Lettere, rubriche
e interventi


Alfonso Berardinelli
Paolo Bergamaschi
Stephen Eric Bronner
Francesco Ciafaloni
Michele Colafato
Vicky Franzinetti
Vittorio Gaeta
Bruno Giorgini
Wlodek Goldkorn
Giorgio Gomel
Belona Greenwood
Ilaria Maria Sala
Emanuele Maspoli
Gianni Saporetti
Lucetta Scaraffia
Marianella Sclavi
Massimo Tirelli
Michael Walzer

Libertà e malinconia

parole e musica Paola Sabbatani arrangiamenti Daniele Santimone
libretto + cd. Edizioni Una città, 2021 - 32 pagine

PER ACQUISTARE

I Libri di Una Città
Cosa intendi dire? Libri
Chiara Frugoni

Cosa intendi dire?

Intervista a Chiara Frugoni, 1994-2015

Ed. una città, 2023
135 pagine


12,00

Interviste a Chiara Frugoni
a cura di Gianni Saporetti
con prefazione di Gianni Sofri (con Federica Rossi)
 

I Libri di Una Città
L'epopea degli scarriolanti Opuscoli
Flavio Casetti, Gianni Sapretti, Lorenzo Cottignoli

L'epopea degli scarriolanti

Intervista a Lorenzo Cottignoli

Ed. Una città, 2022
56 pagine


5,00

"L'epopea degli scarriolanti", intervista a Lorenzo Cottignoli a cura di Flavio Casetti e Gianni Saporetti, pubblicata in due puntate su Una città n. 246 (febbraio 2018) e n. 247 (marzo 2018)

prefazione di Roberto Balzani

I Libri di Una Città
In difesa della cultura Opuscoli
Gaetano Salvemini, Nicola Chiaromonte

In difesa della cultura

Scritti in occasione del Congresso internazionale degli scrittori per la difesa della cultura

Ed. Una città, 2022
66 pagine


5,00

scritti di Gaetano Salvemini e Nicola Chiaromonte

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L'ultimo numero

Mensile di interviste e foto

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marzo 2023

L’appunto di Angelica Balabanoff
dall’Almanacco socialista del 1931

Addio Irfanka
Due lettere di Irfanka Pasagic
I ricordi dei suoi amici

La tragedia cinese di Xi Jinping
Che fare con la Cina?
intervista a Orville Schell

Orario di lavoro, pandemia e digitalizzazione
La leva dell’orario
Intervista a Luigi Campagna e Luciano Pero

L’aggettivo “liberale”
Socialismo e nazionalismo: entrambi liberali
Intervista a Michael Walzer

Effemeridi
dall’Almanacco Socialista del 1931 (nelle centrali)

Alla mia età
A cinquant’anni un sogno che si realizza
intervista a Denise Ghirelli

L’assedio
Diario di un viaggio in Congo
di Angelo Loy

Un’altra tradizione
Le varie anime della cultura “bianca”
Intervista a Giovanni Tassani

One-dimensional man
di Alfonso Berardinelli

Tra caporalato ed emergenze di lavoro in agricoltura
di Massimo Tirelli

Il 25 aprile del 1945
di Matteo Lo Presti

La legge sulle carte d’identità
di Belona Greenwood

Donne e pensioni in Italia: il peso di una scarsa partecipazione al mercato del lavoro
di Giuliano Cazzola

