Una Città299 / 2024
febbraio


Il dominio sui territori occupati avrebbe ripercussioni sociali [...]. Uno Stato che governa una popolazione ostile di 1,5-2 milioni di persone è destinato a diventare uno Stato di polizia segreta, con tutto ciò che ne consegue per l’istruzione, la libertà di parola e le istituzioni democratiche. La corruzione caratteristica di ogni regime coloniale prevarrebbe anche nello Stato di Israele. L’amministrazione dovrebbe sopprimere l’insurrezione araba da un lato e procurarsi quisling arabi dall’altra. C’è anche una buona ragione per temere che la Forza di Difesa di Israele, che finora è stata un esercito di popolo, trasformandosi in un esercito di occupazione, degeneri... Per amore del popolo ebraico e del suo Stato non abbiamo altra scelta che ritirarci dai territori [...].
Non ogni “ritorno a Sion” è un traguardo religioso significativo... esiste un tipo di ritorno che può essere descritto con le parole del profeta: “Quando sei tornato, hai contaminato la mia terra e hai reso la mia eredità un abominio” (Geremia 2:7).
Yeshayahu Leibowitz, “The Territories” (1968)
febbraio 2024

In copertina
foto di Nikolay Vinokurov

Parents Circle
Un’associazione di israeliani e palestinesi
che hanno subito un lutto per mano dell’altra parte.
-Arab e Yigal
 Un israeliano e un palestinese diventati amici
 di Arab Aramin e Yigal Elhanan
-Quel film in carcere
 Un palestinese, dopo aver perso la figlia...
 intervista a Bassam Aramin
-Quando mio figlio...
 Un’israeliana, dopo aver perso il figlio...
 intervista a Robi Damelin

Dopo il 7 ottobre
Quattro ebree italiane raccontano
interviste a Franca Coen, Luisa Basevi, Pupa Garribba, Lia Tagliacozzo

La democrazia, di nuovo
Sulla ri-democratizzazione della Polonia
intervista ad Adam Michnik

Un regime ancora stalinista
Un’associazione bielorussa per assistere gli oppositori
intervista a Olga Karatch

Non mi ero ancora svegliato dal sogno della rivoluzione, ma...
La seconda puntata della storia di un Weatherman
di Michael Kazin

Montale moderno e antimoderno
di Alfonso Berardinelli

Il carteggio di Gobetti prima e dopo il delitto Matteotti
di Cesare Pianciola

Il caso Pfas (Antropocene e/o Capitalocene)
di Massimo Tirelli

Borgese esule
di Matteo Lo Presti

“Occidenti e modernità”
Recensione al libro di Andrea Graziosi
di Michele Battini

Quando? Il caso della Lettonia (1988-1993)
di Raffaele Barbiero

Fare la fila
di Belona Greenwood

Il reprint
“Unità federale”, un articolo di Napoleone Colajanni del 1902

La lettera dal passato
è di Alcide De Gasperi

La visita è alla tomba di Carla Lonzi
La copertina è dedicata ad Aleksei Navalny e alle cittadine e cittadini russi che hanno manifestato il loro lutto sfidando il carcere. Navalny era condannato ma non si può escludere che Putin abbia deciso dopo il blocco degli aiuti militari al Senato americano, dopo le parole di Trump e dopo i sondaggi che registrano “la stanchezza” degli europei. Già, forse aveva ragione Putin fin dall’inizio e, comunque, gliela stiamo dando: siamo stanchi, invecchiati, indeboliti, viviamo nel benessere e siamo terrorizzati dai sacrifici, consideriamo la democrazia un di più, un lusso di cui godiamo e che non è da tutti, stiamo di fronte alla tv da tifosi incattiviti, ognuno nel suo eterno “presente etnografico” ideologico. Se non fosse del tutto assurdo verrebbe da pensare che, sotto sotto, invidiamo e quindi detestiamo gli ucraini perché stanno scrivendo la storia del loro paese e, forse, del mondo. Un pensiero particolare lo rivolgiamo all’indomita madre di Navalny che non solo non si è fatta intimidire ma è riuscita a umiliare il dittatore accusandolo di usare la religione per i suoi vili fini. Ecco, di loro sì, delle madri dei soldati usati come carne da macello, Putin ha paura. Vengono alla mente quelle donne vestite di nero, nella neve, madri e mogli dei ribelli decabristi deportati in Siberia, trasferitesi là per star vicino ai loro cari, che andavano alle stazioni per confortare i prigionieri durante le fermate dei treni diretti ai gulag. Davano a ognuno di loro anche un Vangelo. Dostoevskij lo vorrà fra le mani sul letto di morte. La Russia dà il peggio e il meglio.

