Una Città n° 297 / 2023
novembre
Vorrei dire intanto che l’uso della prepotenza è contagioso. Intendiamoci: che la forza sia uno degli strumenti di risoluzione dei problemi è evidente. Però, che la forza diventi lo strumento essenziale per la risoluzione dei problemi è drammatico e l’affermarsi di una tale idea e di una tale pratica può facilmente contagiare tutti.
Vittorio Foa, “Una città”, n. 139, 2006
novembre 2023
I nostri soldati, i loro civili
La grande questione dei civili in guerra
intervista a Michael Walzer
Pogrom, legittima difesa e resistenza popolare
di Rimmon Lavi
L’esito più probabile di questa catastrofe
di Stefano Levi Della Torre
Quel frutto avvelenato
di Alberto Cavaglion
Una tomba per due
di Stephen E. Bronner
Israele: civili e combattenti
Reprint dalla “New York Review of Books”
di Avishai Margalit e Michael Walzer
Codice e libertà
Sull’intelligenza artificiale e il software libero
intervista a Stefano Maffulli
Nelle centrali
In ricordo di Giulia Cecchettin
La parola “educatore”
Carcere, educazione e il “dopo”
intervista a Giancarlo Parissi
Se perdiamo questi anni
Sulla nostra difficile situazione demografica
intervista ad Alessandro Rosina
La generazione dell’anno zero
Il ’68, i Verdi, l’Europa. Un ricordo di Alexander Langer e Clemente Manenti
di Michele Battini
Max Horkheimer e i Francofortesi
di Alfonso Berardinelli
Budapest ’56
di Matteo Lo Presti
L’inverno di Moyses
di Belona Greenwood
Riconoscimento di un femminicidio di massa
Un appello dalla Francia
La visita è alla tomba di Simone Weil
La copertina è dedicata ai profughi di Gaza. Negli interventi che pubblichiamo si parla molto dei civili, e di quanto la loro tutela o, più realisticamente, la massima riduzione del danno nei loro confronti, possa, e debba, condizionare il soldato combattente. Ma ancor prima ci si può chiedere se il civile non possa essere mai ritenuto corresponsabile. è inerme, certo, ma è anche sempre innocente? Esiste la responsabilità collettiva? E in quali casi? Fu giusto punire il popolo tedesco? Ma nel caso di Gaza, se per decenni si è permesso ad Hamas di garantire la sopravvivenza dei suoi abitanti, un qualche loro consenso a “governanti” di fatto imposti, può giustificare una punizione? E comunque ci sono i bambini. Quindi qual è in questo caso un accettabile danno collaterale dell’inevitabile risposta a un attacco proditorio ed efferato? Per di più qui si combatte un nemico che non solo ha compiuto una strage premeditata e feroce di civili israeliani, ma dei propri si fa sistematicamente scudo dimostrando un assoluto disprezzo per le loro vite.
Stiamo parlando dunque del problema della forza e del suo uso. è chiaro a tutti quanta importanza abbia per Israele la forza. Ma come ci dice Vittorio Foa, l’uso della forza senza politica, è foriero di disastri (ricordiamoci dell’Iraq). Quali sono gli obiettivi politici di Hamas e di Israele? E se quello di Hamas, finanche nella scelta sicuramente premeditata delle atroci modalità dell’attacco del 7 ottobre, fosse proprio quello di provocare una reazione feroce di Israele contro i palestinesi di Gaza? Quel che sta succedendo è che, man mano che i morti palestinesi aumentano, l’isolamento di Israele cresce, la stipula di patti “storici” con paesi ex-nemici si allontana chissà per quanto, i paesi amici tentennano, quelli arabi e musulmani fremono, nel mondo l’antisemitismo risale alla luce. Un costo simile forse non sarebbe giustificato neanche se tutta Hamas venisse spazzata via, la qual cosa, fra l’altro, è del tutto improbabile. Finora non s’è visto a terra neanche uno degli uomini neri. E comunque, se questa era la strategia di Hamas, criminale anche verso il proprio popolo, possibile che il governo israeliano non l’abbia valutata? Non c’erano altre possibilità? Rimmon Lavi ne propone una, Walzer cita le centinaia di chilometri di gallerie che per forza, dovendo essere aerate, sono individuabili e, immaginiamo, vulnerabili. E perché non uccidere subito i capi che vivono tranquilli in Qatar? Viene da chiedersi quale sia l’obiettivo della destra israeliana. Se è la Grande Israele, e forse lo è da tempo anche se mai dichiarato, diventa preferibile che a rappresentare i palestinesi, condannati a quel punto a una condizione perenne di inferiorità e di apartheid o all’esodo, resti solo un’organizzazione estremista e refrattaria a qualsiasi dialogo e compromesso. Ma c’è qualcuno che può ragionevolmente pensare che in questo tempo illimitato di ingiustizia Israele potrà vivere in pace e fuori pericolo?
Se “a decidere” resteranno Hamas e la destra israeliana, allora non resta che augurarsi, appena i soldati lasceranno il campo, che vi scendano “i civili”. Che scoppino cioè delle “guerre civili”, nonviolente se possibile, sia in Israele che fra i palestinesi. Del resto è nel mondo che soffiano venti di guerre civili, dall’Iran agli Stati Uniti. E non è questo che potrebbe succedere ovunque le destre fondamentaliste, maschiliste e omofobe volessero metter mano alle costituzioni liberali?
Dedichiamo le pagine centrali a Giulia Cecchettin, la cui morte ha toccato il cuore di tutti. Il tema della violenza maschile è al centro del dibattito e anche qui si tratta di forza, di potere, di prepotenza e violenza. Forza e potere sono cose anche buone, si vuol essere “forti e liberi”, si vuol “poter fare”, poter risolvere, aiutare, salvare, ma forza e potere portano la tentazione della prepotenza. Come tenerla a bada soprattutto nei maschi che dalla loro hanno più forza fisica? Con l’insegnamento dell’amore? Mah. Di sicuro con l’insegnamento dell’onore e del suo codice. Ne riparleremo.
Pubblichiamo poi il ricordo, scritto da Michele Battini, di due grandi uomini, Alexander Langer e Clemente Manenti, amici fra loro e anche della nostra rivista della quale furono collaboratori. In gioventù furono entrambi dirigenti di Lotta Continua. Il saggio si conclude con una suggestiva immagine di Clemente su quella che fu un’esperienza che coinvolse in modo travolgente migliaia e migliaia di giovani: “Un delirio anarchico”. E però ci sembra giusto dire che altri, fra cui chi scrive, pensano che sia stato piuttosto un “delirio leninista”, con tutte le conseguenze, per restare in tema, legate al problema della forza, della forzatura, della violenza, dell’odio per i sindacati e per la democrazia. Questo non contraddice che come esperienza umana sia stata straordinaria. Come ci dice Simone Weil, nella orribile guerra si possono ritrovare i sentimenti più puri. E poco cambia se “la guerra”, in quel caso, fu frutto di un delirio. Ma casomai ne discuteremo. A un giovane “impegnato” di oggi la discussione potrebbe interessare.
Infine Alessandro Rosina ci parla di una potenziale catastrofe demografica, Giancarlo Parissi della situazione delle nostre carceri, Stefano Maffulli dell’intelligenza artificiale, poi Alfonso Berardinelli dei Francofortesi, Matteo Lo Presti del ’56, anno fatidico per la sinistra, Belona Greenwood del vivere e morire in Inghilterra. La “visita” è alla tomba di Simone Weil.