La visita è alla tomba di Tonino
e Arturo Spazzoli

L'appunto di Angelica Balabanoff

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Celebriamo il 25 aprile dedicando la copertina a una delle tantissime famiglie contadine dell’Appennino tosco-emiliano che, rischiando le loro vite e la casa, formarono, con la loro ospitalità, un corridoio umanitario fin dal settembre del ’43 per favorire la fuga e il ritorno in Inghilterra di migliaia di soldati e ufficiali, già prigionieri. Fra loro anche cinque alti ufficiali, due dei quali parteciperanno alla Resistenza. Solo nelle montagne del forlivese furono trecento le famiglie coinvolte. Perché lo fecero? Certo, glielo chiesero e li coordinarono i militanti della rete dell’Uli, fra cui i fratelli Spazzoli, repubblicani, i parroci e i monaci di Camaldoli, ma nessuno li obbligò. A muoverli a tanto forse fu, semplicemente, il dovere di fare il giusto. È stata un’epopea contadina, completamente dimenticata dalla storia della Resistenza (solo ancorata, come sosteneva la compianta storica Anna Bravo, all’immagine del partigiano di trenta-quarant’anni armato). Dobbiamo all’impegno di un compagno socialista che non c’è più, Ennio Bonali, la ricostruzione di questa pagina gloriosa della Resistenza, frutto di una lunga ricerca coronata alla fine dal ritrovamento, in una scatola abbandonata nello sgabuzzino delle scope dell’Istituto della Resistenza di Pesaro, di un rotolo di microfilm con migliaia di schede compilate dagli inglesi in previsione di un risarcimento che puntualmente arrivò a guerra finita. Onore a quei contadini e ad Arturo e Antonio Spazzoli, il primo catturato insieme ai membri della Banda Corbari e con loro ucciso e appeso nella piazza di Forlì, e il secondo, Tonino, ridotto in fin di vita per le torture, fucilato non prima di essere trascinato in piazza, sotto il lampione, a vedere il fratello minore. A loro, medaglia d’argento e medaglia d’oro della Resistenza, dedichiamo la “visita” in penultima. Qui a fianco riproduciamo, dall’Almanacco socialista del 1931, una pagina scritta a mano da Angelica Balabanoff, che allora viveva in Germania, su cui scorre un lungo elenco di antifascisti assassinati dalle squadracce fasciste e si conclude con la scritta “e di innumerevoli altre vittime senza nome”. Nelle pagine centrali, sempre dall’Almanacco del 1931, riprendiamo le “effemeridi” dei primi quattro mesi dell’anno, dove, accanto alla data del giorno compaiono nomi per lo più sconosciuti di antifascisti uccisi, negli anni passati, in posti anche sperduti, mischiati ai nomi dei grandi dirigenti e pensatori del movimento operaio internazionale, così come di grandi artisti e di importanti avvenimenti della storia degli ultimi secoli.
Infine, riguardo alle celebrazioni del 25 aprile: ovviamente c’eravamo, con la bandiera della Fiap, e certamente condividiamo le preoccupazioni di tutti, ma non il desiderio, che traspare a sinistra, che quella parte della destra resti fascista. Dobbiamo sperare e favorire il contrario. In fondo, lo sappiamo bene, cambiare si può e a volte è in bene. A parte questo la cosa più deprimente è constatare che una larga parte della sinistra, che inneggia alla Resistenza di allora contro fascisti e invasori, non manifesta, e non prova, alcuna solidarietà con chi, un intero popolo, oggi e in Europa, resiste eroicamente all’invasione di una potenza fascista. Lasceremo alla destra anche il patriottismo internazionalista?

Ricordiamo un’amica scomparsa precocemente: Irfanka Pasagic, psichiatra di Srebrenica, profuga a Tuzla, che ha dedicato la sua vita alle donne e ai bambini vittime della pulizia etnica. Poi parliamo di Cina, con Orville Schell che ci racconta di quanto sia “assolutista” la svolta di Xi e quanto aggressiva verso l’esterno. Le aziende occidentali dovranno venir via per tempo se non vogliono trovarsi a dover chiudere all’improvviso, quando  fra Cina e Stati Uniti scoppierà la guerra fredda, o peggio. L’idea che i commerci e gli scambi societari e produttivi potessero spingere a qualche apertura in tema di diritti umani era solo un desiderio campato in aria e forse neanche tanto pio. Comunque è successo il contrario e bisogna prenderne atto. Di lavoro e digitalizzazione ci parlano Luciano Pero e Luigi Campagna. Poi, per gentile concessione di “Dissent”, pubblichiamo un’intervista a Michael Walzer sul perché i socialisti dovrebbero andar fieri di definirsi liberali, e su quanto sarebbe importante che l’aggettivo “liberale” fosse associato anche alla parola “nazionalismo”. La storia è quella di Denise Ghirelli, parrucchiera. Infine Giovanni Tassani ci racconta di un’altra tradizione, quella bianca e democristiana, molto plurale e travagliata, ma comunque centrale e decisiva per la tenuta democratica del paese. Poi pubblichiamo un reportage dal Congo, di Angelo Loy. Alfonso Berardinelli ci parla de L’uomo a una dimensione di Marcuse, Massimo Tirelli di caporalato e lavoro in agricoltura, Matteo Lo Presti della resa, nel ’45, del generale tedesco a un operaio genovese, Belona Greenwood della carta d’identità inglese che non c’è, ma che vogliono introdurre e, per Neodemos, Giuliano Cazzola che scrive di pensioni, mercato del lavoro e lavoratrici.

foto di Andrew Malone

L’importanza dell’aggettivo “liberale”, da associare alle parole “socialismo” e “nazio-nalismo”, per evitare le pieghe autoritarie dell’uno e dell’altro; il socialismo liberale implica il pluralismo, anche competitivo, ponendo un limite a chi si ritiene ideologicamente nel giusto; due a uno per Trump fra gli operai di Johnstown, in Pennsylvania, sei a uno per Clinton a Princeton; Stuart Mill e la vittoria di Attlee nel ’45 in Inghilterra. Intervista a Michael Walzer. Leggi di più

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I NUOVI FASCISMI

Partiti unici o dominanti, uso sistematico di coercizione e violenza, controllo totalitario dei cittadini, culto della personalità del capo, controllo statale di un’economia capitalistica e poi odio per i valori liberali incarnati dalle democrazie, oscurantismo religioso, repressione delle minoranze etniche e Lgbt. Cosa ci vuole per definirli regimi fascisti? Pubblichiamo gli interventi sul tema al 900fest di Antonella Salomoni, sulla Russia, di Jean-Philippe Béja, sulla Cina.