Dedichiamo diverse pagine al Parents Circle, un’associazione “miracolosa” di israeliani e palestinesi, colpiti da un lutto per mano degli altri, che lavorano insieme per promuovere la concordia tra i due popoli. Ascoltare i tragitti compiuti a fatica, dall’odio all’amicizia, è commovente. Di quel che succede abbiamo già detto e tutto sembra confermarlo: destra israeliana e Hamas hanno lo stesso obiettivo: impedire ogni possibile ripresa del progetto “due stati” e per far questo il numero dei morti palestinesi è decisivo. Il cinismo di entrambe le parti è impressionante. Ma c’è una differenza: i fanatici musulmani che sognano la Umma hanno tempo e, nel frattempo, vanno in paradiso: ma gli israeliani? Hanno tempo? Qual è la prospettiva se i palestinesi, come hanno dimostrato, non se ne vanno? Tenerli sottomessi per generazioni sul modello sudafricano? Ma non sanno che i “sottouomini” alla fine, dopo tante sofferenze, possono farcela? E a quel punto? E tutto per la Cisgiordania dove “hanno camminato i patriarchi”? Non resta che sperare che, da entrambe le parti, dal peggio nasca il meglio.

Pubblichiamo un’intervista a Olga Karatch, militante bielorussa antimilitarista, perseguitata e incarcerata per il suo impegno nella lotta a un altro degli infami dittatori. Olga ha ricevuto il premio Alexander Langer e indubbiamente lo merita, ma altrettanto, e insieme a lei, lo meritava l’associazione ucraina guidata da Tetiana Pechonchyk, che invece ha ricevuto solo una menzione. L’intervista a Tetiana l’abbiamo pubblicata sul numero scorso di “una città”. In altri tempi la Langer premiò Natasa Kandic, serba, e Vjosa Dobruna, kosovara, entrambe favorevoli all’intervento militare per salvare i kosovari. Inevitabile pensare che la patriota ucraina, impegnata a fianco dei combattenti, secondo gli attuali dirigenti non-violenti della Fondazione non fosse atta a ricevere ex-aequo il premio intitolato ad Alex. Allora non possiamo non ricordare qual è stato il testamento di Alex: “Continuate in quel che è giusto” e vi chiediamo: cosa pensate sia “il giusto” per il popolo ucraino?

Poi quattro ebree italiane, Franca Coen, Luisa Basevi, Pupa Garribba e Lia Tagliacozzo, intervistate da Paola Cavallari, ci raccontano di come stanno vivendo questo periodo terribile. Poi Adam Michnick ci parla dell’attuale situazione della Polonia che sta affrontando una “ridemocratizzazione”, dopo la lunga fase di “democrazia illiberale”. Infine gli interventi e le lettere: Alfonso Berardinelli ci parla di Eugenio Montale, Matteo Lo Presti di Giuseppe Antonio Borgese, Cesare Pianciola del carteggio di Piero Gobetti prima e dopo il delitto Matteotti, Massimo Tirelli della ormai verificata cancerosità dei Pfas, Michele Battini recensisce il libro di Andrea Graziosi Occidenti e modernità, Raffaele Barbiero ci racconta come in Lettonia funzionò la nonviolenza e infine Belona Greenwood ci parla di come in Inghilterra sia inevitabile far la fila.

Per il “reprint” pubblichiamo “Unione federale” di Napoleone Colajanni (1903): per lui solo il federalismo poteva curare un centro malato; la “lettera dal passato” è quella amara di De Gasperi all’amico Lombardo, socialdemocratico, all’indomani della crisi del suo governo. La “visita” è alla tomba di Carla Lonzi, antesignana del femminismo italiano.