Una Città249 / 2018
Maggio


"Permettetemi di iniziare distinguendo l’internazionalismo dal cosmopolitismo. L’internazionalismo assume l’esistenza di nazioni e lavora per creare alleanze e solidarietà attraverso i confini nazionali. Il cosmopolitismo mira ad abolire quei confini. La libera circolazione di capitali, merci e lavoro è un esempio di cosmopolitismo, ma non di internazionalismo.... La solidarietà con i compagni all’estero è la più antica definizione di internazionalismo di sinistra. Cerchiamo persone che lottano per l’uguaglianza, la democrazia e la libertà ovunque nel mondo, e ci uniamo alla loro lotta... Dove ci sono tiranni, sosteniamo i dissidenti. Sosteniamo i lavoratori che lottano per organizzare sindacati indipendenti; sosteniamo gli scrittori i cui libri non possono essere pubblicati nei loro paesi; sosteniamo le femministe che difendono l’eguaglianza di genere contro i regimi patriarcali; sosteniamo eretici e liberi pensatori minacciati da un fanatismo dominante…”
Michael Walzer, "The Nation”, febbraio 2017
Maggio 2018

I salvatori di Brooklyn Est
Sul "community organizing”
Intervista a Michael Gecan

La democrazia dei poveri
Alle orgini della crisi della democrazia
Intervista a Andreas Kalyvas

L’adattamento
Sulle malattie neurodegenerative
Intervista a Rabih Chattat

I cibi blu
Sull’alimentazione e i suoi miti
Intervista a Marcello Ticca

I na passa, passerà
L’esperienza dei Corpi di pace in Guinea Bissau
Intervista a Lucia Soldà

Nelle centrali: Pechino, 1989
Foto e testo di Ilaria Maria Sala

A tutto il mondo libero
Sul 68 in Polonia, Yugoslavia e Cecoslovacchia
Intervista a Guido Crainz

La buona osservazione
Una lezione-conversazione di Andrea Ginzburg
attorno al pensiero di A. Hirschman

Novecento poetico italiano 28 / Amelia Rosselli
Di Alfonso Berardinelli

A proprosito di treni, viaggiatori e città
Di Francesco Ciafaloni

Storia di distacco transnazionale
Di Massimo Tirelli

Israele, Hamas e i palestinesi di Gaza
Di Giorgio Gomel

La "bestia” verso il muro
Di Massimo Livi Bacci

Moschee aperte
Di Emanuele Maspoli

Perdere le parole
Di Belona Greenwood

Appunti del mese

Un mese e mezzo con Giaime Pintor
Di Aldo Garosci

La visita - Alexander Dubcek

La copertina, così come le pagine centrali, sono dedicate al ricordo di Tiananmen, la grande lotta pacifica degli studenti di Pechino "che sognavano il cambiamento” e che il regime comunista, nel momento in cui gli studenti cominciavano a trovare sempre più consenso fra gli altri strati della popolazione, decise di reprimere nel sangue. C’è chi sostiene che di fronte a quella repressione sanguinosa i russi e i governanti dell’Europa orientale scelsero un’altra strada, quella di "aprire”. Consola pensare che il sacrificio di quei giovani coraggiosi, che non riuscirono a cambiare il loro paese, abbiano contribuito, in realtà, a cambiare il mondo. La nostra collaboratrice Ilaria Maria Sala era lì, e ci racconta e ci mostra le foto di quei giorni del 1989.

Riuscire a declinare in positivo la rabbia e la voglia di "far qualcosa” delle persone, creando coalizioni civiche attorno a interessi condivisi, dando potere ai cittadini con il rafforzamento delle relazioni tra le persone, al di là delle "tribù”, intrattenendo un rapporto controverso, ma ineliminabile, con le istituzioni, ma nel rifiuto di ogni finanziamento pubblico all’organizzazione: questo il proposito di base del community organizing, il movimento fondato da Saul Alinsky nel ‘40, un rivoluzionario più importante di Lenin a detta di Maritain, di cui ci parla Michael Gecan. Ne consigliamo la lettura a tutti coloro che pensano che la politica sia una professione e che si faccia innanzitutto e soprattutto a Roma.

Continuiamo a scandagliare il dibattito che c’è in giro sulla democrazia. Questa volta proponiamo un punto di vista un poco spiazzante, almeno rispetto al luogo comune che la democrazia esiga un "certo agio” per esplicarsi: Andreas Kalyvas sostiene che sono i poveri organizzati l’anima della democrazia, che proprio nell’abbandono del legame con i poveri, la democrazia degenera in oligarcha, ma anche perde la sua originaria natura partigiana, de-politicizzandosi. Kalyvas ci invita a non cadere nell’errore prospettico di dare per scontato che i poveri vogliano diventare ricchi, quando ciò a cui ambiscono, attraverso la costruzione di istituzioni fondate sulla delega e non sulla rappresentanza, è diventare liberi.

A proposito di 68: come mai i giovani occidentali che diedero vita a un grandioso movimento di protesta antiautoritaria, contro la guerra del Vietnam, contro i regimi sudamericani e contro Franco, contro lo sfruttamento capitalista, che trovarono in Che Guevara il loro eroe, non compresero le lotte che contemporaneamente i giovani dell’Est europeo portavano avanti contro i regimi comunisti? Ne parliamo con Guido Crainz.

Massimo Tirelli ci racconta la storia del signor Dario, dipendente a tempo indeterminato di una fattoria veneta, che un giorno si è visto arrivare una dozzina di operai polacchi, assunti dalla nuova proprietà polacca e che all’improvviso si è trovato, leggi alla mano, con lo stipendio italiano e la pensione polacca. Un esempio di come l’Europa così non possa andare.

"Per introdurre alla presenza o meglio all’irruzione di Amelia Rosselli nella poesia italiana della seconda metà del Novecento, forse il modo migliore, o almeno il più efficace e immediato, è partire dai suoi testi. Ricordo che quando a vent’anni, nel 1963, lessi per la prima volta le sue poesie pubblicate sul ‘Menabò’, la rivista di Vittorini e Calvino, la mia impressione (come, credo, di altri lettori) fu che quelle poesie erano un oggetto testuale e letterario misterioso, sorprendente, alieno, quasi del tutto inconcepibile in precedenza, nonostante che già da un secolo il linguaggio poetico si fosse inoltrato nella terra di nessuno delle sperimentazioni e innovazioni più sfrenate”. Continua il viaggio di Alfonso Berardinelli nel Novecento poetico italiano.