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BARAYE

Alcuni minorenni uccisi durante le manifestazioni in Iran (Amnesty International)

Una rivolta scoppiata all’indomani della morte di una giovane donna curda, che dura ormai da diversi mesi e che, a differenza del passato, sta coinvolgendo grandi città e piccoli paesi, ricchi e poveri, giovani e vecchi, di etnia persiana, curda, belucia, turca, turcomanna, guidata dalle donne per i diritti di tutti, che continua malgrado la feroce repressione; Il ruolo dei social e i primi segni di cedimento di un regime corrotto irriformabile. Intervista ad Ahmad Rafat. Leggi di più

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DONNA VITA LIBERTA'

foto di Miki Jourdan

Le massicce proteste in Iran, alimentate dall’audacia di giovani donne e bambini, affondano le radici in oltre un secolo di lotte; la questione del genere, dalla proibizioni del velo ma anche dell’omosessualità da parte dello Scià all’obbligo del velo, ai matrimoni precoci, al divorzio facile per i maschi, introdotti dalla rivoluzione islamica; le feroci guardie della rivoluzione che hanno in mano l’economia. Dal sito di “Dissent”, un saggio di Janet Afary e Kevin Anderson. Leggi di più

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LA QUESTIONE TEDESCA

A fine Ottocento, nel cuore d’Europa un sistema di regni divisi si unifica e nasce una potenza continentale che, per dimensioni economiche e demografiche, sbilancia tutto il continente; la questione tedesca: un paese troppo grande per essere uguale agli altri e troppo piccolo per svolgere un ruolo egemone; il rapporto con il passato, ormai risolto, e una Germania che oggi preoccupa più per la sua debolezza che per la sua forza. Intervista a Angelo Bolaffi.

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Pensieri censurati

Una satira spietata dell’ondata oscurantista, questa volta proveniente da sinistra, contro la letteratura del passato, accusata di razzismo, sessismo, classismo e di quant’altro; un desiderio di censura, questa volta “progressista”, che ricorda tempi andati e da cui non si salva nessuno dei capolavori del passato, neppure Shakespeare. Di Stephen Eric Bronner. Leggi di più

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IL CUORE DELL'EUROPA

Ricordiamoci che gli ucraini nel 2014 scesero in piazza con le bandiere dell’Unione europea; ora lì è in gioco l’avvenire dell’Europa per i prossimi decenni; oltre al sostegno militare, a sanzioni più efficaci, è decisiva l’entrata dell’Ucraina nella Ue; la necessità di una forte difesa europea a fronte del fascismo espansionista russo e quella di liberarsi della mentalità da puri “consumatori”, innanzitutto nei rapporti con la Cina.
Intervista a Raphaël Glucksmann. Leggi di più

La nostra Ucraina

L’invasione russa ha costretto persone pacifiche, gente comune, a rischiare la propria vita. In tanti stanno combattendo perché credono in un’Ucraina che sappia accogliere tutti i suoi cittadini e riconoscere i loro diritti.
Intervento di Michael Walzer. Leggi di più

Una guerra giusta?

Due mesi fa, quando ho scritto “Una lettera da Kiev alla sinistra occiden­tale”[NdR: articolo pubblicato su “Dissent” e uscito anche nel n. 282 di “Una città” con il titolo “Noi vi opporremo resistenza”] speravo che lo shock provocato dall’invasione russa e le voci della sinistra ucraina avrebbero spinto la sinistra occidentale a ripensare al proprio approccio. Sfortunatamente, sono troppi quelli che non ci sono riusciti. Intervento di Taras Bilous.Leggi di più

Fra Putin e la democrazia liberale

Il necessario sostegno, anche militare, della Nato a un’Ucraina che deve difendersi dall’invasione ingiusta e brutale e, insieme, la prudenza nell’evitare una precipitazione possibile in una guerra generale, potenzialmente anche nucleare; le sanzioni da inasprire, ma anche il rischio di conseguenze che potrebbero minare la solidarietà agli ucraini; il problema delle sinistre rispetto alla Nato e il paragone con l’Iraq.
Intervista a Jeff C. Isaac. Leggi di più

l'altra tradizione

Scelgo l'Occidente

"Nel corso dell’ultima guerra non ho scelto, dapprima perché ero un socialista rivoluzionario trotzkista, in seguito perché mi stavo trasformando, in particolar modo dopo la bomba atomica, in un pacifista. Ma ora nessuna di quelle due posizioni mi appare valida"
Per il "reprint" del n. 283, un testo di Dwight Macdonald.

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Marca, terra di confine

"Volevo parlare dell’Ucraina. Per molti l’Ucraina -trentacinque milioni di uomini- non esiste neanche!"
Per il "reprint", una lettera di Andrea Caffi a Prezzolini presumibilmente nel 1915.

