incontro tra marxismo e metodologia delle scienze sperimentali ed esatte. Tanto che Giorello spiega che anche in Lenin, nell’opera Materialismo ed empiriocriticismo, non si può evitare il confronto tra il materialismo dialettico e la fisica. Anche Lenin sa che una separazione del materialismo storico dalla fisica, e più in generale dalle scienze della natura,  sarebbe fatale per il marxismo. Ma Lenin nella sua cornice ideologica preferirà puntare il dito contro la crisi della fisica moderna, in un contesto che sembrava voler ignorare lo sviluppo della ricerca e il progresso della conoscenza. Perché Lenin analizzava una dimensione sociale nella quale i cascami del positivismo sembravano dover paralizzare la fissità del pensiero marxista, fossilizzato sulle false certezze di una dialettica (evoluzione storica delle profezie utopistiche) mai realizzatasi nelle vicende politiche degli ultimi due secoli. E che faranno dire che, insieme all’impoverimento del materialismo storico, Lenin aveva cercato anche di contrastare le buone riflessione di Engels intorno alla scienza impoverendone la visione delle teorie scientifiche. Così come avrebbe spiegato C. P. Snow nel suo volume Le due culture e la ricerca scientifica,  nel quale sosteneva che la scarsa comunicazione tra scienze e mondo umanistico era un male che portava alla mancata soluzione dei problemi del mondo.
Giulio Giorello, uomo del suo tempo, non accattav ...[continua]

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