Una Città n° 304 / 2024
ottobre
“Ho lavorato molto sull’enigma delle origini. La prima violenza è quella. Il primo atto violentissimo è questa differenziazione che ha proiettato la donna su corpo, natura, ecc., e l’uomo sulla storia. È una differenziazione che parla il linguaggio del dominio e del potere, però parla anche il linguaggio dell’amore, del sogno d’amore come ricomposizione di tutto ciò che la storia ha diviso, come armonia di corpo e pensiero. Il nodo è questa ambiguità.
L’uomo non si è accontentato di essere il dominatore, ma ha voluto assumere il posto che era prima della madre. Ma per fare questo ha dovuto operare un capovolgimento. Alla nascita, infatti, il figlio maschio vede il corpo che l’ha generato come corpo potente; lui è piccolo, inerme, dipendente.
Pensare che la donna sia debole equivale a un incredibile capovolgimento del vissuto d’origine del bambino. Ecco, tutta questa vicenda andava approfondita; era quello il nucleo: la famiglia, la coppia, l’amore...”
Lea Melandri, intervista a “una città” n. 254, 2018)
Quella paura di perdere l’anima
Su Israele dopo il 7 ottobre
intervista ad Anna Foa
Israele, l’Onu e l’Iran
di Rimmon Lavi
Io parlo con te
Come insegnare ai bambini
intervista a Patrizia Guandalini
Interviste ai bambini
tratte dal libro "L’ascolto dalla parte delle radici"
La buona pratica dell’intervista
Interviste tra pari a scuola
La frustrazione
Una storia di lavoro
intervista ad Alessandro Sarcinelli
Una libertà da una coercizione
La storia della legge 194
intervista ad Alessandra Gissi e Paola Stelliferi
Nelle centrali
Manifesti femministi degli anni Settanta
Quell’enclave tra i due fiumi
Viaggio a Raqqa
di Istico Battistoni
L’entusiasmo ci ha contagiato
Una storia di impegno in Afghanistan
intervista ad Alberto Cairo
Il cielo blu sopra la Ruhr
Sui Verdi tedeschi
intervista a Peter Osten
Un libertario bianco
La storia di Franco Egisto Pecci
di Giovanni Tassani
Karl Polanyi e la società al primo posto
di Alfonso Berardinelli
Ricordo di Tonino Lucarelli (1945-94)
di Michele Battini
Donne senza figli. I gatti non c’entrano
di Gianpiero Dalla Zuanna
Su Primo Levi
di Alberto Cavaglion
La bontà e la politica
di Vicky Franzinetti
Mazzolari e il papa
di Matteo Lo Presti
Fame e obesità
di Belona Greenwood
La visita
è alla tomba di Emmeline Pankhurst
A Piero, Bona e Paola: “[…] Questi ultimi giorni poi sono stati terribili. In un primo tempo i giornali avevano dato la notizia che fra le vittime del convoglio diretto all’Università c’erano anche il professore Cassuto e la moglie (Bice). Soltanto molto più tardi abbiamo saputo che la notizia non era vera; ma era invece purtroppo confermata la morte di Bonaventura e dell’Anna Cassuto. Pochi giorni prima avevamo saputo che Reuben Artom era morto nella battaglia per il Kastel. Come si fa a pensare ad altro, come si può staccare la mente da tanta tragedia, che non è poi che una parte della tragedia del nostro popolo e di tutto il mondo? E come anche non sentire che un destino al quale non ci si può sottrarre sembra dominare le nostre vite? Reuben è il terzo dei fratelli che muore qui in Erez Israel, seguendo i due maggiori, morti quando questo periodo di guerra non era ancora iniziato. E l’Anna aveva superato gli orrori della deportazione, era stata restituita ai suoi figli per abbandonarli di nuovo dopo così breve tempo. Bonaventura era uno dei pochi fra gli italiani di Erez Israel che avesse raggiunto qui, anche nel suo lavoro, quanto non aveva in Italia; e la preoccupazione maggiore era per i figli. È vero che ogni giorno cadono molte vittime e il fatto che non le conosciamo non significa che ognuna di esse non rappresenti una tragedia, ma quando la tragedia ci tocca più da vicino ci sentiamo presi da uno sgomento che paralizza ogni forza. Si sa che bisogna reagire; così si riprende a vivere e a lavorare, ma il peso che grava sul cuore è sempre più grande; quel peso che non mi pare mi abbia mai lasciato da quella mattina terribile in cui sapemmo dell’assassinio di Carlo e di Nello. A differenza degli altri questo peso non mi si fa più leggero, anzi mi grava ancora di più quando sento parlare di eccidi di arabi. Il massacro di Deir Yasin mi ha spaventato più di qualunque cosa, anche perché son convinto che tutto il male che si fa vien ripagato a mille doppi. Soprattutto mi atterrisce l’idea che gli ebrei debbano fare quello che fanno gli altri; che le colpe altrui siano prese a giustificazione di atti colpevoli. Essere vittime della violenza e dell’ingiustizia è meglio che essere ingiusti e violenti. Alla lunga sono le vittime che finiscono col vincere. La sorte di Hitler e di Mussolini dovrebbe servire di insegnamento. Invece succede il contrario. Gli ebrei hanno resistito per tanti secoli soltanto perché sono rimasti fedeli al principio che qualunque cosa facessero gli altri a loro non era permesso tradire una legge suprema di giustizia. Questo principio deve stare al di sopra di qualsiasi interesse momentaneo o vantaggio nazionale. La difesa contro la violenza, però, è un diritto e un dovere. La difficoltà consiste, come sempre, nel fissare il confine. Bisogna ricordarsi che da una parte e dall’altra ci sono creature umane [...]”.
A Piero: “Il tuo sentimento di orrore davanti all’uccisione di uomini che dovrebbero tutti essere fratelli non passerà (lo credo e lo spero) neppure se dovrai trovarti molte altre volte davanti alla dolorosa necessità della difesa armata. Ma non dimenticare neppure che ci sono orrori anche più grandi di quella lotta che ha almeno il pregio di essere aperta e decisa. Pensa agli orrori delle persecuzioni contro gli inermi e i deboli, alla caccia all’uomo per le deportazioni. Se ti ricordi della buona zia Clotilde e di tanti altri nostri, forse capirai il perché di questa lotta di oggi e troverai nel tuo cuore la forza di tutto superare. Meglio potere almeno affrontare i rischi in libertà e far pagare cara la nostra vita che essere braccati e massacrati come bestie da macello. E c’è così la speranza (nel mio cuore direi la certezza) che con il nostro sacrificio di oggi si gettano le basi per un migliore avvenire per noi e per gli altri. Basta non perdere, neppure quando siamo costretti ad usare la forza, l’orrore della violenza; mantenere l’amore per la pace e per la giustizia. Speriamo che il periodo più duro passi presto [...]”.
“Per noi e per gli altri”. Già: la chiave di volta, di tutto e per tutti. Che lì qualcuno ha voluto demolire.