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pagine di storia

HOLODOMOR

bambina affamata di Kharkiv

Lo sterminio per fame di milioni di ucraini, voluto da Stalin, per imporre la collettivizzazione della terra; la criminalizzazione dei contadini, a cui fu impedito per legge di tenere per sé anche poche spighe di grano e che, già debilitati, furono oggetto, durante le sistematiche perquisizioni, di violenze e torture; gli atroci effetti della fame. Pubblichiamo alcuni brani tratti da “La grande carestia” di Anne Applebaum (Mondadori, 2019). Leggi di più

la guerra in Ucraina

Ucraina, l'invasione e il futuro

Le bombe cadono su Kharkiv e su Kiev in ciò che è diventato il più grande e sanguinoso conflitto che l’Europa abbia sperimentato sin dalla Seconda guerra mondiale. Sono circa duemila gli ucraini uccisi o feriti, un po’ meno i russi, e presto saranno centinaia di migliaia quelli che diventeranno rifugiati. Il Presidente Vladimir Putin ha circondato l’Ucraina con 190.000 truppe, un primo passo per ricreare la posizione russa di superpotenza e la vecchia sfera di influenza sovietica.
Intervento di Stephen Eric Bronner (1 marzo)

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Bandiere

Cari amici,
vi mando poche righe che ho scritto ieri, anche se dopo questo fine settimana mi direte che colleziono manifestazioni. Sarà per nostalgia.
La terza a cui sono andato con Silvia, ieri, è stata quella degli ucraini di Roma a Piazza della Repubblica, che si è poi trasformata in corteo fino ai Fori.
Lettera di Umberto Cini

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Mi scopro sempre più europeista

Se scoppia una guerra vera, l’Occidente potrà fornire sostegno morale, politico e diplomatico agli ucraini, e ovviamente rifornimenti militari; ma non potrà impegnarsi direttamente militarmente contro una potenza nucleare; l’auspicio che, come avvenne nel 1936 per la Spagna, nasca una brigata internazionale che si unisca all’esercito ucraino... Le rinnovate speranze sull’Europa e la crisi della democrazia americana.
Intervista a Michael Walzer.

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L'Ucraina esiste, eccome...

una lettera di Andrea Caffi a Prezzolini del 1915 (conservata nel fondo Caffi della Biblioteca Gino Bianco-Fondazione Lewin) in cui, per smentire un articolo apparso su "La Voce", fa una precisa disamina dei motivi per cui l’Ucraina è una nazione e gli Ucraini un popolo.
(Andrea Caffi, nato in Russia da genitori italiani immigrati, socialista libertario, volontario nella Prima guerra mondiale, nella sua vita ebbe modo di conoscere le carceri zariste e leniniste in Russia e quelle naziste in Francia. Era un grande studioso di storia bizantina e del mondo slavo).

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MEMORIAL

 

L’infanzia in una famiglia ebraica molto politicizzata, i primi ricordi legati alla morte di Stalin e al ‘disgelo’, la frequentazione con i dissidenti e i codici inventati per non far sapere che si leggevano libri proibiti, la lettura di Arcipelago e la decisione di raccogliere la voce dei sopravvissuti e quindi l’impegno nell’associazione Memorial, fondata da Sacharov, che dopo tanti anni di tenace impegno è oggi a rischio chiusura. Intervista a Irina Lazarevna Scerbakova.
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una nuova iniziativa delle edizioni Una città

Libertà e malinconia

parole e musica di Paola Sabbatani - arrangiamenti di Daniele Santimone
libretto + cd. Edizioni Una città, 2021 - 32 pagine

Aspettative e sogni delusi, perché qualcosa, nell’idea, non ha funzionato, eppure il sentire, che resta, di non potersi chiamare fuori. Vite che a volte si incatenano male, senza lasciare vie d’uscita, ma anche la seconda possibilità che c’è e un fidanzato che non scappa quando il peggio arriva.
La ribellione da giovani, i padri ritrovati e il “fare insieme” che dà senso e forza, ma pure stanchezza e desiderio di un “recinto” di pace. Amori impossibili, per età, per sesso e circostanze, tenuti segreti a nascondere la propria vulnerabilità. La lotta contro la sfortuna, così necessaria e spesso anche vittoriosa, ma comunque impari, che lascia nel cuore un fondo di malinconia

PER ACQUISTARE (10 EURO)

Paola Sabbatani, voce
Roberto Bartoli, contrabbasso
Tiziano Negrello, contrabbasso e percussioni
Daniele Santimone, chitarra sette corde e voce

 

per abbonati

La fame di studio

I dubbi su una scuola sempre più vocata all’accoglienza, all’aiuto per gli alunni in difficoltà, e che per rispondere a tale vocazione, ha smesso di chiedere agli studenti di fare fatica, di offrire loro obiettivi ambiziosi; la convinzione che allargare la platea non comporti affatto l’abbassamento di livello; la proposta di una scuola dell’obbligo fino a 16 anni uguale per tutti e di alto livello dove anche il futuro falegname impari il latino. Intervista a Paola Mastrocola.

archivio

Il supermercato dell'energia

La situazione del Kazakistan, ricchissimo di risorse energetiche e non solo, che, a causa della politica predatoria delle sue classi dirigenti, ha ridotto la popolazione alla fame; l’ambizione di Putin: un’Unione economica euroasiatica, speculare all’Unione europea; l’urgenza per l’Europa di ridisegnare il proprio ruolo prima delle elezioni americane del 24, nel dilemma tra allargamento e integrazione; la crisi, grave, della Bosnia. Intervista a Paolo Bergamaschi.

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foto di Nasa Earth Science/CC

Sono stati Karl Polanyi e Keynes, suo contemporaneo, a sostenere che il mercato capitalistico, senza un intervento lungimirante della politica e dello stato, non è in grado di “tenere insieme” la società; la strada maestra di un liberalismo inclusivo, riformista, da contrapporre sia alla via del “lasciar fare” al mercato, cara a conservatori e privilegiati, così come a qualsiasi idea di rivoluzione; l’illusione di un nuovo Trentennio glorioso. Intervista a Michele Salvati.

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Insegnare
a fare le domande

foto di Guia Biscàro

L’inadeguatezza dell’attuale sistema di formazione degli insegnanti, in particolare delle secondarie, che tradisce l’idea, ancora invalsa, che basti conoscere una materia per saperla insegnare; le figure del tutor e dell’insegnante accogliente, che vanno tuttavia potenziate; il problema della motivazione e del rapporto scuola-università; il rischio, grave, di sprecare l’enorme potenziale delle nuove leve. Una conversazione tra Clotilde Pontecorvo e Anna Lona.

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Veni foras

Immagine tratta da Jacob Ruf: De conceptu et generatione hominis, 1554

Nella scena del parto medievale, affollata di donne, con i mariti fuori a pregare che sia un maschio, centrale è la figura dell’ostetrica; le storie dei miracoli e i testi medici e giuridici, fonti preziosissime; la vicenda del parto cesareo, che viene adottato originariamente per estrarre il bambino dalla madre già morta, per salvare l’anima del neonato o, più spesso, per trasferire l’eredità dalla madre al padre. Intervista ad Alessandra Foscati.

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domande

a Tiziana Dal Pra
n. 277
Luciano Benadusi
e Oreste Giancola
n. 277


Siamo destinati a una sempre maggiore centralizzazione?
E che fare?

Intervista
a Marco Cammelli
n. 275

Recovery fund: l'occasione per un cambiamento radicale della società?
Intervista
a Salvatore Biasco
n. 271

Identità di genere,
un'identità a testa?

Un webinair dal titolo: “Il ddl Zan: cosa c’è in gioco?”
e un'intervista a Francesca Izzo

n. 275

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La quarta rivoluzione

Dopo la copernicana, la darwiniana, la freudiana, internet; perché internet non è un aggiornamento di Gutenberg, ma un vero e proprio nuovo habitat, fondato sulle relazioni, sulla rete e i suoi nodi, dell’esigenza di un progetto comunitario umano basato sul verde e il blu, sull’ambiente e sul digitale e sulle tre “C”: coordinamento, collaborazione, cooperazione.
Intervista a Luciano Floridi.
Leggi di più

Disuguaglianze
e scuola

Nonostante le speranze riposte nell’istruzione pubblica come “great equalizer”, l’evidenza ci dice che la scuola riesce a combattere le disuguaglianze solo in alcuni casi e date alcune condizioni, tra cui sicuramente un’alta spesa pubblica, ma anche un solido curriculum comune; i rischi sottesi ai concetti di merito ed eccellenza e il dibattito sorto sulle competenze e attorno alla domanda: a cosa serve la scuola? Intervista a Luciano Benadusi e Orazio Giancola.

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Cosa ci fa lì l'imam?

Il problema dei matrimoni combinati era evidente da anni, chi si impegna con gli immigrati vedeva sparire all’improvviso le ragazze, ma, soprattutto a sinistra, non si è mai voluto affrontare il problema per evitare l’accusa di islamofobia; il rischio che i diritti delle donne vengano considerati un patrimonio solo occidentale; il dramma di un’adolescente che si rivolge alle autorità italiane e queste chiamano i genitori. Intervista a Tiziana Dal Pra.

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di carcere

Ma poi si incontrano
di nuovo, vero?

intervista ad Amedeo Savoia

Essere un po' rivoluzionari
per fare le cose normali

intervista a Carmelo Cantone

Il sonetto in carcere
intervista ad Edoardo Albinati

Il cesto marcio
Intervista a Michele Passione

La pena della lettura
Intervista a Stefania Amato

(foto di Alessio Duranti)

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Israele
e i territori

La questione demografica
Intervista a Davide Lerner

Ma noi già ci parliamo!
Intervista a
Manuela M. Consonni

Interventi

Eccezione

Le origini del discorso sulla arretratezza dell’Est risalgono a una certa retorica comunista, italiana, non ufficiale, ma presente nelle discussioni, conversazioni, nella propaganda insomma. Il Pci, notoriamente, in Italia difendeva la democrazia, il rispetto delle regole del gioco, non elogiava la dittatura del proletariato e simili. Era insomma un partito di sinistra, per il quale l’unica via verso il potere non poteva essere altra che quella parlamentare. Ma allora, come si conciliava il rispetto delle “regole borghesi”, oggi diremmo liberali, con una certa simpatia nei confronti dei regimi dei paesi dell’Europa centrale?

intervento di Wlodek Goldkorn

Il piccolo principe

C’è stato un cambiamento negli ultimi anni: si è passati da oppressi/e, subordinati/e e sfruttati/e a vittime. Nel mondo ci sono delle vere vittime, ma l’essere vittima non dà diritti in quanto tale, anzi è il risultato di averli persi. Mi diceva un mio conoscente che lavora per un’associazione di rifugiati (essendolo stato anche lui) che quando è arrivato lui molti anni fa i richiedenti parlavano delle loro lotte, adesso cercano solo di dire quanto sono vittime. L’occidente compra vittime altrui ed anime di ribelli? L’idea dell’oppressione era legata al cambiamento della relazione e del problema, l’oggetto dell’oppressione.

intervento di Vicky Franzinetti

In questa foto, in piedi da sinistra: Heinrich Blucher, Hannah Arendt, Dwight Macdonald e la sua seconda moglie Gloria Lanier; seduti: Nicola Chiaromonte, Mary McCarthy e Robert Lowell, 1966

Non potevamo ignorare un avvenimento che aspettavamo da anni e a cui amici come Gino Bianco e Wojciech Karpinski, e ovviamente Miriam Rosenthal Chiaromonte, avevano dedicato l’impegno di una vita: quello di far conoscere in Italia l’opera e la vita di un intellettuale militante come Nicola Chiaromonte, famoso in Polonia e negli Stati Uniti e pressoché sconosciuto in Italia. Il motivo lo conosciamo: in Italia era proibito essere antitotalitari e di sinistra contemporaneamente. L’uscita del Meridiano Mondadori con una raccolta dì saggi sancisce la fine di un boicottaggio vergognoso. Siamo orgogliosi di avere dato una mano a Gino Bianco a Wojciech Karpinski e a Miriam Chiaromonte in questa dedizione, i cui frutti, purtroppo, nessuno di loro ha potuto raccogliere. Nell’inserto ripubblichiamo l’intervento “Una conversazione che non è mai finita”, che Karpinski tenne al convegno dedicato a Chiaromonte organizzato da “Una città” nel lontano 2002. Ricordiamo i partecipanti, da Enzo Golino, che purtroppo non c’è più, a Irena Grudzińska Gross che in fuga dalla Polonia trovò, come tanti altri polacchi, rifugio in via Ofanto; a Ugo Berti, il primo a pubblicare per il Mulino testi di Chiaromonte; a Pietro Adamo, Gregory Sumner, Marino Sinibaldi. Ricordiamo la soddisfazione di Gino Bianco per il fatto che, con quel convegno, avevamo scongiurato un tentativo della destra di “impossessarsi” di Chiaromonte. Pubblichiamo inoltre la seconda puntata degli “appunti sull’antitotalitarismo italiano” di Massimo Teodori.

Appunti sulla politica antitotalitaria in italia - seconda parte - Massimo Teodori

Muska carissima... - Nicola Chiaromonte

Una conversazione che non è finita - Wojciech Karpinski

IN MEMORIA

Jovan Diviak

Lo scorso 8 aprile 2021 è morto a Sarajevo Jovan Diviak, generale serbo che si schierò con i bosniaci e difese la sua città durante l'assedio. Lo ricordiamo con un'intervista che gli avevamo fatto nel 1995 e una lettera da lui scrittaal Presidente della Bosnia Erzegovina, Alija Izetbegovic, nel 1998.

 

Giorgio Bacchin

Giorgio Bacchin, uno dei fondatori della nostra rivista, dopo un mese di ricovero in ospedale per un’emorragia all’aorta, quando sembrava ormai fuori pericolo, è morto nella notte fra il 26 e il 27 novembre. Aveva 65 anni. Il ricordo di Gianni Saporetti.

Franco Travaglini

Il 24 marzo è morto Franco Travaglini, un carissimo amico che da tanti anni prestava la firma come direttore responsabile di "Una città". Lo vogliamo ricordare con le bellissime parole che ci ha mandato Karl Schibel, un amico.
Care e cari,
è morto stamattina Franco Travaglini. Ci sentiamo vicini a sua moglie Ildico e al figlio Michele. Non ha ancora parole il dolore della perdita dell’amico e fratello di decenni.  Un senso di vuoto e di amore che ci unisce per una persona che lottava per la vita e la dignità di tutti gli esseri viventi con tenerezza e determinazione.
In lutto, Karl-Ludwig

Abbiamo pubblicato nel n. 273 alcune testimonianze che lo ricordano.

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La newsletter

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discussioni
di questi giorni

appunti del direttore

25 novembre
Per una rivista come “una città” che ha fatto dello slogan “le domande vengono prima delle risposte” il suo principio fondativo, in trentuno anni sono capitate solo quattro occasioni in cui abbiamo scritto che la risposta era una e una sola e veniva prima di tutto: la guerra di Bosnia con l’infame assedio di Sarajevo e l’eccidio di Sebrenica, il tentativo genocidiario dei serbi contro i Kossovari, la guerra degli islamisti contro i civili e le femministe algerine e ora, infine, l’invasione nazistalinista dell’Ucraina.

In ognuna di queste occasioni qualche amico ci ha consigliato di moderare i termini, per non ricevere disdette. Ma siamo ancora qui. Questo il testo della lettera che abbiamo spedito ai nostri abbonati, in occasione della campagna abbonamenti di fine anno:

Stiamo con gli ucraini.
Siamo antifascisti, che il fascismo sia nero, rosso o verde.
Non diamo, però, del fascista al primo che passa, sia pure per la strada del governo del paese.
Vogliamo anche stare in guardia da noi stessi; da spettatori impotenti ci vuol poco a diventare squadristi,
capaci di incitare alle gogne o di accanirsi con chi è già a terra.
L’orizzonte è scuro,
ma poi arrivano giorni luminosi in cui torna a soffiare la speranza,
da Kherson al Nevada.
Malgrado tutto ci dicono che a qualcosa serviamo.
Continuiamo a pensare che il futuro,
se c’è, sarà innanzitutto nella rete di piccoli gruppi indipendenti,
amici e confederati fra loro. E negli ideali
democratici di un passato remoto.
Vogliamo crederci. Andiamo avanti.


14 novembre
Che giorni questi! Kherson e Nevada! Il mondo può tornare a sperare. Faccia ammenda chi ha irriso il “comico presidente” e il “presidente rimbambito”.

12 novembre
Se fosse vero che il batterio del fascismo alberga nell’animo umano, come la scarlattina, faremmo bene, periodicamente, a fare un controllo per sincerarci che non si sia attivato. Il “tampone” ce lo fornisce gratuitamente quel che succede intorno a noi. Oggi è un’occasione per farlo: in cuor nostro siamo contenti della liberazione di Kherson? O no?


6 novembre
Mentre la guerra di liberazione di un intero popolo contro un orribile aggressore, che non si fa scrupolo di usare ogni mezzo per terrorizzare e martirizzare la popolazione civile, ha più di una possibilità di vincere, a Roma si è manifestato per la pace, per un immediato cessate il fuoco e per la sospensione dell’aiuto militare alla resistenza ucraina. Prima agli ucraini si chiedeva la resa perché non potevano vincere, ora gliela si chiede perché possono vincere. Mi vergogno di far parte della sinistra italiana.

 
13 ottobre

Che pacifisti e pacifiste facciano proprio l’articolo in cui Travaglio si accanisce contro Zelenski è un pugno nello stomaco. Il connubio fra il pacifismo e il peggior cinismo geopolitico sta partorendo un mostro, per il quale eroici difensori delle loro case e del loro paese diventano stupide pedine di potenze e interessi stranieri, spesso occulti, e vittime non solo dell’aggressore ma anche dei loro leader corrotti. Se poi i resistenti, già giudicati irresponsabili quando erano dati senza speranza, cominciano ad avere la meglio, il merito non è del loro coraggio e spirito di sacrificio ma solo di armi micidiali fornite loro da altri imperialismi per secondi fini, mentre sarà tutta loro la colpa delle criminali rappresaglie del prepotente umiliato e comunque sempre invincibile. Vengono alla mente i processi per stupro d’un tempo, quando la vittima era la colpevole e lo diventava doppiamente se osava alzare la voce. Così, pur di non nobilitare una guerra di liberazione, si nega quel che tutti i generali sanno, che a decidere le guerre possono essere anche “il morale e la morale”, cioè il sentirsi, e l’essere, dalla parte del giusto. C’è il desiderio recondito che tutti siano cattivi per poi, dall’alto della propria benevolenza, promuoverli in blocco a vittime della stessa malattia: la guerra. E’ quella che va debellata. La legittima deontologia della professione medica, che impone di curare allo stesso modo la SS ferita e il prigioniero torturato in fin di vita, diventa così una mostruosa deontologia dell’universale professione umana. Così parole come libertà, giustizia, responsabilità, onore, solidarietà, verità, patria, perdono ogni rilevanza e a valere ne restano solo due, vita e pace, a cui tutto deve essere piegato.

9 ottobre
Quindi il problema dell’atomica è quello decisivo, che cambia tutto. E’ così? La domanda è semplice: e se avessimo di fronte un Hitler? E facciamo il caso che allora Hitler, e anche gli alleati, avessero avuto le atomiche. Su cosa avremmo potuto trattare per fare la pace? Sulla Cecoslovacchia, la Polonia, su cosa? Casomai anche sul numero di ebrei? Sulla chiusura di Auschwitz?

4 ottobre
Molto bello, e urticante per noi come al solito, il fondo di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere sulla “mancata abiura” del fascismo da parte dell’Italia. Mi è tornata in mente un’intervista a Claudio Pavone, alla fine della quale ci disse che tanti mali italiani derivavano dall’armistizio e, quindi, dalla mancata punizione. In Germania le cose sono andate diversamente (basti pensare, per esempio, ai consigli di sorveglianza nelle fabbriche, imposti dagli americani). Allora la domanda inevitabile, malgrado il timore, se non la ripugnanza, per una delle possibili risposte è: perché Germania e Giappone sono oggi due delle democrazie più solide e affidabili del mondo?

17 settembre
Bravo Biden. Tira la linea rossa. E così faccia la Nato.

E' solo così che si potrà salvaguardare il tabù. E troviamo il modo di farlo sapere al popolo russo.

12 settembre

Certo, il pericolo non è passato, anzi, ma che gioia intima, quasi infantile, nel vedere il piccolo, aggredito, violentato, dato per sopraffatto, atterrare il grosso e feroce prepotente. Peccato per chi ha inibito in sé quel sentimento di giustizia così innato, per indifferenza o per fedeltà a un principio disincarnato e raggelato.

15 luglio

Ci rivolgiamo

a chi ha in orrore le armi, anche se in mano a chi si difende

a chi riserva all’America tutto l’odio di cui è capace

a chi ha nostalgia di Lenin e di Stalin

a chi ragiona solo di interessi

e vuol pensare che così facciano tutti:

se fosse vero che hanno deportato 200.000 bambini

se fosse vero che a Bucha hanno ucciso tutti gli uomini abili, come a Srebrenica

se fosse vero che gli stupri sono di fatto autorizzati, come in Bosnia

se fosse vero che l’obiettivo è un genocidio analogo a quello armeno

cosa direste? Cosa proporreste?

12 giugno
Ecco a cosa ci porta la demonizzazione della guerra, la guerra come male assoluto: alla banalizzazione della prepotenza, della cattiveria, del sopruso, della violenza contro gli inermi, dell’uso del terrore. Ci stiamo anestetizzando. Abbiamo visto civili costretti a correre in fila indiana ognuno con una mano sulla spalla dell’altro e poi il mucchio dei loro corpi, e veniva in mente quel video dove i serbi di Mladic fanno scendere da un camion dei giovani prigionieri, li fanno stendere nel fossato e fanno finta di sparare e ridono e tu speri che sia stato solo un gioco crudele, ma poi in fila indiana li fanno entrare nel bosco. Ma è la guerra. Le fosse comuni di civili giustiziati, i torturati, gli stupri, la distruzione sistematica di intere città, le deportazioni, le condanne a morte di soldati prigionieri sono guerra. Tutto è colpa della guerra. Anche Auschwitz, ci ha detto un professore universitario. L’espressione “crimini di guerra” è insensata, perché è la guerra il crimine. Così i crimini contro l’umanità. Marzabotto, Stazzema, le fosse Ardeatine sono guerra. Così le pulizie etniche, gli stupri etnici. Alla fine il genocidio sarà solo guerra. E avremo toccato il fondo.
 

30 maggio
Piergiorgio Bellocchio, Chiara Frugoni, ora Andrea Canevaro. Quando ad andarsene sono quelli “più grandi” di te, quelli che ti hanno insegnato delle cose, che ti hanno aiutato a capire, che ti hanno incoraggiato, ti assale un senso di perdita, di vuoto. E la sensazione, anche un po’ ridicola visto che hai più di settant’anni, che “ora devi fare da solo”.

26 maggio
Alcuni amici ci rimproverano di chiamare fascista il regime russo. Ne discuteremo. Qui riporto, intanto, una citazione di André Glucksmann che fu il primo a parlare dei tre fascismi, quello nero, quello rosso e quello verde, cioè islamico.

“[...] Da dieci anni, i nostri dirigenti disprezzano le indignazioni «morali». Da dieci anni, affermano di fare della «realpolitik»: non sarà per Grozny che il mondo smette di girare, evitiamo di urtare il gigante Russia, lasciamo agli illuminati il loro «ritornello moralistico» d’impotenti. Scusatemi, ma senza principio etico, non c’è politica a lungo termine. Morale e politica non si dissociano come credono i Machiavelli da strapazzo. La «politica» degli Airbus e degli idrocarburi, la «politica» delle riverenze, la «politica» del «me ne infischio altamente che un popolo sia sterminato» portano a Beslan. Questa non è politica, è cecità. La «belle âme» che loro deridono e che io assumo per aver combattuto, con qualche raro amico, i fascismi nero, rosso e verde, per aver sostenuto all’epoca della loro persecuzione Solzenicyn, Sakharov, Havel, Massud, i boat people, gli assediati di Dubrovnik e di Sarajevo, gli espulsi del Kossovo, gli sgozzati d’Algeria, tutti quei «senza potere» sui quali i sostenitori della realpolitik non scommettevano un chiodo, la mia anima pietosa vi dice che non si cancella un popolo dalla carta, fosse pure irrisoriamente piccolo a giudizio delle nostre grandi nazioni”.

“Corriere della sera”, 16 settembre 2004

20 maggio
Una domanda ancora ai pacifisti. Visto che prima di perorare diplomazia, negoziato, compromessi, per fermare la guerra, premettete sempre di considerare Putin colpevole di un’aggressione criminale, anche voi, evidentemente, non vi fidate di lui. Quindi, qualora gli ucraini si decidessero a cedere parte del loro territorio, che garanzie avrebbero che un domani non si potrebbe ripetere un’altra aggressione? Perciò sareste d’accordo a rassicurare gli ucraini con una specie di articolo 5, per cui, in quel caso, si interverrebbe militarmente immediatamente al loro fianco?

13 maggio
Ci risiamo. Perché mai la Finlandia, dopo quel che è successo e continua a succedere, non dovrebbe entrare nella Nato? Risposta pacifista: perché confina con un prepotente molto pericoloso. Già.

11 maggio
Finirà che gli ucraini, siccome forse stanno vincendo, dovranno perdere? Biden, aiuta tu l’Europa a tener la schiena dritta.

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